Il collega e amico prof. Donato Catamo ha avuto la cortesia di intervenire a proposito della riorganizzazione del sistema scolastico orvietano prendendo a riferimento una mia precedente presa di posizione sull’argomento. Sento per questo il dovere di ringraziarlo e di chiarire ulteriormente il mio pensiero innanzitutto proprio per il rispetto che ho nei confronti suoi e delle sue posizioni. Sarò anche in questa occasione molto schematico, sperando in tal modo di guadagnare in chiarezza.
1. Sul metodo di decisione
Ho già scritto, e alla luce di quanto dice il prof. Catamo a maggior ragione ribadisco, che il metodo seguito per giungere alla decisione finale è ciò che ritengo più grave, ciò che non può in alcun modo essere condiviso. E mi spiego meglio.
Chi ha deciso ha tenuto conto di quali opinioni/proposte? Non risulta di quelle delle scuole né dei loro Dirigenti, che, a quanto se ne sa, avevano tutt’altre posizioni. Non risulta di quelle dei Sindaci, delle Giunte e dei Consigli comunali, che infatti (e questo è uno dei problemi non secondari che ho segnalato) non si sono espressi. Non risulta di quelle dei sindacati o di altri soggetti sociali o culturali, che, a quanto se ne sa, parimenti non si sono espressi.
Chi ha deciso magari avrà tenuto conto di quanto sostenuto dall’associazione “Orvieto-scuola al centro”, ma questo è pur sempre solo il parere di un gruppo di privati cittadini, che come tale non può compensare in nessun modo l’assenza di tutti gli altri che hanno titolo e dovere istituzionale di dire come la pensano. In mancanza di ciò le decisioni assunte sono non solo democraticamente deficitarie, ma viziate da una cultura e da una prassi politica che privatizza le cose di tutti. Ciò che dal mio punto di vista è il male dei mali di una nazione o di una città. E non importa se chi governa sia formalmente di destra o di sinistra o un mix di entrambi!
2. Sul merito della decisione
Ribadiscoche nel merito delle decisioni assunte ciascuno è libero di pensarla come crede essendo tutte le opinioni degne di rispetto. Ma sono discutibili, essendo appunto opinioni. Le conseguenze le vedremo. Stando ai precedenti, la logica seguita non promette bene, ma mi auguro di sbagliarmi e comunque, lo ripeto, lo si vedrà tra qualche tempo. Ora mi sembra più importante discutere di altro. Il prof. Catamo dice che c’erano non pochi che hanno espresso interesse e preoccupazione per “la caduta di titolarità dirigenziale del ‘polo’ del centro storico” con particolare rifermento alla scuola secondaria superiore. Francamente non capisco: c’è qualcuno che si preoccupa dei dirigenti scolastici, alias presidi? Beh, se è così, prendo atto della novità e mi ritiro. Allargo il discorso: c’è qualcuno che si preoccupa del destino della scuola? Se è così vuol dire che il mondo rovesciato è stato messo finalmente dritto, e allora tutti dobbiamo ritirarci. Ma ciò che non capisco davvero è l’oggetto della preoccupazione: in che senso sarebbe potuta avvenire “la caduta di titolarità dirigenziale del ‘polo’ del centro storico”? Mi pare evidente che tutte le possibili soluzioni avrebbero mantenuto due “titolarità dirigenziali”, che avrebbero potuto aver sede dovunque, anche entrambe nel centro storico. E poi, che vuol dire “polo del centro storico”? Le scuole lì oggi esistenti? Se è questo, vuol dire solo geografia, non certo politica scolastica, offerta formativa che abbia un senso, che segua una direzione, che risponda ad un progetto, ecc. ecc. Non è questione di equilibrio di numeri, ma di logica, di visione complessiva e strategica, cioè di politica di sistema. Il fatto che manchi proprio questa non preoccupa?
3. Sull’oggetto della discussione
A me sembra che questo sia un punto cruciale, perché c’è di mezzo un modo di essere delle classi dirigenti della città. Un modo che dura da tempo. Vediamo un attimo, con il massimo possibile di distacco. Un giorno (1997) si decise che il liceo classico doveva essere aggregato all’istituto d’arte (si decise in una riunione a Narni, si disse per una questione di ordine pubblico) e tutti sapevano che la normativa allora esistente prevedeva che l’aggregazione doveva avvenire prioritariamente tra scuole dello stesso ordine e tipo, in questo caso dunque con il liceo scientifico. La realtà si è incaricata di dimostrare che quell’operazione era sbagliata. Un altro giorno (due anni fa) si decise che il liceo delle scienze umane doveva essere concesso al liceo classico e artistico e non al liceo Majorana che ci aveva lavorato per anni, con una procedura che più irregolare è difficile immaginare (chi vuole può documentarsi senza problemi). La realtà si è di nuovo incaricata di dimostrare che anche questo è stato un errore (basti pensare che quella soluzione lineare avrebbe reso lineare anche la riorganizzazione di oggi, e dunque inutili gli arzigogoli che puntualmente si sono ripetuti). Conclusione: ogni volta questa linea protezionistica si è rivelata fallimentare. Ma, nonostante ciò, oggi si continua nello stesso modo: logica di protezione e chiusura nel centro storico. Ciò che impedisce ogni ragionamento di sistema e ogni progetto generale di largo respiro.
Non sarebbe il caso di passare ad altro? Ma che politica è quella che considera il territorio a pezzetti, che lega le scelte a orientamenti di qualche gruppetto di persone? Una politica che non discute mai apertamente? Anzi, una politica che consente di discutere solo a cose avvenute? Non sarebbe il caso di incominciarsi a preoccupare di come rendere il sistemaefficiente e adeguato allo sviluppo per l’occupazione dei nostri giovani? Non sarebbe il caso di discutere come allargare l’offerta formativa complessiva anche al servizio di un territorio più vasto di quello che attualmente costituisce il bacino d’utenza delle scuole orvietane?
E non sarebbe il caso di preoccuparsi prima anche di quale sia il destino degli organici dei docenti e di quali conseguenze si determinano per il personale ATA?
Ripeto, sono grato all’amico Donato per essere intervenuto e per avermi dato la possibilità di precisare ulteriormente il mio pensiero. Naturalmente non sono affatto meravigliato che quasi nessuno si accorga di quello che succede intorno alla scuola. Preoccupato però lo sono stato e lo sono, perché questo è uno dei massimi indici di debolezza culturale e di carenza di capacità di progettare il futuro di una comunità. Già, proprio perché la scuola dovrebbe essere di tutti!