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Home Corsivi

La Repubblica o il caos

Redazione by Redazione
7 Marzo 2013
in Corsivi, Archivio notizie
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di Pier Luigi Leoni

 

«La Repubblica o il caos»,  slogan minaccioso e inquietante di Pietro Nenni, che contribuì ad avvelenare nel 1946 la campagna del referendum istituzionale, credo che possa essere riciclato oggi in senso positivo e costruttivo. Cerco di spiegarmi.

Per chi si occupa di politica, ma anche per tutti gli altri, la più pericolosa delle illusioni è che gli esseri umani, posti col loro libero arbitrio di fronte alla possibilità di scegliere tra il bene e il male, scelgano il bene perché sono religiosi o atei, di sinistra o di destra, progressisti o conservatori, poveri o ricchi. È questa illusione che sta alla base delle grandi convulsioni delle società umane e di immani tragedie. Nei momenti di lucidità, il pensiero politico diffuso nelle grandi nazioni economicamente evolute ha realisticamente compreso che, se non c’è speranza di creare un essere umano privo della sua principale caratteristica, il libero arbitrio, si può mitigare l’effetto perverso del potere e delle sue tentazioni alternando le classi dirigenti. Vale a dire che, una volta superato lo stadio della lotta per la sopravvivenza e della violenza endemica, si può evitare la eccessiva degenerazione del potere mediante l’esercizio delle libertà politiche e la pacifica alternanza della classi dirigenti. La democrazia e il suffragio universale, basati su quella utile esagerazione che è la sovranità popolare, servono (i raffinati direbbero che sono funzionali)  al controllo tra le classi dirigenti e alla loro alternanza. Nelle grandi democrazie la chiara ed efficace distinzione tra le classi dirigenti è favorita dal pragmatico riconoscimento che nella psiche dell’essere umano prevale o una sensibilità di destra o una di sinistra. La sensibilità di destra comporta fiducia nella libertà e nella creatività, che possono efficacemente esplicarsi solo un quadro di ordine e di rispetto dell’eredità sia materiale che spirituale lasciata dagli avi. La sensibilità di sinistra comporta aspirazione all’uguaglianza, soffre per le sperequazioni sociali ereditate, propende per la revisione dei valori tradizionali.

Il ceto sociale e la cultura locale influiscono nell’adesione alla destra e alla sinistra, ma meno di quanto si pensi comunemente e, comunque, sempre meno.  La democrazia rappresentativa e il parlamentarismo sono congeniali alla dialettica tra la destra e la sinistra e non funzionano, o entrano in crisi, quando l’incertezza economica, che è sempre latente, diventa pesante e si diffonde il panico sia nelle masse, sia all’interno delle classi dirigenti. Paura della fame, paura del disordine, contestazione della classe politica, che comprende ovviamente sia chi governa che chi aspira a governare.

È una di queste fasi che sta attraversando l’Italia, preceduta dalla Grecia e forse seguita dalla Spagna, dal Portogallo e dall’Irlanda. La classe politica fu presa dal panico nel 2011, quando si prospettava una grave recessione economica con decine di milioni di persone impoverite e qualche milione di miserabili. Il parlamento si mise praticamente in disparte e delegò a un gruppo di tecnocrati (che possono chiamarsi di centro o di sinistra o come gli pare, ma che sono a tutti gli effetti di destra) le misure d’emergenza per mitigare la recessione. Le masse si sono attestate tremebonde nei loro partiti di destra o di sinistra sperando che passasse, prima o poi, ’a nuttata, o si sono affidate a un movimento antiparlamentare che propugna una democrazia diretta imperniata sulla piazza mediatica organizzata mediante la rete. Il movimento è stato innescato ed è alimentato da persone intelligenti e spregiudicate. L’uso che fanno della rete va studiato e ne fa fatto tesoro per qualsiasi tipo di iniziativa non solo politica, ma anche economica e culturale. Ma il movimento è in preda agli eccessi dello stato nascente, quella fase ben studiata dal famoso sociologo Francesco Alberoni (sovente sfottuto da chi dice che non sa parlare d’altro che di movimenti e gli ha affibbiato il nomignolo di “Banal Grande”).  In ogni modo lo stato nascente esiste, ed è una fase di euforia che moltiplica le forze fisiche e psichiche, dà nuovo entusiasmo a chi si era occupato di politica e ne era rimasto deluso, coinvolge chi di politica non si è mai occupato, smuove soprattutto i giovani (ma oggi si considerano giovani anche i quarantenni) e qualche anziano curioso e arzillo. Questo fenomeno ha indotto a votare molta gente che sarebbe rimasta a casa e ha sottratto molti voti ai partiti, tagliando la strada sia alla destra che alla sinistra. Hanno votato per il movimento anche molti benpensanti, a prescindere dal programma politico, che comprende molte proposte ragionevoli e obiettivamente utili, addirittura scontate, ma anche contraddizioni e smargiassate. Sia gente di destra che di sinistra ci ha trovato pane per i propri denti.

Benché una iniezione di democrazia diretta sia corroborante, come lo è stata per gli Stati Uniti d’America, le istituzioni democratiche devono superare la fase di panico e rimettersi a spingere il carro per la salita, riconquistando, se non l’entusiasmo, almeno il rispetto delle masse. Altrimenti è il caos. Ma il caos, tutto sommato, non conviene a nessuno, né in Italia né in Europa.

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