di Dante Freddi
Qualche giorno fa ho rilanciato nella smorta discussione cittadina il problema del riuso dell’ex ospedale, migliaia di metri adiacenti al duomo, l’immobile più prestigioso presente sul banco di vendita dei beni pubblici orvietani.
È un argomento che si inserisce con prepotenza nel disegno della città dei prossimi anni e che coinvolge tutte le forze politiche e amministrative cittadine e regionali. È da loro infatti che dipende cosa si farà lì, è da loro che dipende se la Regione stabilirà di utilizzarlo per fini sanitari, magari con un progetto avanzato per garantire livelli accettabili di protezione ai malati e ai disabili, in gran parte anziani, oppure se lo acquisterà il Comune, che ha la prelazione, o qualche privato.
Un riuso in senso assistenziale, magari con partecipazione dei privati, impegnerà nell’attività decine di persone con livello di specializzazione medio alto e alto. È una idea vecchia, spesso vilipesa e scansata con irritazione e spocchia, che condivido pienamente. Anche altre destinazioni, di cui comunque bisognerà parlare e verificare che non siano pura speculazione, comporteranno occupazione sia in fase di ristrutturazione che di gestione. È certo invece che così come è ora si ottiene soltanto un inesorabile degrado, che si aggiunge a quello della Piave, in un clima di abbandono che intristisce e sgomenta.
Qualsiasi scelta sarà discussa e discutibile, ma non scegliere è mortificante e sparge nei cittadini quel senso di impotenza che ormai aleggia ovunque.
Allego il commento di Gianni Pietro Mencarelli al mio articolo, perché il suo intervento è funzionale a dilatare il dibattito e perché condivido le sue considerazioni, che prego i lettori di meditare.
Gentile Direttore,
non posso proprio esimermi dal commentare il Suo corsivo e, sostenendo la sua tesi, mi limiterò a fare una breve cronistoria che credo possa essere utile:
Il plesso ex ospedale nel lontano 1999 prima di essere lasciato dall’attività sanitaria, per il trasferimento presso la nuova sede di Ciconia, fu interessato da un intervento impiantistico e manutentivo proprio per lasciarlo nelle condizioni ottimali per un suo immediato utilizzo per fini sociali. Allora si parlava di una struttura per anziani collegata anche ai servizi sanitari, con un tutte quelle attività tipiche di un moderno centro di salute; ma le cose sono andate diversamente, sarebbe lungo ora descrivere cosa veramente sia successo nell’occupazione da parte di vari soggetti istituzionali e privati che si sono inseriti nell’immobile e che,hanno determinato, tra l’altro, per il Comune un debito nei confronti della ASL per canoni di affitto, impedendo di fatto la realizzazione sociale di cui da tempo si parlava e che nessuno a voluto o vuole prendere in considerazione, nonostante l’enorme bisogno dei nostri anziani.
Intanto la parti non occupate venivano lasciate in totale abbandono ed oggi per la penetrazione dell’acqua piovana, quasi tutto l’immobile è praticamente divenuto inagibile.
Purtroppo gli esempi nella gestione del patrimonio pubblico, che sono sotto gli occhi di tutti, mi impedisce di pensare ad una premeditazione da parte di “qualcuno” per riservare alle speculazioni immobiliari il prestigioso complesso, reso ormai inservibile e impossibile da gestire o recuperare in assenza di risorse.
Ma io spero ancora che qualcosa accada ed insieme a tanti altri continuo a dire che Orvieto ha pagato un prezzo molto alto in termini di perdita dei patrimoni che i cittadini laboriosi avevano realizzato per la città, poderi, palazzi, basterà citare il Lascito Desolis che doveva servire per realizzare un centro anziani, ora finito nelle mani della Regione, sufficiente da solo a compensare la restituzione del vecchio ospedale restaurato ai cittadini, con un servizio moderno e attrezzato per autosufficienti e non autosufficienti, utile per una città che ogni giorno perde un pezzo; altro che città della salute nelle caserme, che non verrà mai realizzata.
Intanto i nostri vecchi sono costretti ad un esilio forzato verso paesi vicini o addirittura, per quelli che se lo possono permettere, a rimanere nelle “mani delle badanti” che pur ringraziandole per la loro presenza e il loro servizio , non sono certo a mio giudizio la soluzione ottimale.