Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Il paradosso del vincitore perdente 1
“Se mai c’è stata, la tregua è ufficialmente rotta. Nel Pd è scontro aperto tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani. Il sindaco rompe la pace interna e scuote il Pd in una fase delicatissima per l’elezione del nuovo Capo dello Stato e per il governo. «Bersani decida: o si fa un accordo con Berlusconi o si fa votare, non si può stare fermi», è la sfida del sindaco, che sbarra la strada alla soluzione del governo di minoranza del leader dem. Una guerra per la premiership che Bersani non ha intenzione di subire, accusando il rottamatore di intelligenza con il nemico e tirando dritto per la sua strada”. (La Stampa)
F. Il PD di Bersani è partito vincitore e sta arrivando sconfitto alla meta del governo. Questa è la dura realtà, e i contrasti che stanno esplodendo tra l’ala riformatrice e dinamica e quella conservatrice e statica ne sono la plastica sanzione. Si tratta in verità del logico esito di un percorso disastroso iniziato tempo addietro, proseguito con una campagna condotta come se la vittoria fosse scontata, e concluso con un risultato elettorale che peggiore non poteva essere: quattro minoranze e nessuna maggioranza. Insomma una vittoria che si traduce in una sconfitta. In un caso come questo si capisce, anche senza essere geni, che se ne esce solo se si ha il coraggio di buttar via gli schemi precostituiti e, mettendo al primo posto gli interessi generali, si cerca un accordo tra diversi in cui ciascuno cede qualcosa. Un accordo tra chi ci sta, naturalmente, per cui è insensato insistere a convincere chi strategicamente non vuole. A questo punto sparigliare è d’obbligo e vincerà la partita chi saprà interpretare i sentimenti del Paese reale. Sarà Renzi? Non sappiamo. Una soluzione di buon senso ci sarebbe: un passo indietro congiunto di Bersani e Berlusconi, ma la storia difficilmente è stata fatta con il buon senso. Infatti notizie dell’ultim’ora dicono di trattative a buon punto tra Bersani e Berlusconi per Presidente della Repubblica e governo e sarebbe questo che avrebbe convinto Renzi a sparigliare. Dunque come andrà a finire non sappiamo proprio. Sappiamo però che di tattica si può morire. Se toccherà a qualcuno che si è intestardito, passi. Se dovesse invece toccare al Paese perché ci si intestardisce a difendere chi si è intestardito nessuno potrà perdonare. Speriamo che la P di Paese nella testa della maggioranza degli eletti appaia finalmente più importante della p di partito e della p di persona.
P. L’odio che moltissimi a sinistra nutrono per Berlusconi è da moltissimi della destra perfettamente ricambiato. Credo che il vero problema sia questo. Le ragioni dell’odio vanno ricercate nella storia, almeno a partire dal Risorgimento. Non è così nelle grandi democrazie contemporanee. Spero però che, nonostante questo handicap, prevarrà una soluzione ragionevole e pragmatica perché nella sinistra (e forse pure nella destra) sta montando il terrore che, andando avanti così, verrà fuori la destra quella dura. Qualcosa del genere s’è visto in Grecia.
Il paradosso del vincitore perdente 2
“La mail di convocazione è arrivata mercoledì sera: l’appuntamento è per domani mattina (5 aprile) alle 9:30 a Roma, dove deputati e senatori saranno prelevati da alcuni pullman che li porteranno in una luogo top secret. L’atteso incontro tra Beppe Grillo e gli eletti del Movimento 5 Stelle di Camera e Senato ci sarà, in una località alle porte di Roma (che gli stessi parlamentari ignorano) per permettere a tutti di far rientro in città e poi tornare a casa per il fine settimana. … La riunione si preannuncia molto calda. Dopo il caso Crimi (il capogruppo al Senato su facebook aveva scritto di preferire un «governo Bersani senza fiducia» all’esecutivo Monti) e la correzione di rotta di Grillo («Bersani e Monti sono uguali»), arrivano nuove grane per la tenuta della linea sulle alleanze. In una intervista a La Stampa, il deputato siciliano Tommaso Currò auspica apertamente «un confronto con il Pd». «Noi parlamentari non siamo automi e nemmeno bambini. Io non sono uno schiaccia bottoni per conto terzi», spiega chiamando in causa il suo leader e Gianroberto Casaleggio”. (La Stampa)
F. Anche in questo caso, contrariamente alle apparenze, c’è una partenza da vincitore e un arrivo da perdente. È indubbio che M5S abbia ottenuto un successo strepitoso in termini di voti e di eletti. Ma a quale risultato sta arrivando? Ecco quello che si vede ora: il “tutti a casa” gridato nelle piazze è diventato necessità di stare nei giochi con gli altri; lo slogan “una testa un voto” (ripreso dalla rivoluzione francese) si è rovesciato in “obbedienza al capo” per evitare le tentazioni di libertà; l’unità apparente da falange macedone si è trasformata in riunioni a ripetizione per evitare spaccature su ogni decisione; la democrazia diretta in streaming si è rovesciata nelle fughe in pullman verso località segrete (agriturismo della campagna romana) per evitare occhi e orecchi indiscreti. Non voglio certo dire che M5S ha già perso la sua battaglia ed è già in crisi, anche perché alcune cose sono già cambiate proprio per il successo grillino e perché il bisogno di cambiamento profondo del sistema resta centrale. Mi sembra però chiaro che anche M5S deve fare i conti con la realtà, che è meno schematica di quanto si possa dire nelle piazze, dove è facile avere consenso parlando alla pancia, o scrivere in un blog, dove non ti può contraddire nessuno. Saranno necessarie meno sparate e più lavoro sistematico, meno supponenza e più rispetto per la storia degli altri, meno predicazione di teorie strampalate e più considerazione per critiche intelligenti della realtà, soprattutto meno comodo manicheismo: noi i puri, gli altri i mascalzoni. Il rinnovamento vero è un’altra cosa.
