Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Né di destra né di sinistra: l’Italia verso la post-politica
“Gli italiani valutano positivamente soprattutto le leadership orizzontali: i responsabili delle associazioni con finalità sociali e del volontariato, al più gli esponenti del mondo della cultura e università. Già sugli imprenditori si dividono, ma quando si passa a considerare le classi dirigenti delle rappresentanze organizzate e delle istituzioni, la valutazione scende sensibilmente. E, fra i bocciati, incontriamo accomunati i politici, i sindacalisti e i banchieri. È una società che si riconosce nella prossimità al territorio, in chi opera fattivamente nelle molte reti di solidarietà. È più diffidente, invece, quando pensa alle classi dirigenti che appartengono alle forme istituzionalizzate della rappresentanza e della politica. Percepiti distanti e distaccate, troppo particolari e autoreferenziali. Forse è per questo che nel delineare le caratteristiche della leadership del futuro per il nostro Paese mette in risalto soprattutto due aspetti: la capacità di una visione strategica, in grado di anticipare e affrontare i problemi, da un lato. Dall’altro, l’essere dotata di senso morale, di legalità: in una parola, la dimensione etica. Meglio ancora, se assieme a questi aspetti vi è anche una competenza professionale specifica. … Visione strategica verso il futuro, moralità ed etica costituiscono i due elementi chiave del profilo della leadership, meglio ancora se unita a una buona competenza tecnica. Ovvero, quello che è mancato all’Italia, almeno negli anni recenti”. (Daniele Marini, La Stampa)
F. Ti assicuro che non ho scelto questo pezzo per il cognome di chi l’ha scritto, ma perché lo scorso lunedì 8 aprile, aprendo La Stampa, mi colpì proprio il titolo che ho qui fedelmente riprodotto. Era in testa a due paginate di dati e relativi commenti riferiti alla ricerca “LaST” (Laboratorio sulla Società e il Territorio), promossa da Community Media Research appunto per il giornale torinese e realizzata da Questlab, finalizzata a capire il giudizio degli italiani sulla loro classe dirigente, attuale e futura. Ho riprodotto la parte del commento di Marini che mi pare ne sintetizzi in modo chiaro i risultati generali. Non li commento, perché essi avvalorano quello che pensavo prima di leggere questo rapporto, che tu e i nostri lettori conoscete bene essendocene noi privatamente e pubblicamente occupati in più occasioni. La questione essenziale, che noi stessi abbiamo sollevato e che è di valore generale, è che cosa conta per essere una buona classe dirigente, cioè per essere persone in grado di rivestire ruoli di responsabilità e di esercitarli in modo utile per la società. La risposta della ricerca “LaST”, come abbiamo visto, è la seguente: per avere un profilo di leadership oggi si richiede capacità di visione, solida struttura etica, competenza. E ciò indipendentemente dalle tradizionali culture politiche dalle quali individualmente si trae ispirazione. Conseguenza: una buona classe dirigente non è né generata né selezionata dalle appartenenze, che hanno solo la funzione di garantire se stesse. Bisogna adottare perciò meccanismi che facciano emergere finalmente i tre caratteri, davvero nuovi ed essenziali, che risaltano dalla ricerca “LaST”. Ad occhio e croce credo che la cosa ci riguardi anche qui dalle nostre parti.
P. Che i risultati della ricerca LaST collimino con quelle già erano le nostre opinioni non mi sorprende. Non c’era bisogno de La Stampa e della LaST, bastava mettere mano al buon senso. Ciò che invece vorrei meglio comprendere è perché si sia dovuti arrivare a una profonda crisi politica, economica e sociale per capire che l’arrivismo, la superficialità e la debolezza morale non possono portare a nulla di buono. Forse dipende dal fatto che gli esseri umani hanno bisogno di sprofondare per poter risorgere? Hanno bisogno di peccare per poter pentirsi e riscattarsi? Non azzardo visioni religiose ed elaborazioni filosofiche. Mi limito a considerare che quando prevalgono l’egoismo, il pressappochismo e l’amoralità, si perde la “compassione” per i deboli e per coloro che soffrono perché vinti dalla crudeltà della vita e della società. Senza compassione, la politica manca di ispirazione, è priva di scopo, si perde nell’ebbrezza che il potere dà alle personalità deboli. Forse, anzi senza forse, bisognerebbe prendere l’abitudine di circolare di più negli ospedali, nelle case di riposo e nelle carceri, di visitare le case dei disoccupati, dei falliti, e dei tossicodipendenti. Sono sicuro che se ne potrebbero trarre tante piccole e grandi idee.
Ma siamo sicuri che la società vuole essere guidata dai migliori?
