di Pier Luigi Leoni
Prima o poi doveva succedere. È successo in Italia e, in proporzione superiore alla media nazionale, è successo a Orvieto. La classe dirigente non si è dimostrata all’altezza dei problemi che la crisi ha acuito. Crisi nazionale e crisi locale. Gli Orvietani sono entrati nel panico. La metà di loro ha cercato scampo nella protesta distruttiva, che consiste nell’astensione dal voto, e in quella rivoluzionaria, che consiste nel voto a un movimento palingenetico. Le proteste da bar, arricchite e strombazzate da un comico di talento, robusto, esibizionista e ben consigliato, hanno assunto dignità e sostanza di speranza politica. Metà dell’elettorato, per ragioni più emotive che ideali, ha malinconicamente votato per i partiti maggiori, ancora mantenuti in vita dall’odio reciproco. Sì, perché, una volta banalizzate dalla storia quasi tutte le motivazioni ideologiche, una volta smitizzato lo scontro di classe, non resta che l’odio. I cosiddetti bersaniani hanno digerito il grigiore di un anziano e scialbo militante di partito, nella speranza di seppellire l’odiato avventuriero che da vent’anni umilia la sinistra. I cosiddetti berlusconiani hanno digerito la ciarlataneria del vecchio incantatore di serpenti per schiacciare ancora una volta una sinistra supponente della quale conoscono e ricambiano l’odio. Quell’odio reciproco non si è placato nemmeno quando la crisi economica ha fatto sentire il suo morso e ha manifestato la sua implacabile distruttività. Esso covava anche nel momento dell’emergenza e nel periodo del governo tecnico, boicottato nei suoi tentativi di arginare la crisi dal momento in cui è apparso evidente che gli effetti dell’alluvione sarebbero stati lunghi e devastanti per chi vive nei piani bassi della nazione.
Nel movimento cinque stelle hanno trovato sfogo e motivi di speranza coloro che si sentono frustrati dall’andazzo politico e che non sono emotivamente coinvolti nell’antagonismo destra-sinistra, intossicato e reso sterile dall’odio. Si potrebbe obiettare a costoro che, prima di ridursi e farsi ridurre a uno stato di frustrazione, avrebbero dovuto impegnarsi nella scena politica con spirito di rinnovamento. Non avrebbero così avuto la necessità di farsi aizzare da un comico per scoprire che la politica doveva e poteva essere tempestivamente riformata.
Ma tant’è. Destra e sinistra potranno interloquire col nuovo movimento e valorizzarne le spinte riformiste rispetto a quelle eversive se sapranno trasformarsi, aprirsi e isolare, anche nel loro interno, le frange emotive e distruttive.
Il discorso vale per Orvieto non meno che per l’Italia.