di Monica Tommasi, presidente Amici della Terra Orvieto
Chi direbbe oggi di essere contrario alle fonti rinnovabili? Nessuno. Sono “pulite”, sono rinnovabili, sono sostenibili, sono green. Poi succede che una società decide di presentare un progetto di 18 torri eoliche per 41 MW di potenza sul nostro monte Peglia, alle spalle del duomo di Orvieto e allora le persone che vivono sul territorio cominciano a informarsi, a leggere e … a preoccuparsi molto. E succede che quel mito inattaccabile e indiscutibile della Green Economy, che ha portato, nelle tasche di pochi, lucrosi guadagni nell’ultimo decennio, si guarda con altri occhi, senza la paura di mettere in discussione rappresentanze e contenuti. Per punti proviamo a smascherare molte posizioni e dati che associazioni, anche ambientaliste, e cordate lobbystiche ci hanno imposto come atti di fede.
- Costi nelle bollette elettriche in un momento di crisi. Altro che IMU!
L’eccesso di incentivazioni concentrate sulle rinnovabili elettriche ha fatto proliferare in maniera sproporzionata torri eoliche, pannelli fotovoltaici a terra, biomasse per la sola produzione elettrica. Per gli incentivi alle rinnovabili elettriche sono stati sottratti ai portafogli degli italiani circa 11 miliardi, per il solo anno 2012. E il prelievo proseguirà per oltre 20 anni, si stima che il costo totale degli incentivi destinati in Italia alle fonti rinnovabili elettriche dal 2009 al 2032 sarà pari a circa 220 miliardi di euro. Il picco di spesa si raggiungerà nel 2016 quando si supereranno i 12,5 miliardi di Euro di incentivi l’anno.
- Consumo di suolo.
Comunemente si considera che gli impianti di energia rinnovabile abbiano bisogno solo di sole e vento, risorse primarie gratuite. Purtroppo non è così. Occorre anche una risorsa importante come il territorio. In un paese, come l’Italia, ad alta intensità abitativa, il territorio è un bene prezioso, sia per la sua relativa scarsità per gli usi primari, agricoli, silvicoli e zootecnici, sia per la conservazione di habitat necessari alla biodiversità, sia per il paesaggio naturale e culturale su cui si fonda l’identità della nazione. L’eolico richiede un uso del territorio sette volte superiore a quello del fotovoltaico integrato. Le 6.000 torri eoliche italiane con una potenza installata di 8.000 MW, occupano all’incirca 230.000 ettari (considerando solo l’intorno di 350 m e senza contare gli effetti paesaggistici ben più vasti), lavorano in media 1600 ore all’anno e producono meno di due impianti turbogas da 800 MW che occupano circa 4-6 ettari di zona industriale.
- L’impatto paesaggistico.
La visibilità delle torri si estende ben oltre il territorio compromesso direttamente e indirettamente per l’installazione delle torri . Nel nostro caso le pale del Peglia, alte tre volte il duomo di Orvieto si vedrebbero a Marsciano, a Todi e fino Perugia, naturalmente da tutto il territorio orvietano.
- Ma quanto contribuisce a livello energetico?
L’eolico rappresenta oggi un contributo del tutto marginale al bilancio energetico nazionale. Nel 2011 il contributo dell’eolico rispetto ai consumi totali di energia del Paese è stato dello 0,5%; il 3% rispetto ai consumi finali di energia elettrica. Il suo contributo in termini di produzione di energia elettrica rimarrà marginale anche in futuro e tale da non giustificare i danni gravissimi che esso provoca all’ambiente naturale e al patrimonio culturale della Nazione.
- Perché si fanno gli impianti anche dove non c’è vento?
