Delle primarie del centrosinistra, dei suoi esiti nei due turni di voto, delle prospettive politiche che da esse potranno discendere, si è già abbondantemente disquisito a volte a ragion veduta, a volte con frettolosa superficialità. Vorrei, con le righe che seguono, approntare un’analisi da teoreta più che da consumato opinionista, cavalcando delle onde “controcorrente” e forse non del tutto usuali.
Oramai da alcuni anni, ci si sta interrogando se è realistico o meno che all’interno del Partito Democratico esistano davvero due o più anime e, se sì, come mai non si è riusciti fino ad oggi a renderle conciliabili, complementari e compatibili in ragione di una coesistenza armonica e generatrice di un’unica politica per il governo degli “Affari Pubblici”.
Per parte mia, proprio in questi giorni, sto ritornando a ragionare su dove sia e come sia plasmata l’Anima del PD che, da qualche parte, dovrebbe pur esserci e, anche se non ne sarò compiutamente all’altezza, mi proverò comunque a descrivere le tappe in sintesi delle mie riflessioni.
Il nucleo centrale dell’identità ideale di un partito che tende a proporsi come forza di progresso non può prescindere dal praticare, nella concretezza della realtà, una strategia programmatica fondata su principi sussidiari e solidali nel comparto sociale, pluralisti in quello politico a baluardo e difesa della democrazia, riformisti e/o riformatori nella stesura legislativa di norme, regolamenti e discipline.
Tutto quanto precede, in virtù di meri intendimenti poiché, spesso e volentieri, vengono proclamati e diffusi tali concetti mentre non si conosce con precisione di cosa si stia realmente parlando.
Ci si riempie la bocca del termine solidarietà e non si ha piena la percezione del valore ecumenico della “Pietas”, non dico solo della cristiana, ma anche di quella greco-latina che, pur pagana, era copiosamente ricolma di raffinata sensibilità umana. Basti pensare al pio Enea, descritto da Virgilio, nell’immagine di lui che si carica sulle spalle l’anziano padre Anchise, malato e sofferente, come a voler simbolicamente prendere su di sé il dolore e il bisogno dei deboli, dei reietti e degli sconfitti.
Anche del pluralismo non si hanno ben definiti i contorni perché si avverte la sensazione di un suo uso limitativo e limitato al “plurimum civitatis”, che porta con sé un’idea riduttiva e riservata alle sole maggioranze di passaggio, mentre invece ci si dovrebbe riferire alla “pluritas civitatis maiestatis” (Quintiliano, De eloquentia) per afferrare appieno il senso della partecipazione di tutti, e di tutti indistintamente, alle vicende economiche, politiche e sociali della comunità di appartenenza senza substrati di discriminazione per ragioni di diversità di pensiero o di azione.
Quali valenze, poi, ci siano dietro e dentro l’espressione “realizzare una politica riformista”, non è ben chiaro se non si coglie il significato proprio della parola “reformé”, usata nel periodo meno violento e più costruttivo della Rivoluzione Francese. Con “reformé”, che ha le sue origini semantiche nella greca “diamorfé”, deve intendersi il processo di metamorfosi da una forma arcaica di organizzazione societaria verso un’altra più adeguata e che sfoci in sostanza di migliori e più moderne strutture statuali.
Le sintetiche riflessioni sopra riportate sono offerte all’attenzione di ogni cittadina come di ogni cittadino e, in particolare, le rivolgo al PD orvietano, orfano purtroppo da sempre di valida guida, se non vuol che di lui si dica di essere stato non tanto il promotore di una coerente politica progressista, quanto piuttosto il suo necroforo.
Del resto, la funzione principe di un serio e credibile partito non dovrebbe essere altra se non quella di tracciare una via di chiara e sicura percorribilità verso una meta attesa da tempo e non più eludibile: dotare la città di Orvieto di una dirigenza civica, autorevole e illuminata, che sia in grado di risollevarla in fretta dalle pessime condizioni in cui essa è stata fatta precipitare.
Passare dal bifrontismo, ancora largamente presente, alla univoca coerenza premiante non è poi così arduo: basterebbe un sussulto di volenteroso e coraggioso orgoglio che, però, mi pare di non ancora intravedere.