di Pier Luigi Leoni
Da oltre un anno c’è un progetto di Gianni Marchesini per la gestione organica di sette immobili comunali di grande rilevanza culturale, tra i quali il Pozzo di San Patrizio e il Palazzo del Capitano del Popolo. La mania suicida della città di Orvieto comporta la tenuta in frigo del progetto e l’accordo tacito tra destra e sinistra perché non se ne parli. Anche il sottoscritto, che di quel progetto s’era fatto sostenitore presso l’amministrazione comunale nonché divulgatore, s’è ridotto all’amara considerazione che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Un motivo in più per cui mi pesa salire le scale del palazzo comunale, dove il mio senso del dovere è sempre più indebolito dal disagio di passeggiare in quella che i Massoni chiamano la “Camera dei passi perduti”. È per questo che una notizia letta oggi su un quotidiano, che mi avrebbe dovuto rallegrare, mi ha invece amareggiato. Ho letto che va dilagando la moda di celebrare in Italia matrimoni-vacanza e che questo fenomeno comporta un fatturato complessivo di 315milioni di euro, dei quali 24milioni in Umbria. Ebbene, uno dei punti di forza in cui Marchesini articolerebbe il suo progetto è la celebrazione di matrimoni nel Teatro Mancinelli e nel Pozzo di San Patrizio. Per il Pozzo è facilmente ipotizzabile una cerimonia nella quale gli sposi scendono ciascuno una delle due scale per incontrarsi sul ponticello dove li aspettano il sindaco, o chi per lui, e testimoni. Gli invitati assistono dalle finestre e applaudono. Non se c’è al mondo un posto più suggestivo per celebrare un matrimonio. Ma chi lo dice al mondo?
Orvieto continua a farsi del male.