Prendendo a riferimento il costo medio degli impianti eolici stimato in Europa, gli impianti con ventosità equivalente a circa 1.600 ore all’anno risultano competitivi in assenza di incentivi. Con l’incentivazione vigente fino ad oggi in Italia sono risultati redditizi siti con appena 900 ore, con pale che girano poco più di un mese all’anno. Ciò spiega il gran numero di nuove richieste. Dal 2013 è entrato in vigore per i nuovi impianti il sistema delle aste, molto criticato dagli operatori del settore perché potranno concorrere alle gare solo se dimostreranno l’affidabilità patrimoniale. Le garanzie sono ingenti, per un impianto di circa 30 MW si parla di cifre vicino ai due milioni di euro da bloccare. E’ difficile capire come la società che ha presentato il progetto sul Peglia potrà dimostrare affidabilità patrimoniale dato che ha un capitale sociale di 10.000 Euro e vorrebbe costruire un impianto da 41 MW, un impianto che ha un valore di circa 60 milioni di Euro.
- Quanto ci costa 1 kWh prodotto?
Il costo aziendale di 1 MW di potenza eolica installato è pari circa a un milione e mezzo di Euro. Se si ipotizza una produttività di 2000 ore all’anno e una vita dell’aerogeneratore di 25 anni si produrrebbero in teoria 50.000 ore, pari a 50 GWh e quindi un costo di 30 Euro al MWh (1.500.000 euro diviso 50.000 MWh) oppure 3 centesimi di Euro il kWh. Sarebbe un bel risultato. Ma realisticamente un impianto ha una vita di 15 anni e rifacendo i calcoli, mantenendo l’ipotesi di un sito da 2.000 ore, si ottiene 50 Euro a MWh. Ancora buono, almeno per il mercato italiano dell’energia elettrica, che è uno dei più cari al mondo.
Ma la produttività reale dei siti eolici italiani, che ormai si conferma abbastanza costante, se non addirittura in leggera decrescita, è attorno alle 1.500 ore di produttività annue. Mantenendo costante la vita utile in 15 anni, si ottiene il risultato di 22.500 ore di produzione complessiva, pari a 22,5 GWh e quindi un costo di 66 Euro al MWh. E qui già siamo con costi sopra al prezzo di mercato dell’energia elettrica dell’inizio di gennaio (65 Euro al MWh).
- Produttività degli impianti.
Uno studio dedicato all’argomento della produttività degli impianti eolici (vedi “Wind farm turbines wear sooner than expected, says study”) dice che la durata di 15 anni è un’ipotesi molto ottimistica e la curva discendente della produttività è molto più accentuata e rapida del previsto, per cui quei 66 Euro al MWh di costo sono un’ipotesi poco realistica. Ad esempio in Umbria le uniche due pale presenti a Fossato di Vico, che hanno 12 anni, dal 2009 al 2011, hanno lavorato in media 1500 ore all’anno.
- Costi ingegneristici non aziendali che ricadono sulla collettività e quindi sulla bolletta.
Sono i costi per rinnovare le reti che allo stato attuale non sono più adatte a supportare l’energia non programmabile e sono dell’ordine di grandezza di milioni di Euro all’anno per i prossimi anni da aggiungere ai “costi di dispacciamento” (costi per mantenere in costante equilibrio il sistema elettrico), difficili da quantificare ma che ricadono sulle bollette e in deciso aumento perché è aumentata la produzione da fonti intermittenti che creano instabilità alle reti.
- Costi esterni.
Questi costi ricadono sulla collettività e non sono sostenuti da chi li ha generati. Sono legati a fattori di impatto ambientale. Ad esempio sono i danno provocati dal rumore, dagli incidenti, al patrimonio immobiliare, alle attività produttive e sociali. Molto spesso, anzi quasi sempre, questi costi non vengono valutati nell’ambito del processo decisionale creando una vera e propria distorsione del mercato.
Lo sviluppo delle energie rinnovabili è necessario ma senza creare speculazioni, spreco di denaro degli utenti e danni alla collettività e al territorio, per questo è necessaria una valutazione corretta dei costi e dei benefici. Troppo spesso alcune parole come “verde”, “pulito” o “sviluppo sostenibile” vengono usate con superficialità per coprire interessi lobbistici: eppure dietro queste parole c’è la nostra vita, quello che respiriamo, che mangiamo, c’è la nostra libertà di muoverci, il nostro diritto alla salute, al silenzio, alla bellezza di un panorama, insomma in una sola parola c’è “la qualità della vita”.