di Mario Tiberi
Percorrendo le vie filosofiche alla ricerca del concetto più genuino e del significato ultimo attribuibili alla dimensione metafisica dell’idea pura di libertà, si può incorrere, anche involontariamente, in una o più fuoriuscite di strada devianti rispetto alla meta che ci si è prefissi di raggiungere.
Credo di aver già abbondantemente disquisito e insistito sulla necessità di considerare la libertà prima come un moto spontaneo e istintivo-naturale dell’animo umano e poi, solo poi, come una sua estrinsecazione consequenziale incidente sulla sfera dell’autonomia dei singoli e, da questa, proiettarsi fino a stringere rapporti con quella altrui.
Sono, allora, venute a galla le poliedriche sfaccettature in cui si sostanzia, nel divenire delle relazioni intersoggettive, il bene sommo della libertà nelle sue tre più comuni articolazioni: quella civile, quella politica e quella economica.
Non mi sento, però, compiutamente soddisfatto del lavoro intellettuale svolto poiché, in tutta onestà, avverto il potenziale sfuggirmi dall’analisi concettuale di un ulteriore elemento qualificativo come se, senza di esso, mi fossi adoperato invano.
Nel corso dei secoli, e in Italia pur nello Stato liberale postunitario e perfino in recenti manifestazioni di pensiero, si è in più occasioni assistito al dispiegamento di volontà politiche che hanno tentato in tutti i modi di imbrigliare, o quantomeno di limitare, il diritto-dovere dei precettori all’osservanza dell’unico principio a cui attenersi ed ispirarsi: quello della libera scienza e della libera coscienza, tanto che né l’una né l’altra debbano mai conoscere confini di nazionalità e/o di fede politica o religiosa, oltre quelli imposti dalla onestà degli intelletti per i quali è vietata la insinuazione del dubbio suspicioso e ai quali non va mai chiesto il conto delle proprie libere idee.
Una qualsiasi comunità, democraticamente costituita, affida il compito della pubblica istruzione a degli insegnanti non perché le siano fedeli politicamente, ma perché insegnino quello che essi, e soltanto essi, ritengono lo studio delle verità e, accadimento di gravità senza pari, porre dei limiti alle verità che è giusto e doveroso diffondere vale come sopprimere la libertà delle scienze.
Nessuno che sia in autentica “buona fede” potrà mai plaudire a simile evenienza e, tantomeno, i veri studiosi e scienziati, i quali sanno perfettamente che l’unica guarentigia a difesa del progresso scientifico risiede nella più ampia libertà di espressione e di azione. Anche nella libertà, nel campo del pensiero concettuale, di pacifica ribellione a tutti i principi universalmente accolti e a tutte le istituzioni esistenti.
Vi domanderete di quale mai libertà mi aggrada di scrivere. La domanda è legittima e la risposta non può che essere una: al di sopra delle specifiche libertà politiche, sociali, civili ed economiche vi è, sulla sommità della empirea piramide, la libertà della libera cultura che tutte le ingloba e tutte le alimenta. E ciò avviene perché la libertà culturale racchiude in se stessa una dimensione concretamente morale e idealmente etica, dalla quale non si può prescindere se non si vuole che tutte le altre libertà ritornino ad essere barbare e primitive.
Senza l’etica della libera cultura non è possibile potersi sentire compiutamente liberi nella professione del proprio pensiero politico, nell’affermazione dei diritti di cittadinanza, nel rispetto della conformità alle leggi e alle norme che regolano l’economia e la finanza.
Ancora e di più: l’etica della libera cultura significa scoprire o riscoprire che è sempre di attualità la ricerca costante di maggiori e superiori frontiere al “docentismo e al discentismo”, al libero insegnamento come anche al libero apprendimento.
Non posso a priori sapere se, con questa ulteriore digressione sulla libertà, sia io riuscito a riempire il vaso del nostro e dell’altrui ragionare; se però fosse quello di Pandora, non potrei che augurarmi che l’ultima stilla di sapienza sia somigliante all’usignolo dalle piume cerulee e dalle alette color verde pastello: la speranza che non sia mai abbandonata la via della conoscenza e del progredire liberamente.