Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Il dramma di chiamarsi Corona senza avere nulla in testa
“Chiamarsi Corona e venire arrestati a Cascais, l’esilio portoghese dell’ultimo Re d’Italia, magari senza neanche saperlo. Essere un palestrato milanese di corso Como e scappare dal retro di una palestra milanese di corso Como a bordo di una Cinquecento, unico elemento stonato nell’epopea del superuomo di panna montata, e infatti cercare per tutta la notte di sostituirla con un Suv, non riuscirci e passare in Cinquecento il confine al Col di Tenda. Rimanere bloccato per ore dalla neve con trentamila euro in tasca e nemmeno un bar dove poterne investire dieci in una pizza. E poi guidare attraverso la Francia e la Spagna, immaginarsi simili a Scarface – un criminale simpatico, e nel suo pantheon morale solo un criminale può esserlo davvero – continuare la fuga fino all’oceano, sentirsi braccati e consegnarsi, ma solo dopo avere rilasciato una dichiarazione audio ai propri fan” (Massimo Gramellini).
F. Mi sembra questo di Gramellini un pezzo da maestro del giornalismo. Ma la bravura professionale mi pare che emerga soprattutto quando Gramellini si spinge oltre le apparenze e si pone il problema di capire che cosa significa la vicenda di Fabrizio Corona in termini più generali. Il suo ragionamento mi sembra così calzante che te lo propongo senza ulteriori commenti.
“Di Fabrizio Corona mi ha sempre incuriosito la genesi. Se il sublime Philip Roth della «Pastorale Americana» ha indagato per quattrocento pagine sul mistero di come una famiglia perfetta avesse prodotto nel Sessantotto una ragazzina terrorista, sia concesso a un cronista sentimentale di dedicare cinquanta righe a un enigma dei nostri tempi: come ha potuto un giornalista serio e raffinato al limite dello snobismo come fu Vittorio Corona, compagno di Montanelli nell’ultima avventura della «Voce», forgiare un figlio così diverso, cinico e materialista a livelli caricaturali. Non può bastare la teoria della mamma, consolatoria come finiscono sempre per essere le mamme, che tira in ballo l’assenza o l’eccessiva presenza nel suo sangue di qualche ormone. E nemmeno dire che Corona sia un prodotto di laboratorio del berlusconismo: l’immagine è tutto e intorno, sopra, sotto si estende il nulla. Il figlio di Vittorio è qualcosa di più: l’effetto visibile della malattia che ha devastato il capitalismo negli ultimi venticinque anni. Quando, cessate le pulsioni ideologiche, nessuna corrente spirituale è giunta a rimpiazzarle e ci si è tutti, chi più chi meno, rassegnati a confinare la felicità al soddisfacimento dei piaceri del corpo procurati dal denaro e dalla mancanza di limiti. Il mito della bellezza palestrata, della giovinezza infinita, dei soldi da esibire e trasformare in macchine rombanti, in belen sfarfalleggianti, in mutande griffate e in fiumi di cocaina. Perché, se la vita non ha un senso, il suo unico senso diventa provare una scarica ininterrotta di emozioni, e la sua bussola un’assenza conclamata di valori che non siano la furbizia, il cinismo, la sfrontatezza e quel modello di ribellione che consiste nel violare deliberatamente le regole con il pretesto che il potere le ha create soltanto per ingabbiare i deboli e gli stupidi”.
P. Le disquisizioni sociologiche di Massimo Grimellini sono molto eleganti. Però mi sembra che non tengano conto dell’evidente temperamento ipertimico di Fabrizio Corona. Trascrivo da http://www.corriere.it/salute/dizionario. “Il temperamento ipertimico caratterizza un individuo allegro, esuberante, scherzoso, ottimista, senza preoccupazioni, autorassicurante, millantatore, megalomane, estroverso, alla ricerca di persone, pieno di energie, ricco di progetti, che ricerca attività rischiose, versatile, che ha molti interessi ed è molto coinvolto in attività, indiscreto, disinibito, alla ricerca di stimoli nuovi abitualmente dorme poco (meno di 6 ore per notte), è particolarmente resistente alla fatica fisica e intellettuale, nella società tende ad assumere posizioni di leader e di comando, brilla nelle arti recitative o di intrattenimento, possono prevalere però la superficialità e la scarsa tenacia, per cui il soggetto è alla ricerca di progetti sempre nuovi senza condurre in porto i precedenti. Vi possono essere anche isolati momenti depressivi.” Corona ha dichiarato da qualche parte che si sta curando. Di ipertimici ce ne sono parecchi in giro. I più intelligenti salgono molto, ma molto in alto e non mollano fino a quando non vengono mollati. I meno intelligenti diventano dei semplici rompiscatole. Corona sta in mezzo.
Montepaschi Siena: una vicenda che ci riguarda tutti
“Nessuno può chiamarsi fuori dalla vicenda che coinvolge il Monte dei Paschi di Siena. Non il governo, e ciò vale tanto per quello passato quanto per quello ancora in carica… Non la Consob … Non la Banca d’Italia … Non il sistema bancario … Meno che mai i politici, soprattutto quelli senesi … Ma il fatto che siano tutti in una certa misura responsabili, e in un sistema finanziario sempre più integrato vanno chiamate in causa probabilmente anche le carenze europee, non può significare che nessuno è responsabile. Tutt’altro.” (Sergio Rizzo).
