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Home LETTERE PROVINCIALI

Diciamocelo n°29 del 18 marzo

Redazione by Redazione
19 Marzo 2013
in LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Caro amico, questa settimana ti scrivo …

 Pier Luigi Leoni

 

Caro amico, così ti rispondo …

Franco Raimondo Barbabella

Perché non invitiamo i grillini a dirci come si fa il bilancio?


«Amministrare oggi è molto problematico»  ha detto Toni Concina. «Per effetto della contrazione dei trasferimenti statali, il nostro Comune avrà 1,5 milioni di euro in meno di risorse finanziarie rispetto allo scorso anno ed altrettanti per il prossimo anno. Ciò significa che il trasferimento delle responsabilità rimbalza sugli enti locali. Avremo un altro anno di grave criticità mentre ad ottobre scorso ritenevamo di presentare il bilancio 2013 in tempi ravvicinati, oggi siamo tornati alla fase di doverci inventare soluzioni finanziarie diverse». (OrvietoSì)

 

P. La legge di stabilità 2013 ha introdotto novità di tale rilevo in materia di risorse statali, di alienazioni immobiliari per il ripiano del debito e di utilizzazione dei contributi di urbanizzazione che la redazione del bilancio del comune di Orvieto si presenta molto problematica. Non solo perché pesa ancora enormemente il retaggio del passato, ma anche perché le entrate correnti  sono largamente insufficienti a coprire le spese correnti, cioè le spese necessarie per sostenere i servizi ai livelli attuali. Non se ne esce senza ridimensionare  i servizi e aumentare le tasse. Se la sentirà la maggioranza del consiglio comunale di adottare misure che impoveriscano ancora la popolazione? È vero che quando non ci sono alternative qualcuno deve pur adottare le misure indispensabili  e che questo compito spetta alla maggioranza. Ma è anche vero che la maggioranza può chiedere alle minoranze di partecipare alle necessarie scelte drammatiche e, in caso di rifiuto, rimettere la palla all’elettorato. È la democrazia, ragazzi! E chi dice che scioglimento  del consiglio ed elezioni anticipate non siano democrazia? Magari si può prima tentare la redazione di un bilancio partecipato, come prevede il mai rispettato statuto comunale, così anche il Movimento 5 Stelle può dire la sua. Vediamo se l’intelligenza, la saggezza e il coraggio che servono sono finiti lì.

 

F. Tutto si può fare, anche consultare mago Zurlì. Ed è probabile che non molto di diverso resti ormai da fare in una città così malconcia in un Paese ridotto così. Tuttavia, se vogliamo mantenerci su un piano di analisi razionale alcune cose sensate si potrebbero ancora dire e alcuni interventi si potrebbero ancora tentare. Partiamo allora da un assunto, che non penso sia del tutto arbitrario: i problemi della città, in analogia con quelli del Paese, sono i problemi della sua classe dirigente, che è si espressione del popolo (a sua volta fatto di individui con le caratteristiche complesse della dimensione umana), ma che, in ragione dell’incarico ricevuto, ha la responsabilità di interpretare e risolvere i problemi della comunità, o almeno di tentare di farlo. Nella successione storica delle sue classi dirigenti, il dato emergente della città è il progressivo venir meno dei caratteri della lungimiranza e del coraggio, accompagnato da un vero e proprio atteggiamento di noncuranza per gli interessi generali rispetto  agli interessi di parte, cosicché quelle che in certi momenti si sono presentate come novità sono state viste più come pericoli che come occasioni da cogliere. Il risultato che tutti possiamo constatare è una piatta omogeneità verso il basso. Iniziata con il centrosinistra, non è stata certo interrotta e invertita dal centrodestra. Come minimo dovrebbe venire il dubbio se vale ancora la pena poggiare le ipotesi di governo su questo schema di due soggetti, peraltro compositi e contraddittori, che si scontrano su tutto. Comunque, in queste condizioni non può certo meravigliare che dopo quattro anni i problemi di bilancio, invece che essere risolti, sono ancora gravi se non peggiorati. Diciamola tutta: si sono messe le toppe, come prima; si sono alienati alcuni beni, come prima; si sono fatti artifici, come prima; si è data priorità alla popolarità, come prima. Però non si è tentato di elaborare una strategia, non dico di lungo periodo, ma nemmeno di una qualche sensata durata. Non si sono approntati progetti significativi capaci di utilizzare le potenzialità territoriali che pure ci sono anche in epoca di crisi e di sicuro non ci si è manco lontanamente preoccupati di inserirsi in contesti diversi di più vasto respiro. Si è pensato a sfangarla, non a preparare il futuro. Vale dunque ripetere che gestire il bilancio non è un’operazione contabile, ma politica, di politica vera, se c’è. La situazione è drammatica? Se ne esca almeno con dignità. Si inventi quello che si vuole, ma basta con il popolo che alla fine vota alla disperata perché non sa più a che santo votarsi. Basta con i cambiamenti virtuali, con le prospettive messianiche e con il tocco magico del mago di turno, tutte cose che si risolvono inevitabilmente in penosi fallimenti. Ci si deciderà finalmente a prendere atto che è finita un’epoca, quella segnata non tanto dalle vacche grasse quanto dagli artifici per spartirsi vacche taroccate o che manco c’erano, l’epoca delle lotte di fazione, che ad Orvieto sono state la linfa vitale di intere generazioni? Ci si deciderà per contro e di conseguenza ad approntare una vera e propria strategia di attacco contro le tendenze distruttive che travolgono ormai anche la voglia stessa di esserci? Spero che i soggetti più consapevoli superino particolarismi e divisioni e si propongano come nuova classe dirigente. E comunque che non si permetta ai responsabili del disastro o di reinventarsi salvatori o di far pagare a tutti la loro insipienza lasciando campo libero a nuovi venditori di fumo. Abbiamo già dato.

