di Leonardo Riscaldati
Inizio a essere veramente stanco. Stanco di discutere ogni giorno con amici, clienti, familiari e conoscenti di come siamo ridotti, del fatto che sta andando tutto a rotoli, che si sta disintegrando il tessuto economico e sociale italiano, di un paese in cui ormai il flusso dei pagamenti è bloccato, in cui nessuno paga più nessuno. Di come non solo non si vede ancora la fine del tunnel, ma che probabilmente ancora non è arrivato il peggio.
Siamo in una situazione da terapia intensiva. Recentemente il Tg de LA7 ha presentato i dati di una rilevazione, uno studio realizzato su 130mila piccole imprese italiane, in cui è emerso che oltre il 60% nell’ultimo anno ha chiesto soldi alle banche per pagare le pendenze fiscali. Come diciamo a Orvieto, ce sente cerqua? E l’anno prossimo queste imprese che fine faranno? Non so se è chiaro, ma qui siamo seduti su un vulcano, in cui la pressione del magma interno sta raggiungendo livelli spaventosi, e potrebbe deflagrare da un momento all’altro.
Sono stanco di tutto questo, e poi di vedere dei dibattiti surreali in tv, durante i quali i politici, tranne qualche mosca bianca, dimostrano, come se ce ne fosse ancora bisogno, che non hanno la minima idea di quello che sta accadendo, e soprattutto di quello che andrebbe fatto, in concreto. Continuo a sentire che bisogna fare questo, bisogna fare quello, cambiare, innovare, riformare. Chiacchiere, solo chiacchiere. Le cose una volta dette vanno fatte. Punto. Sono decenni che sentiamo dire di cose da fare con urgenza, che non vengono mai realizzate. L’erba cresceva, il cavallo moriva.
I politici vivono ormai in un universo parallelo, totalmente disconnesso e avulso dal paese vero, quello che tutti i giorni combatte per sopravvivere, quello che si fa un mazzo tanto per riuscire a sbarcare il lunario. In molti casi per sopravvivere, in senso letterale. È uno scenario pre-rivoluzione francese.
Per avere una fotografia perfetta del panorama attuale, basta guardare quanto è successo nel consiglio regionale del Lazio, che è veramente emblematico. Soldi a pioggia, stipendi iperbolici, rimborsi smisurati (7,5 milioni di euro per finanziare i gruppi, fondi anche ai monogruppi autonomi, riferiti cioè ad una persona sola, fino a 225mila euro). Senza obbligo di rendicontazione (si avete letto bene), ho detto tutto. Domanda, retorica: ma in consiglio lo sapevano tutti o no che la situazione era quella? Certo, c’erano dentro, ci mancherebbe. Da destra a sinistra, nessuno escluso, tutti (tutti!) potevano beneficiare di un trattamento surreale (del quale, in parallelo, i livelli superiori dicevano peste e corna). Quante voci di denuncia si sono levate in consiglio, da destra a sinistra? Quanti hanno rinunciato al trattamento speciale del quale beneficiavano? Ecco. Ma di che stiamo parlando? Durante le fasi centrali dello scandalo ho sentito delle interviste allucinanti fatte ai consiglieri, di tutte le collocazioni, che si giustificavano, si arrampicavano sugli specchi, che facevano meglio a stare zitti. Mi veniva voglia di strozzarli in diretta. Ecco, questo microcosmo rappresenta l’esatta situazione dell’abissale distanza che c’è tra paese e istituzioni.
Ho sempre votato centro destra. Quest’anno ho votato Movimento 5 Stelle. Se si fosse presentato Renzi probabilmente avrei votato lui. La maggior parte di quelli che sento avrebbe fatto la stessa cosa. Questo per sottolineare come ormai l’elettorato sta abbandonando in massa la politica tradizionale, alla ricerca di nuovi lidi. Come la stragrande maggioranza di quanti lo hanno fatto, ho votato 5 Stelle non per particolari affinità politiche, ma perché in questo momento servono come l’aria dei guastatori e degli incursori che scardinino e scròstino un sistema che, ormai è cristallino, non può e non vuole autoriformarsi.