F. Tutti responsabili nessuno responsabile? No, certo che no! Naturalmente nemmeno i senesi non politici, che si accorgono solo oggi di essere vissuti all’ombra di un sistema di potere che ha permeato la città, i paesi, il territorio senza lasciare nulla al caso. Con vantaggi in termini di sviluppo, al prezzo però di una dipendenza quasi totalizzante che oggi si trasforma in un boomerang terribile. Ma se ne accorgono soprattutto perché è stata annunciata la fine dei contributi al Palio, l’emblema, l’identità di Siena.
Il Montepaschi è stato ovviamente soprattutto un sistema locale. Ma anche un indice del sistema generale. Basti pensare che il percorso verso il dramma ha avuto la sua accelerazione quando il management ha proposto e la Fondazione (Ente politico, con il 51% di nomina delle amministrazioni locali, tutte di marca prima DS e poi PD) ha accettato di aumentare il capitale di alcuni miliardi per l’acquisto della banca Antonveneta, che il nome stesso dice in quale parte del Paese operasse. In quegli anni i politici senesi, in stretto legame con i referenti nazionali, erano adusi dire che c’era bisogno di avere una banca a Nord come parte di una strategia di concorrenza con il sistema di potere del PdL e della Lega. Non a caso suppergiù negli stessi anni Umberto Bossi predicava l’occupazione delle Fondazioni bancarie. In altri termini, l’origine di questo gigantesco problema è la stessa di tanti altri, che tutti insieme connotano la vicenda del nostro Paese da decenni: la commistione di politica e affari, in particolare di politica e sistema bancario. Ed è del tutto secondario sapere se a Siena era la banca che condizionava la politica o la politica che usava la banca.
Io penso che è il sistema che è sbagliato. È da questa prassi dell’intreccio oscuro del potere ad ogni livello che bisogna uscire. È questa cultura premoderna dei clan che va combattuta. È la battaglia generale, che è da sempre anche la nostra, caro Pier, per l’interesse generale delle comunità che va vinta.
P. Siamo in campagna elettorale e questa bomba del Monte de’ Paschi scatena non solo un giustificato putiferio, ma una guerra nucleare. Ci sono di mezzo anche i famigerati contratti derivati, quelli che hanno inguaiato Orvieto e, per fortuna, hanno rovinato pure il loro inventore. Ma c’è soprattutto la pietosa esibizione di palloni gonfiati (di soldi) che impunemente circolano nei vertici delle banche, delle fondazioni bancarie, dei ministeri, della Consob e della Banca d’Italia. Non succede solo da noi; l’alta finanza è in tutto il mondo un bel concentrato di mascalzoni, e credo poco che sia riformabile. Cito Edme-Pierre Beauchêne: “Coloro che credono che col denaro si possa fare ogni cosa, sono indubbiamente disposti a fare ogni cosa per il denaro.” Ma come faccio a non rendere omaggio a Bertold Brecht? “Cos’è rapinare una banca a paragone del fondare una banca?” Comunque adesso sono un po’ tutti in stato confusionale. Per esempio, mentre Bersani si sbraccia a dichiarare che le banche fanno le banche e il PD fa il PD, D’Alema (quello intelligente) dichiara testualmente: “Il presidente del Monte lo abbiamo cambiato proprio noi, e per noi intendo il sindaco Ceccucci”.
Una notizia che non è notiziola
“L’istituzione del liceo sportivo è rinviata di un anno”. (Il Giornale dell’Umbria)
F. No, non è una notiziola. Come alcuni ricorderanno, tra le decisioni adottate lo scorso mese dal Consiglio regionale circa la riorganizzazione del sistema scolastico e l’offerta formativa della Regione dell’Umbria ce n’erano alcune che ci riguardavano direttamente come città e come territorio. Tra queste ce n’era una particolarmente significativa sia sul piano pratico che su quello simbolico. Si tratta dell’attribuzione al liceo scientifico di Narni anziché a quello di Orvieto del nuovo indirizzo del liceo sportivo. Attribuzione illogica, perché in contrasto con la storia del lavoro fatto nel tempo dal Majorana e soprattutto con una strategia equilibrata di valorizzazione delle vocazioni territoriali. Il Majorana è stato fra le prime tre scuole in Italia che anni fa hanno letteralmente inventato questo indirizzo che oggi ha assunto veste ufficiale, si è dotato di tutte le condizioni per realizzarlo, ha documentato per lungo tempo le ragioni di questa richiesta. Non se ne è tenuto conto. Le amministrazioni locali non si sono mosse, non capendo che si trattava pur sempre di un aspetto della possibile strategia di valorizzazione delle risorse territoriali. Cosa ancor più grave se si pensa che nella precedente tornata di due anni fa il nostro territorio era stato ugualmente penalizzato con l’attribuzione a Terni del liceo musicale.
Credo davvero che non si possa continuare a far finta di niente. Fausto Galanello è in grado di spiegarci finalmente in base a quali criteri è stata fatta questa scelta che io non esito a definire offensiva per il nostro territorio? E, visto che c’è il rinvio di un anno, le amministrazioni locali intendono o no sollevare la questione e ridiscutere per far rivedere questa decisione?
Chiedo anche a te che cosa ne pensi.
P. Conosco il problema per essermene occupato anche con una inutile mozione in consiglio comunale. Ovviamente l’amicizia con te mi ha consentito una puntuale informazione. Ma speriamo di vivere abbastanza non tanto per assistere agli esiti nefandi delle scelte sbagliate, come questa che hai segnalato, quanto per continuare a pensare, parlare, scrivere e operare per il bene della nostra città. Senza farci prendere dallo sconforto. Prendiamo esempio dal grande Luigi Einaudi, che quando scrisse “Le prediche inutili”, non se la prese più di tanto.