“Il ministro dei trasporti Bertrand Saint-Jean viene svegliato in piena notte dal suo capo di Gabinetto. Un pullman carico di studenti è precipitato in un burrone. Non ha scelta, deve recarsi sul posto. Comincia così l’odissea di un uomo di Stato in un mondo sempre più complesso e ostile. Velocità, lotte di potere, caos, crisi economica… Tutto si lega e tutto confligge. Un’urgenza scaccia l’altra. A quali sacrifici sono pronti gli uomini? Fino a che punto resisteranno, in uno Stato che divora coloro che lo servono?”. (Sinossi del film “Il Ministro. L’esercizio dello Stato”)
F. Si tratta del film di Pierre Schoeller, presentato al Festival di Cannes nel 2011 e dallo scorso 18 aprile in proiezione anche nelle sale italiane. Mi è venuto in mente proprio mentre mi stavo occupando dell’argomento precedente. Perché è ben vero che è giustificato il giudizio pesantemente negativo che viene dato sulle classi dirigenti che appartengono alle forme istituzionalizzate della rappresentanza e della politica, ma è anche vero che troppo spesso viene fatta di tutta l’erba un fascio, mentre in realtà ci sono non poche persone che hanno svolto bene il proprio compito in ruoli rilevanti nelle istituzioni e in generale nella pubblica amministrazione. Il film di Schoeller rovescia l’approccio al tema della classe dirigente, nel senso che cerca di capire dal punto di vista del protagonista fin dove può arrivare la capacità di resistenza di un politico che è sottoposto alla pressione della realtà che deve governare. Una realtà che ti chiede una dedizione totale, sacrifici e rinunce radicali, ma che alla prima occasione ti scarica senza troppi complimenti. Ciò che avviene anche se hai svolto bene il tuo incarico, anzi, talvolta proprio per questo. La domanda di fondo allora diventa: perché in queste condizioni i migliori, per intenderci quelli che rispondono alle caratteristiche della ricerca “LaST”, dovrebbero rendersi disponibili a rivestire cariche pubbliche? Perché per contro non dovrebbero avere spazio, come appunto avviene, le file dalle quarte in giù?
P. È indubbio che sia esistita ed esista gente di potere competente, appassionata e cosciente di prestare un servizio alla comunità. Meno comprensibile è che questa gente s’illuda di essere generalmente apprezzata e ringraziata. Mi torna in mente ciò che dicono sia capitato ad Aristide, integerrimo uomo politico ateniese, detto “il Giusto”. Gli avversari lo sottoposero ad ostracismo, una specie di referendum col quale la maggioranza popolare poteva mandare in esilio un uomo politico incidendone il nome su un pezzo di coccio. Un elettore analfabeta vide passare Aristide, che non conosceva di persona e che aveva l’aria di persona istruita, e lo pregò di aiutarlo a incidere il nome Aristide sul coccio. Signorilmente Aristide lo aiutò, ma non poté fare a meno di chiedergli: «Puoi dirmi che cos’hai contro Aristide?» L’elettore analfabeta rispose: «Non mi piace che si faccia chiamare “il Giusto”.» Non so se l’episodio sia storicamente vero, ma è sicuramente vero ciò che capitò a De Gasperi e a Churchill. È altrettanto vero che i Francesi, dopo alcuni anni dalla fine della guerra, si pentirono e richiamarono al potere De Gaulle, ma solo per accantonarlo una seconda volta.
Verrà mai il giorno in cui si saprà con certezza come sono messi i conti del nostro comune?
“Il disavanzo aggiornato delle casse comunali è di 6 milioni e 715mila euro. Lo dicono i conti del consuntivo 2012 approvato dalla giunta comunale (assente l’assessore al Bilancio Maurizio Romiti) lo scorso 10 aprile … Conti salvi dunque almeno formalmente per il 2012, seppure con la relazione del dirigente Dino Bronzo che invita ‘gli organi di governo dell’ente a predisporre manovre finanziarie correttive più incisive di riduzione delle spese correnti e/o aumento delle entrate correnti e più generale a rideterminare in modo più attento ed oculato i programmi e i servizi offerti dall’amministrazione comunale’. Restano intatte le preoccupazioni per il preventivo 2013 in un quadro di incertezza totale politica e amministrativa, a livello locale e nazionale”. (Notizia di OrvietoSi)
F. A fronte di questa notizia che tende a presentare la situazione dei conti comunali come del tutto sotto controllo, leggo dichiarazioni, non solo di Gnagnarini, che al contrario sottolineano come continuiamo ad essere messi male e anzi anche peggio di quattro anni fa. In realtà l’impressione è che sul fronte del controllo della spesa, gratta gratta pochi progressi sono stati fatti, mentre su quello dell’entrata, a parte la tassazione e le alienazioni (che come tali servono solo da tampone passeggero in mancanza di inversioni strutturali), una politica vera e propria è stata ed è del tutto assente. Tu stesso lo evidenzi in un recente articolo in cui parli del progetto presentato da Marchesini per l’uso produttivo del patrimonio pubblico. E ricorderai che anch’io ho sottolineato questo punto più e più volte nei nostri dialoghi. È logico dunque che, a dispetto delle rassicurazioni, l’incertezza e la confusione regnino sovrane. A questo punto della vicenda, invocare una strategia apparirebbe quanto meno illusorio. Chiedere che qualcuno ci dica con chiarezza come stanno i conti è invece doveroso: ci sono ancora debiti che non conosciamo? il disavanzo certificato è realmente quello del consuntivo 2012? le previsioni di entrata sono davvero attendibili? Domande elementari. È lecito attendersi che ci siano risposte altrettanto elementari.