 

All’attacco di Papa Francesco

 

Tutti sono rimasti colpiti dalla sua solennità informale, dall’umile richiesta ai fedeli di pregare per lui fino a quel “fine del mondo” per indicare l’importanza di una scelta di un Papa nato al di là dell’Oceano. E poi la scelta del nome rivoluzionario, Francesco, così come la formazione gesuita hanno contribuito a dare all’ex arcivescovo di Buenos Aires un immediato carisma presso fedeli e non fedeli. Insieme a questa prima impressione, Papa Francesco ha subito visto fiorire attorno a sé una straordinaria aneddotica, parte della quale vede in Padre Lombardi, abilissimo uomo di comunicazione, un ottimo veicolo: lui ha raccontato della visita a Santa Maria Maggiore di oggi in cui ha chiesto che la struttura fosse aperta a tutti “perché lui è solo un pellegrino in mezzo ad altri pellegrini” (definizione che si è dato anche Benedetto XVI nel suo addio) e del conto pagato alla Casa del Clero (in quanto eletto al soglio pontificio, poteva evitarlo), sempre lui ha sottolineato che la visita è stata fatta in vesti semplici e in posizione paritaria rispetto ai fedeli. La Santa Sede vuole chiaramente proporre il ritratto di un vero primus inter pares. Non solo tra i vescovi, come vuole il Vaticano, ma anche tra i fedeli. Ecco perché si dà tanto risalto alla telefonata alla famiglia romana che spesso l’ha ospitato così come a quella al predecessore emerito Joseph Ratzinger, per questo si sottolinea la modestia della sua abitazione e l’impegno con i poveri. E infine anche il girare in autobus come l’essere tifoso della squadra di calcio del San Lorenzo, la cui cappella ha inaugurato e di cui è socio onorario, fanno parte di questa immagine che tv e giornali, in tutto il mondo, stanno proponendo. Una visione della nuova guida dei cattolici non lontana dalla realtà se è vero che Lucio Brunelli, stimato collega vaticanista del Tg2, domenica (in tempi non sospetti, quindi) lo presentava su Facebook come un sant’uomo a cui tutti i colleghi porporati, per le sue qualità umane e spirituali altissime, avrebbero chiesto consiglio nel Conclave.

Molto meno approfondita, invece, la sua storia passata: e non parliamo dei lavori giovanili o della fidanzata che ha citato nell’autobiografia, né tanto meno della passione per il tango. Parliamo del passato oscuro, quello raccontato nel libro, bello e approfondito, L’isola del silenzio, in Italia edito da Fandango. Difficile ignorare la credibilità e la potenza della denuncia dell’autore, visto che Horacio Verbitsky è il giornalista più autorevole per quanto riguarda i crimini del regime militare. (Boris Sollazzo).

 

P. È cominciato il battage anticattolico per “smontare” la figura di Papa Francesco. Non c’è niente di nuovo e di strano nel fatto che una parte dell’umanità, di destra e di sinistra, che odia la Chiesa cattolica. Le cause dell’odio hanno origini lontane e vicine, essendo la Chiesa storica una organizzazione con finalità ultramondane (la salus animarum, cioè la salvezza eterna dell’umanità) che vive nel mondo e perciò è circondata all’esterno e rosa all’interno dai difetti, piccoli e grandi, degli esseri umani. Se i comunisti ritengono che i dittatori e i militari argentini, dei quali moltissimi di origine italiana,  fossero un branco di assassini (come in parte effettivamente erano) mentre i rivoluzionari comunisti fossero degli angioletti (che effettivamente non erano), sono padroni di crederlo e anche di dirlo. Se essi ritengono che gli ecclesiastici argentini dovevano farsi ammazzare per il gusto di veder realizzato un bel regime castrista in Argentina, sono padroni di pensarlo e di dirlo. Ma ho l’impressione che dopo duemila anni di storia, il cattolicesimo è più presentabile del comunismo, del fascismo, del nazismo e del turbocapitalismo.

