di Pier Luigi Leoni
Da circa un anno l’amministrazione comunale di Orvieto è alle prese con un progetto di valorizzazione culturale e turistica di preziosi beni monumentali di proprietà comunale. Si tratta del Pozzo di San Patrizio, del Palazzo del Capitano del Popolo, del Palazzo dei Sette, della Torre del Moro, della Rocca Albornoz e della Chiesa di San Francesco. La gestione di tali beni è attualmente frammentata e può essere resa più efficace rendendola unitaria e organica e garantendo una offerta pubblica più ricca e articolata.
È di tutta evidenza che una gestione razionale dei beni in questione richiede una organizzazione autonoma ed efficiente, essendo del tutto inadeguato l’apparato burocratico comunale. La scelta è tra l’affidamento a privati mediante una gara pubblica, andando alla ricerca di un gestore nello spazio economico dell’Unione Europea, e l’affidamento a una organizzazione autonoma controllata direttamente dal Comune. La prima soluzione può essere appetibile per chi spera di intrufolarsi maneggiando la gara, ma è rischiosa, umilia l’autonomia cittadina e non si confà al tipo di servizio, che deve essere puntualmente collegato agli indirizzi degli organi democratici del Comune. La seconda soluzione sembra di gran lunga preferibile.
Ma tira un’aria di ostilità che sta bruciando ogni tipo di scelta. È stata bruciata l’ipotesi di affidare la gestione alla TEMA, un’associazione culturale partecipata e controllata dal Comune che gestisce il Teatro Mancinelli. È stata bruciata l’ipotesi di una nuova associazione culturale controllata dal Comune. Si sta bruciando l’ipotesi di una nuova fondazione di partecipazione.
Non mi dilungo sulle trappole politiche e sui cavilli legali. Mi limito all’ultimo cavillo: la costituzione di una nuova fondazione sarebbe proibita da una disposizione del decreto legge n° 95 del 2012. Anche se tale disposizione si limita a stabilire che “è fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione.” Ma la funzione di cui parliamo non sembra compresa né tra quelle fondamentali né tra quelle trasferite.
In ogni modo c’è una fondazione di partecipazione, il Centro Studi Città di Orvieto, che l’amministrazione comunale vuole chiudere perché è fortemente indebitata e si ritiene che non sia risanabile. La chiusura, che equivale a una dichiarazione di fallimento, massacrerebbe la Cooperativa sociale Carli, che è di gran lunga il principale creditore. È ben vero che c’è molto da ridire sui rapporti trascorsi tra il Comune e la Cooperativa, ma la pena di morte sembra comunque eccessiva. L’assegnazione della gestione dei beni in questione al Centro Studi, previo ritocco dello statuto, potrebbe contribuire al risanamento, tutelerebbe il personale e non disperderebbe l’esperienza accumulata. E anche l’amministrazione Concina potrebbe levarsi un peso dalla coscienza, dato che negli ultimi tre anni il Centro studi è stato amministrato, coi risultati che tutti conoscono, da un consiglio prevalentemente nominato proprio dal sindaco Concina.
Non sarebbe il caso di riflettere un po’?