P. Sono convinto che l’amministrazione Concina abbia fatto una politica di sano e doveroso riequilibrio dei conti, anche perché ho personalmente collaborato a farla. Soprattutto ho collaborato, in piena concordia con la giunta e la maggioranza, alla moralizzazione dei bilanci, cioè all’abbandono della vecchia abitudine di fare bilanci falsi sovrastimando le entrate e sottostimando le spese. Alcuni tentativi, come la strumentale e inutile messa in vendita della palazzina comando della ex Caserma Piave, e come l’illusione di farsi vendere dalla Regione l’ex ospedale per rivenderlo, a prezzo maggiorato, a una catena alberghiera, li ho osteggiati senza successo. Considero altamente positivo il superamento dei famigerati contratti derivati, il cui merito va maggiormente all’assessore Maurizio Romiti, meno assente di quel che sembra nelle fasi fondamentali. Anche l’assunzione della gestione diretta dei parcheggi, sulla quale avevo molto insistito e che era cara anche al nostro amico Massimo Gnagnarini, ha dato esiti molto positivi. Potrei fare un elenco di cose che non mi sono piaciute e non mi piacciono, ma mica posso rubare il mestiere alla minoranza? Per quanto riguarda la situazione attuale dei conti, poiché tu m’interpelli, ti devo una risposta. Il conto consuntivo 2012 chiude positivamente, grazie alla vendita della farmacia, e il conseguente avanzo, al netto della doverosa eliminazione dei residui attivi inesigibili (cioè dei crediti che, per una ragione o per l’altra non è possibile riscuotere) consente di ridurre il disavanzo dipendente dal passato, che ora s’aggira intorno ai 7 milioni. Una legge recente non consente più di ripianare il disavanzo mediante l’alienazione di beni patrimoniali. Non è chiaro se i beni patrimoniali già destinati nel 2012 al ripiano del disavanzo, e che non si è riusciti a vendere, possano essere ancora venduti quest’anno. In pratica, non è chiaro se il comune di Orvieto potrà ancora tentare di vendere quest’anno la palazzina comando per ripianare il disavanzo. L’amministrazione comunale interpellerà la Corte dei Conti. In caso di risposta negativa saranno cavoli, perché non rimarrà che ricorrere al cosiddetto predissesto, cioè alla contrazione di un mutuo con la Cassa depositi e prestiti, che non solo dovrà essere restituito, ma che comporterebbe restrizioni molto umilianti all’autonomia del comune, che sarebbe sottoposto a una specie di amministrazione controllata da parte della Corte dei Conti. Invece del predissesto potrebbe essere dichiarato il dissesto, una specie di fallimento, che però non va più di moda da quando è stato previsto che esso comporti l’ineleggibilità per cinque anni per sindaco e assessori. Se invece si potesse ancora mettere in vendita la palazzina comando per ripianare il bilancio, resterebbe il problema della diminuzione delle entrate statali e della proibizione di destinare a spese correnti almeno una parte dei cosiddetti contributi Bucalossi. Il momento è molto difficile dal punto di vista finanziario, ma molto più a causa dei guai generali della finanza pubblica e del retaggio del passato, che di errori dell’amministrazione Concina. Una buona notizia è il decreto sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, grazie al quale il Comune di Orvieto potrà pagare alcuni milioni di debiti senza i lacci del patto di stabilità e acquisendo la necessaria liquidità mediante un prestito della Cassa depositi e prestiti. Ciò allenterà la pressione dei creditori, ma non risolverà il problema del disavanzo. Non vorrei stare al posto dell’assessore al bilancio, ma neppure al mio posto di consigliere comunale.