di Mario Tiberi
Quando e se impareremo a comportarci da educati usufruitori dei beni naturali e non da brutali predatori degli stessi, diventeremo più ricchi e il nostro Pianeta sarà meno povero.
Un concetto del genere, parola più parola meno, lo ritrovai tempo addietro scritto su un foglio di carta che il vento stava portando via con sé.
Era un messaggio, oggi ne sono sicuro, rivolto agli uomini e alle donne di buona volontà come lo sono tutti quei messaggi che contengono significati di saggezza antica, di tenerezza benevola, di giustezza antropofila.
Alcuni lettori e alcune lettrici che seguono, bontà loro, il mio peregrinare letterario alla ricerca di una qualche verità, mi chiedono sempre più insistentemente il perché di tanto affaccendarsi quando sembra che tutto sia sul punto di travolgerci, anche oltre le colpe a noi imputabili.
Chi avanza tali riserve e perplessità farebbe bene, in prima battuta, a domandarsi come mai non è ancora accaduto il miracolo di una provvidenziale rinascita di civiltà e a rispondersi, in seconda, che è riposta nella pigrizia e nell’insensibilità umana la causa efficiente degli attuali degradi e dissesti, morali ed esistenziali.
Ci si è mai chiesti, in un serrato contraddittorio con se stessi, se sia per caso la realtà a noi esterna ad esserci nemica e crudele o, non piuttosto, che le più veritiere fondamenta dell’esistente malessere vadano ricercate nell’esatto opposto?. Non è forse vero che gli esseri umani, quando gettano nell’arena della vita il massimo della loro testarda e cocciuta ostinazione, sanno essere i peggiori sciupatori delle divizie naturali, gli scempiatori più accaniti delle bellezze ambientali, i predoni più cinici e spietati?.
Alla incontentabilità e all’avida ingordigia non vi è, probabilmente, risolutivo rimedio se non l’autoconvincimento, filtrato attraverso l’abbattimento delle ingannevoli forme dell’apparenza, che tutto ciò che non serve pesa, e pesa enormemente.
Pesano le biblioteche private della cultura quando i volumi del sapere vengono lasciati ad ammuffire sugli scaffali; pesa l’informazione televisiva e giornalistica quando è faziosa e settaria e quando si occupa di pettegolezzi e frivolezze mondane; pesano gli intrighi da sottogoverno perpetrati da politicanti senza scrupoli per impinguare le loro già strabocchevoli greppie personali; pesano i chiacchiericci formalistici tesi al mantenimento delle sovra e sottostrutture del potere spicciolo, inconcludenti e fuorvianti; pesano gli ori e i preziosi sfoggiati ostentatamente per accreditarsi di uno “status symbol” dai piedi d’argilla; pesa il constatare che più coriaceo della dignità e dell’amor proprio risulta sempre essere il tornaconto e l’utilitarismo; pesano, infine ma non da ultimo, le polemiche sterili su eventi religiosi e civili soprattutto se accompagnate da accuse infamanti verso professionisti della comunicazione mediatica, seri e responsabili.
Se è vero, dunque, che diventa oneroso ed arduo da tenere sulle spalle del corpo e della mente l’inservente, è anche vero che quest’ultimo può rivestire le sembianze perfino del dannoso e, come tale, va rifuggito e allontanato.
Logica conseguenza del ragionamento che precede, non può che essere un processo di identificazione tra il ritorno all’origine dell’originismo, teoria in precedenza già illustrata, e l’essenzialismo quale complesso di princìpi finalizzati al discernimento tra ciò che è irrinunciabile e ciò che, invece, deve essere prima ricusato e poi eliminato.
I princìpi cardini dell’essenzialismo vanno individuati, assieme ad altri secondari, nella sobrietà dei costumi e nella frugalità dell’approccio con la materialità, senza i quali ogni dimensione dell’esistenza umana assumerà inevitabilmente il sapore acre della chimera inappagante e della folle illusione.
Dopo la teoria di broccardi di tempo che tempo non ha, “oportet” un salto verso la prassi nel diuturno del presente che presente è. Ed è proprio di questi giorni, in piena campagna elettorale, l’esplodere di un’aspra diatriba su qual è il voto utile e su quale non lo sia, sempreché una tale distinzione possa giovare in qualche modo alla declinante democrazia italiana.
E’ forse utile un voto massificante o, non piuttosto, un voto scompaginante decrepiti e squilibrati equilibri di potere?.
E’ forse più utile continuare a votare per i responsabili tutti del disastro in essere, da Berlusconi a Monti, da Fini a Bersani e nessun altro escluso, o non piuttosto affidarsi, pur se irrazionalmente, ad un drappello di valorosi, consapevoli e pacifici guastatori capaci di scoperchiare la pentola del marciume corruttivo?.
E’ forse utile un voto che palesemente ritorna a tornaconto esclusivo solo per chi ne invoca l’utilità o, non piuttosto, che la sua utilità sia indirizzata verso le crescenti sponde delle povertà emergenti?.
In sostanza, è di maggiore valenza democratica la coscienza dell’insorgenza e della risorgenza civile o quella dell’appiattimento di comodo sull’incoscienza del servilismo conservatoristico e corporativo?.
Dalle urne di fine Febbraio, i liberi ancora di un popolo allo stremo si attendono esiti rivoluzionariamente incontrovertibili.