P. I pentastellati sono il risultato di vari ingredienti: a) il disprezzo della piccola borghesia per una classe politica insensibile all’angoscia della gioventù istruita di fronte a una crisi economica pesante; b) l’attivismo di un geniale demagogo che fa leva su tale stato d’animo, ma sapientemente lo orienta verso soluzioni non violente (una cosa sono gli sfoghi verbali, altra cosa sono le bombe); c) la paralisi bilaterale della classe politica, che non riesce a coordinare decentemente la destra con la sinistra. Le istanze di democrazia diretta e di partecipazione spinta che entusiasmano i pentastellati sono vecchie quanto il mondo e rispondono a profonde istanze di giustizia che albergano in ogni cuore umano. Il fatto è che l’entusiasmo per una democrazia eticamente migliore non cambia la natura dell’uomo, nemmeno quella dei grillini. Anch’essi dovranno rendersi conto che un decente equilibrio tra pulsioni positive e negative degli esseri umani richiede certamente riforme, controlli, ricambio delle classi dirigenti, punizione dei mascalzoni, ma anche umiltà, realismo e compromessi. Perciò i grillini dovranno calmarsi, ma gli altri non sottovalutino le loro motivazioni ideali, altrimenti finisce male.
Quando di buone intenzioni si può morire
“La verità, messa in luce da uno spettacolo satirico, ma che si ha evidentemente paura di sollevare a livello di dibattito pubblico, è che la campagna mediatica contro la casta e gli sprechi della politica è sfuggita di mano a coloro che, nel corso dell’ultimo decennio, l’hanno meritoriamente promossa. Ma il loro obiettivo, apprezzabile dal punto di vista dell’impegno civile, era la riforma del sistema dei partiti, non la sua paralisi o peggio la sua distruzione, peraltro sostenuta da argomenti che ormai oscillano sempre più tra la demagogia e l’invettiva vera e propria”. (Alessandro Campi)
F. Alessandro Campi si riferisce al fatto che di aver debordato nella critica delle degenerazioni della politica se n’è accorto lo stesso Maurizio Crozza, che ha detto: “forse stiamo esagerando”. La polemica antipartitica, si sa, è antica, e non solo in Italia. Ad esempio, in Francia si attribuisce a Napoleone la massima che “la salvezza di tutti risiede nell’annientamento dei partiti”. Ed è nota la condanna di Simone Weil della stessa idea di partito pronunciata nella Nota sulla soppressione dei partiti politici. In Italia si può risalire alla rivista Comunità e agli scritti di Adriano Olivetti, che vedeva nei partiti del dopoguerra organizzazioni inadeguate e dar forma ad una democrazia che per lui doveva basarsi sulle comunità locali e valorizzare i corpi intermedi della società. Si può arrivare così alle battaglie antipartitocratiche dei primi anni novanta, segnatamente quelle dei radicali di Pannella, prima di approdare all’antipolitica degli ultimi dieci anni e a Beppe Grillo, che ha fatto della critica alla partitocrazia il perno attorno a cui far ruotare una spettacolare operazione politica. Una lunga tradizione dunque, che ha specificità e contorni definiti in ogni fase. Ma c’è un elemento unificante, che ne costituisce il filo rosso: l’approdo non è stata mai una vera riforma in direzione di una politica di servizio. E la ragione in fondo è semplice: si è trattato quasi sempre di critiche roboanti ma ingenue e di proposte apparentemente forti ma del tutto irrealistiche. Basti pensare alle grida “tutti a casa” e “aboliamo i partiti”, efficaci nella comunicazione ma incapaci di diventare concreto programma di cambiamento, cioè di incidere in profondità e per lungo tempo. Così oggi che di cambiamento reale ci sarebbe assoluto bisogno, mentre da una parte si corre il rischio che una sacrosanta critica ai partiti si trasformi in una ingenua e sbrigativa operazione di distruzione dei gangli del sistema democratico, dall’altra proprio per questo alla fine potrebbe non succedere niente di significativo. E tornerebbe a bomba la questione fondamentale della politica italiana: la mancanza di una cultura e di una politica modernamente riformista, sanamente realista, seria e metodica, capace per questo di ottenere risultati e di farli durare nel tempo. Non ce l’abbiamo? Anche se malvolentieri, ce ne faremo tuttavia una ragione. Ma che almeno ci si risparmino cure peggiori del male!