Con l’attuale panorama di leader e compagini, strettamente legati, spesso a doppio filo, al sistema stesso da riformare in modo radicale, i 5stellini, al momento, sono secondo me gli unici che potrebbero fare qualcosa. Sottolineo, potrebbero. Ma tanto mi basta, per ora. Dell’inesperienza, sinceramente, non me ne può fregare di meno. In ogni attività, quando si comincia, non si nasce “imparati”. Solo con impegno, pratica, errori sul campo, e costanza, si può migliorare e si può anche raggiungere l’eccellenza. È stato così anche per i più grandi artisti, non vedo perché non dovrebbe essere così per loro.
Qui va riformato tutto. In modo radicale. Va riformata l’architettura istituzionale dello Stato, perché non è possibile che una legge, in un paese che deve correre a tutto gas, per diventare operativa ci metta quasi due anni, bene che vada. Una volta approvata, magari è già vecchia. Va riformata la burocrazia, mastodontico apparato che spesso serve solo a se stesso, il cui unico obiettivo sembra essere diventato l’autosostentamento, e che di conseguenza si oppone a ogni ipotesi di riforma. Va riformata la politica. Vanno ridotti gli stipendi dei politici, quelli faraonici dei dirigenti pubblici, le pensioni allucinanti che manco si possono più sentire nominare. Bisogna fare, tanto e di corsa. Tocca daje col ronchetto.
Abbiamo sentito per mesi tutti i partiti dire che avrebbero eliminato le province, ridotto il numero dei parlamentari, gli stipendi, eliminato le pensioni d’oro, riformato la legge elettorale. Risultati: zero (zero!). E qui hai voglia a dire che è colpa dell’altro, che ha impedito questo, e viceversa. La verità, tanto semplice e lampante quanto drammatica, è che il sistema le sta provando tutte (ma proprio tutte, e sulla pelle degli italiani), per rimandare il momento in cui dovrà tagliare il ramo su è rimasto comodamente seduto per decenni, e sulla base del quale ha costruito il proprio consenso e il proprio potere.
Tanto per sottolineare la distanza tra chiacchiera e fatto, parliamo dei rimborsi elettorali; il PDL dice che vanno eliminati. Bene, ottimo. Perfetto. Cominciassero a restituire quelli attuali. Secondo voi lo faranno? Il PD invece, quello dell’apparato, manco ci pensa. È terrorizzato. Eliminare tutti i milioni di euro che devono prendere significherebbe disintegrare il proprio apparato, che per decenni si è tenuto in piedi grazie alle risorse pubbliche. Sarebbe un harakiri, altro che “poi solo i ricchi potrebbero fare politica”. Scusate, ma come ha fatto il Movimento 5 Stelle a imporsi? Sono tutti ricchi? Ma di cosa stiamo parlando? E poi, si vuole tagliare gli stipendi dei parlamentari, giusto? Allora, intanto, si cominciasse a rinunciare a una quota cospicua dei compensi, anche prima di fare una legge, come quelli del 5 Stelle hanno già fatto in Sicilia. Come sempre, le chiacchiere stanno a zero. Si iniziasse a far bene il Servizio (“S” maiuscola) per cui si è eletti; si punti sull’impegno dal basso, sulla trasparenza, sulla competenza, sull’onestà, sulla partecipazione.
Ognuno dice di avere la ricetta per risolvere i problemi? Bene. Allora che si mettano in condizione di lavorare. Uno, cambiare la legge elettorale; facciamola come per i Comuni, o anche applichiamo al Senato lo stesso sistema della Camera, così che, sia nel caso di una bipartizione che di una tripartizione, chi prende più voti governa. Che ci vuole, la scienza? Due: cambiamo il funzionamento e l’architettura dello Stato, dotiamoci degli strumenti legislativi e operativi per fare le leggi e governare in modo rapido.
Poi ognuno potrà attivare e concretizzare le proprie proposte per risolvere i problemi e migliorare la vita degli italiani, che non hanno più un solo attimo da perdere. A quel punto si verrà giudicati dai risultati, senza alibi. Altrimenti è inutile continuare a discutere. Altrimenti continueremo a eleggere govenanti e legislatori, ai quali verrà consegnata una macchina decrepita, sgangherata e ingolfata, con l’obiettivo di farla correre su un circuito di formula 1. Così, poca strada si fa.