Tratto da venti tra le più valide edizioni della Divina Commedia, da Tommaseo 1837 a Enciclopedia Dantesca 2005.
di Cesare Clerico
Notiamo che Dante pone in altissimo cielo, il cielo di Saturno, Par. XXI 121/23, fra i Beati, Pier Damiani, uno che ha fatto la stessa identica scelta di Celestino V, tornando al suo monastero come semplice monaco solo due anni dopo essere stato nominato cardinale. È quindi a nostro modesto avviso, non fosse altro che per questo, parecchio opinabile e controvertibile (fondata su argomentazioni capziose e surrettizie, come si vedrà) l’identificazione con questo santo, altro Pietro – da Morrone – di colui che fece per viltade il gran rifiuto, cfr. Ignazio Silone, L’avventura di un povero cristiano (1968).
BIGNAMI sottolinea infatti che Dante “non intese fare una allusione esplicita [a Celestino V, al secolo Pietro di Angelerio, nato ad Isernia intorno al 1215 n. d. A.] perché Celestino era stato uomo di santa vita, e come tale conosciuto da tutti (…)” e questo conforta noi a due ipotesi:
1) Che intendesse qualcun altro, oppure
2) Che intendesse essenzialmente stigmatizzare il rifiuto stesso in quanto tale, più che un personaggio.
Reggono poco a nostro avviso le due motivazioni elencate da BIGNAMI a riconoscere, in colui che fece per viltà il gran rifiuto, Celestino V, cioè che:
1. gran rifiuto non poteva essere per Dante che il rifiuto del Papato, in spreto a Monarchia e
2. l’aver aperto tale rifiuto la via a Bonifacio VIII, cosa questa che si reggerebbe
i. sulla validità della prima motivazione ma che per un ingegno come quello di Dante non potrebbe aver molto credito poiché
ii. si fonderebbe su una responsabilità su un effetto imprevedibile, a meno di non voler accettare che Dante desse credito ad una leggenda per cui il futuro Bonifacio VIII avrebbe ottenuto quel rifiuto con la frode.
iii. I versi di Inf. XIX 55/57, citati dal BIGNAMI a conferma che Dante desse credito a tale leggenda, non confermano a nostro parere altro che l’esistenza di una frode – il che in quell’ epoca (proprio anche secondo Dante) ci sembra tutt’altro che eccezionale! – non di quale frode si tratti.
Ci pare quindi che l’identificazione di colui che fece per viltà il gran rifiuto con Celestino V, si fondi, come annotano BOSCO – REGGIO sul fatto che in proposito “(…) i primi commentatori del Trecento non ebbero esitazioni e lo identificarono con (…) Celestino V (…)” il che a nostro meschino parere sembrerebbe indicare piuttosto l’animosità di questi ultimi, verso quello che in seguito, nel 1313, fu Santo, che non di Dante.
CAMERINI non aggiunge nulla, CASINI annota splendidamente, da par suo, che “(…) gli studi del Tocco (…) e del D’Ovidio (…) hanno ormai rimosso ogni difficoltà dimostrando (…) che nel v. 59 (Inf. XIX) non è necessario intendere espressa l’idea di un riconoscimento personale”, FALLANI – MAGGI – ZENNARO chiariscono che “i primi commentatori del Trecento”, di cui supra BOSCO – REGGIO, sarebbero “da Pietro di Dante sino a Jacopo della Lana”, FORNACIARI, MOMIGLIANO, SCARTAZZINI non hanno invece dubbi sulla correttezza dell’identificazione in Celestino V, PASQUINI – QUAGLIO, TORDINI – DELL’AQUILA, SIEBZEHNER – VIVANTI si accodano, SAPEGNO cita e discute tutti i commentatori antichi, ed espone le tre seguenti acute affermazioni:
A. “sembra assai strano che Dante si accanisse contro un uomo (…) che non poteva esser qualificato di vile rinunzia anziché di consapevole scelta e di ferma valutazione delle proprie doti e limiti (…)”;
B. (…) i nemici di Bonifacio VIII, fra i quali era anche Dante, tendevano se mai ad esaltare Celestino V (…) in contrapposto al papa politico (…);
C. L’identificazione rimane dunque assai incerta (…). Del resto, a guardar bene, la questione (…) appare irrilevante. La figura dell’innominato non ha nel contesto un suo risalto specifico. È piuttosto un personaggio-emblema (…)”.
TOMMASEO glissa, ENCICLOPEDIA DANTESCA cfr. vol. 6 pag. 665-668 voce Celestino V a cura di Arsenio Frugoni con argomento sostanzialmente al contrario del SAPEGNO, contro il quale si afferma che:
A. “gli unici due accenni espliciti di Dante alla storia di Celestino non sono propriamente positivi.”,
B. “Quanto alle certe consonanze col mondo degli spirituali, gioverà osservare che quel mondo non è affatto univoco (…) [però, a parte l’opinione negativa di Jacopone da Todi, gli altri spirituali sono solo elencati n. d. A.]”.
Anche il Frugoni sembra però indulgere a fallacie come quella evidenziata supra (al punto ii.), quasi addossando a Celestino (morto nel 1296) la responsabilità dell’insulto di Anagni (1303) [atto che tra l’altro non doveva essere molto sgradito all’ Alighieri! n. d. A.], oltre ad attribuire a pag. 667 colonna I una scarsa consapevolezza teologica a Dante, il che a nostro avviso è opinione totalmente erronea.
Sulla necessità di riconoscere in Celestino V colui che fece per viltade il gran rifiuto ci sarà ancora molto da discutere…visto che Dante non è più preciso sarebbe bene vedere ad esempio il parere negativo su tale agnizione p. es. di Giovanni Iannucci Il Gran rifiuto Pescara Lumen Vitae 1959. Abbiamo visto sopra infatti
1. d’onde provenga tale tradizione,
2. quali fossero gli interessi a riconoscere in un ignavo un – poco dopo ma già in odore – Santo.
Si veda poi CASINI Inf. XXVII 104-105, in cui Bonifacio VIII accenna con delicato rispetto appunto a Celestino V, una delicatezza di cui bisogna chiedersi se sia di Bonifacio VIII o di Dante.
In definitiva pare corretto notare che
1. né Dante ha mai esplicitamente detto che fosse Celestino V l’attore del gran rifiuto,
2. né Dante ha mai esplicitamente detto che cosa fosse il gran rifiuto, per cui ne consegue che non esiste nella Commedia alcun giudizio negativo nei confronti di quel Santo.