 

F. Si, forse c’è anche quello che dici tu, ma io penso che oggi è per tutti così: raggi X su presente, passato e perfino futuro di chiunque si presenti sulla scena del tempo. Credo che più che di un attacco alla Chiesa da parte di chi si ispira ad ideologie, si tratti di spettacolarizzazione massmediatica di ciò che accade, certo con il vantaggio di mettere tutti in condizione di essere più informati e però contemporaneamente con lo svantaggio di veder assoggettato quasi tutto ad una presunta patente di credibilità che i gruppi di interesse vorrebbero conferire a ciascuno quasi in regime di monopolio.  Questo non mi piace, anche perché a me pare che Papa Francesco sia una gran bella novità densa di futuro, che la rinuncia di Benedetto XVI° alla fine ci ha regalato. Avevamo bisogno di un esempio di alternativa possibile ad una civiltà dello spreco e della superficialità e ad una pessima condizione, depressiva delle migliori energie, che si autoalimenta delle lotte fratricide. Avevamo bisogno di speranza, ed oggi questa speranza ce la sta proponendo Papa Francesco. Non saranno i tentativi di denigrazione a fermarla, anzi, essi testimoniano da subito la difficile sfida che tutti di fatto abbiamo dinanzi: la ricostruzione di una convivenza per convinzione, la volontà di stare insieme per la condivisione di un comune destino. Sta a noi raccoglierla, sapendo che anche questa volta gli istinti di cieca conservazione, comunque colorati, sono pronti a scattare.

 

Diritti delle coppie omosessuali e diritti in genere.

 

Non si è omosessuali solo in camera da letto, ma anche nel lavoro, a scuola e in famiglia, e si deve avere diritto, se lo si ritiene, di poterlo dichiarare senza timore di essere emarginati […] È forse liberale che i pregiudizi, o le paure, o i gusti di alcuni, tanti o pochi che siano, diventino normativi fino al punto da annullare i diritti degli altri? Immagino di no. Il matrimonio che rivendichiamo è il matrimonio civile, non quello religioso, e dunque perché uno Stato liberale dovrebbe negarcelo? Siamo uguali per i doveri fiscali e diseguali per i diritti civili? Vogliamo discuterne sul piano dei princìpi? (Paolo Patanè, presidente nazionale Arcigay).

 

P. Il matrimonio è strutturato, nel nostro ordinamento giuridico in funzione della coppia uomo-donna e della prole. Per adattare questo istituto alle coppie omosessuali basta modificare qualche articolo del codice civile. Ma se si fa questo in nome dei diritti e della libertà, perché non estenderlo ad ogni tipo di convivenza dove una o due o più persone si amano e voglio stare insieme con o senza implicazioni sessuali sia etero che omo? In altri termini perché non si abolisce il matrimonio e non si regola più efficacemente la convivenza? Lo status sociale di due o tre o più persone che vogliono stare insieme per qualsiasi lecita ragione, compresa la tendenza alle ammucchiate, è meno importante di quello di una coppia omosessuale? Rimane il problema dei bambini, ma in questa materia i doveri sono più importanti dei diritti. Pertanto dovrebbero essere gli psicologi a definire qual è l’ambiente migliore per la loro crescita dei bambini e le leggi dovrebbero tener conto della psicologia. Certo, anche in psicologia c’è molto di opinabile e si possono trovare psicologi convinti che un bambino cresca benissimo e magari meglio in una famiglia di omosessuali. Ma spetta al parlamento la penultima parola e l’ultima spetta al popolo. La democrazia funziona così. Ma pure la dittatura ha i suoi rischi perché entra in ballo la tendenza sessuale del dittatore o della dittatrice.

 

F. È notorio che questo è tema difficile da affrontare con equilibrio per il groviglio di questioni che vi sono intrinsecamente connesse. Lo schematismo di Patanè non mi convince: non capisco in particolare perché ci si intestardisce a voler definire matrimonio l’unione tra gay quando con questa parola si indica un istituto storicamente fondato sull’unione di due persone di sesso diverso. L’istituto con cui si vuole disciplinare il rapporto di vita stabile tra due persone di identico sesso può benissimo essere chiamato unione o indicato con altra parola ritenuta consona, purché naturalmente gli effetti civili siano gli stessi, con la sola eccezione dei figli, che evidentemente, non potendo nascere dall’unione, nel caso non potrebbero essere che adottati. Che c’è di discriminatorio nel pensare che, per disciplinare la volontà di due persone di vivere insieme, possono esistere forme giuridiche diverse per situazioni oggettivamente e soggettivamente diverse? Ho detto stessi diritti con l’eccezione dei figli, cioè delle adozioni. Certo, il ruolo degli psicologi è rilevante, ma la soluzione a mio parere non può essere affidata in modo esclusivo né all’analisi microscopica del caso per caso né all’automatismo della norma generale. Qui infatti prevale certamente la tutela del soggetto più debole, che è il bambino: è lui che ha la titolarità dei diritti prevalenti e non la coppia gay che vuole soddisfare un pur comprensibile desiderio di genitorialità. La questione dunque è molto delicata e complessa e non me la sento né di liquidarla con un secco diniego né di ammetterla come naturale evoluzione culturale e sociale. Mi auguro solo che non si proceda più per posizioni ideologiche, pronti a scatenare su ogni parola una guerra di religione.

 

 

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