Due società operanti nel Narnese: la prima esercente una attività di deposito e custodia carburanti, la seconda commercializzazione di combustibile per uso domestico.
Entrambe riconducibili alla stessa persona che ha pensato di costituire una sorta di contratto di service fra le proprie società, come quelli che si istituiscono all’interno di gruppi multinazionali, nelle quali alcune attività vengono gestite e coordinate da una sola impresa (di regola la holding). Un modo lecito per ridurre le diseconomie connesse alla presenza di funzioni similari, come ad esempio la gestione della contabilità.
Di per sé non è vietato, ma atteso il loro alto potenziale elusivo operazioni del genere vengono spesso osservate con la lente di ingrandimento per verificare che rispondano ad effettive esigenze di carattere economico e non ad esigenze di pianificazione tributaria. Una strumentale alterazione del valore normale dei servizi resi o ricevuti potrebbe infatti risolversi nella illegittima riduzione del carico fiscale per una o per l’altra società. Una attività in perdita ad esempio potrebbe emettere fatture per prestazione di servizi all’altra società in utile e finire così entrambe con dichiarazioni pari a zero. Zero utili e zero tasse.
E’ quanto messo in pratica da I.T. di anni 55, originaria di Napoli e titolare di 2 attività la quale, in maniera quanto meno anomala, affermava di aver sottoscritto un contratto nel quale era proponente e sottoscrittore della fornitura di una serie di servizi di consulenza tecnica, amministrativa, legale, contabile e fiscale fra le sue imprese. Ma si sa, sulla parola è difficile convincere dei finanzieri, i quali, in genere si affidano più alla visione dei documenti, delle fatture e dei libri contabili.
E’ accaduto così che nel corso dell’accertamento posto in essere dagli uomini della Tenenza della Guardia di Finanza di Orvieto, il menzionato contratto non veniva trovato ne venivano rinvenuti i pagamenti effettuati per le prestazioni rese dall’esame della documentazione bancaria acquisita.
Esistevano solo le fatture, quelle si, che generavano costi da una società in perdita, con volume di affari di 8 milioni di euro circa, oramai destinata alla chiusura, a quella in utile, con volume di affari pari a circa 300 mila euro.
Per tali ragioni i militari disconoscevano l’attendibilità della contabilità e ricostruivano il reale volume d’affari della società anche attraverso l’esecuzione di controlli incrociati e questionari a imprese clienti e fornitori.
All’esito dell’attività ispettiva è risultato un reddito non dichiarato pari ad € 330.000,00 sia ai fini delle imposte dirette che IRAP da parte della società esercente l’attività di deposito e custodia carburanti, oltre al recupero a tassazione di I.V.A. per € 33.000,00. È stata inoltre denunciata alla Procura della Repubblica di Terni la legale rappresentante delle 2 società per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui all’art. 8 del D.Lgs. 74/2000, per un ammontare complessivo di € 198.000,00 e proposte misure cautelari a garanzia del credito erariale.