di Stefano Olimpieri
Con una iniziativa presso la Sala consiliare, principale e più importante luogo istituzionale della nostra città, il Comune di Orvieto ha celebrato il “giorno del ricordo”: l’iniziativa – sobria, ma assolutamente intensa – ha voluto ricordare il dramma degli italiani in Istria e Dalmazia durante e dopo la seconda guerra mondiale. Senza voler riscrivere la storia e senza avere la presunzione dell’infallibilità, è stato rappresentato l’esodo dei 350.000 nostri connazionali, sono state ricordate le migliaia di persone uccise nelle foibe per il solo fatto di essere italiane ed è stata ricostruita la storia millenaria di quelle terre. L’iniziativa ha avuto il pregio di contribuire a far conoscere un pezzo di storia italiana, ma soprattutto ha avuto la forza di lanciare la necessità di costruire una memoria condivisa e di superare le contraddizioni del ‘900 per ritrovare un comune senso di appartenenza. Per troppi decenni gli schematismi ed i pregiudizi ideologici hanno castrato ogni possibilità di dare dignità alle migliaia di italiani cacciati dalle loro terre e dalle terre dei loro padri. Come giustamente ha affermato il Sindaco di Orvieto nella sua sintetica ma toccante introduzione, nei decenni passati gli esuli non hanno mai lanciato neanche una bomba carta o bruciato una bandiera per la difesa della loro causa, dimostrando che la gente di Istria e di Dalmazia ha vissuto il dramma dell’esodo con grandissima compostezza e con impareggiabile dignità. Eppure vi sarebbero stati tutti i presupposti, visto che per decenni in Italia il conformismo culturale ha difeso tutte le minoranze oppresse in giro per il mondo, mentre mai una voce è stata alzata per ricordare la tragedia che hanno subito gli italiani di Istria e Dalmazia: forse perché alzare le bandiere palestinesi, curde o vietnamite faceva più chic e rendeva più politicamente corretti? Nessun libro di storia, nessuna trasmissione televisiva, nessun Convegno per ricordare: un assordante silenzio che è servito esclusivamente per ottenere il lasciapassare nel frequentare i salotti buoni dell’italico conformismo culturale. In quei decenni la partitocrazia, i grandi giornali, i cattedratici universitari, gli editori e gli immancabili intellettuali hanno fatto una vera e propria gara a chi fosse più anti-italiano: erano i tempi nei quali per essere alla moda e per poter fare carriera si doveva denigrare l’Italia ed il tricolore – con tutto quello che nel profondo rappresenta –. Quello che successe ai nostri connazionali di Istria e Dalmazia è la chiara dimostrazione che la storia si può manipolare o silenziare, ma non si può cancellare, soprattutto se quella storia ha visto sventolare per secoli e secoli sulle terre di Istria e Dalmazia l’Aquila di Roma, il Leone di Venezia ed il Tricolore di D’Annunzio e dei suoi legionari. Mentre ascoltavo gli interventi osservavo il grande stendardo che raffigura lo Stemma del Comune di Orvieto e le bandiere della Dalmazia proiettate sullo schermo: queste immagini mi hanno riportato a quando – da acerbo Consigliere Comunale – presentavo all’attenzione dell’Assemblea una mozione che chiedeva di ricordare il dramma delle foibe e l’esodo degli italiani di Pola, Zara, Fiume. Ma una quindicina di anni fa ad Orvieto regnava ancora il conformismo culturale e l’ideologia anti-italiana. Da allora molte cose sono cambiate ed oggi anche la nostra città può ricordare nella Sala Consiliare – massimo luogo istituzionale cittadino – gli italiani infoibati e gli esuli istriani e dalmati. Mentre uscivo un po’ emozionato dalla Sala Consiliare ho avuto la consapevolezza che questi anni non sono passati invano e che la verità e la giustizia non possono essere cancellate: e mentre avevo forte questa consapevolezza, mi tornava alla mente una canzone della Compagnia dell’Anello che nel raccontare in musica la storia dell’Istria e la Dalmazia nel ritornello ricordava che in quelle terre “…… anche le pietre parlano italiano”.