P. “Mi riallaccio a quanto ho detto sopra”, come dicono gli oratori pigri. Ma aggiungo che il mondo contemporaneo è tanto complesso che la stessa concezione di soluzioni efficaci è estremamente difficile e rischiosa. I politici di tutto il mondo e di tutti i livelli mi sembra che si trovino come l’uomo di Popper, che cerca in una stanza buia un cappello nero che forse non c’è. Non sappiamo nemmeno se il pianeta sia o meno condannato a un degrado rapido e irreversibile. Da una parte si esalta la crescita, che ci ha portato dove siamo e poi s’è inceppata, dall’altra si predica la decrescita, che ci dovrebbe allestire una specie di paradiso terrestre. Si propende per l’una o per l’altra delle opposte tesi più per istinto e carattere che per adeguata conoscenza dei termini del problema. Viene voglia di tirare a campare, ma poi subentra la responsabilità verso gli altri e verso se stessi e il desiderio di poter concludere la vita come San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.”
Casello Orvieto nord: non pervenuto
“Orvieto dice addio al casello Orvieto nord. Finisce qui la storia infinita durata almeno un decennio del secondo casello autostradale da realizzare in località Ponte Giulio, a supporto della zona industriale di Bardano e per alleggerire il traffico pesante che gravita su Orvieto. … Ma ora dai cassetti comunali spunta una lettera ufficiale di Autostrade per l’Italia che lascia ben poco spazio a dubbi e incertezze. Una doccia gelata, ma forse per molti non altrettanto inaspettata. Per il secondo casello ad Orvieto, secondo la società, non ci sarebbero le condizioni necessarie. Né infrastrutturali, né finanziarie. Ovvero: mancano completamente le infrastrutture secondarie (nodo questo sul quale si discute da anni con rimpalli tra Regione, Provincia e Comune e protocolli rimasti lettera morta), né ci sarebbe l’interesse di Autostrade per l’Italia per un simile investimento su Orvieto. Fine di una storia, forse per troppo tempo strumentalizzata dalla politica”. (Notizia di OrvietoSi)
F. Questa la notizia di qualche giorno fa, seguita, come era logico attendersi, dalle dichiarazioni dispiaciute di ex amministratori e da una decisa e ironica smentita del Sindaco. Tutto regolare dunque? No, credo proprio di no. Questo è uno dei purtroppo non pochi esempi di cattiva politica, quella tipicamente italiana (e nostrana) che alla sana, lungimirante e realistica, progettazione dello sviluppo territoriale, che è fatta di priorità e di scelte coordinate, preferisce le proposte sì approssimative ma che servono bene a fare battaglie di facciata e a scaricare su altri le proprie inadempienze. Mi spiace dover ricordare anche in questo caso come già anni fa ebbi a sottolineare l’impraticabilità del progetto, evidente senza dover attendere una comunicazione ufficiale della Società Autostrade. Anzi, parlai addirittura della sua pericolosità in quanto oggettivamente in collisione con la priorità del finanziamento della complanare. Spero dunque che finalmente, a partire dal Sindaco, ci si decida a guardare in faccia la realtà e a non far finta ancora di aver visto l’araba fenice. Questo è ormai il tempo di un ripensamento serio delle necessità infrastrutturali della nostra area nel quadro di una visione del suo ruolo territoriale, necessità che per essere più realisticamente definite non vuol dire che siano anche più rinunciatarie. Semmai, essendo realizzabili, saranno addirittura più ambiziose, richiederanno maggiore impegno e dimostrazione di capacità, e certo saranno molto più efficaci e utili, dunque anche più moderne.
P. Sarebbe ora che qualcuno, documenti e calcoli alla mano, spiegasse quali sarebbero e quanto costerebbero le infrastrutture per l’adeguata utilizzazione del nuovo casello, in quale arco di tempo il tutto potrebbe essere realizzato, quale sarebbe l’impatto dei nuovi impianti sul sistema di traffico locale e interregionale e sull’economia del comprensorio orvietano. Questi sono i problemi. L’ultimo dei problemi è la politica della Società Autostrade. Questi signori, se hanno fatto il casello Ponzano-Soratte solo per estendere la periferia di Roma a un paesello segnato piccolo piccolo sulle mappe, qualche soldo da buttare ce l’hanno. In ogni modo, consiglio agli sconsolati orvietani che hanno dei risparmi e non vogliono che siano dirottati a Bari, di consultare il web, dove si offrono appartamenti nuovi di prima classe a partire da 190.000 euro, proprio a Ponzano Romano. Imboccare il vecchio casello di Orvieto in direzione Roma e uscire a Ponzano-Soratte. Si arriva presto.