Roma, 10 giugno 1940. Dal balcone di Palazzo Venezia Benito Mussolini urlava la dichiarazione di guerra. L’oceano populista che saturava la piazza entrò in risonanza andando in visibilio. La propaganda era al culmine della parabola, anche se lo scenario – si comprenderà successivamente – era in realtà iperbolico. Adynaton! Si sa anche come andò a finire. Che ancora oggi ci va per le ossa. Eppure la grande capacità comunicativa del Duce del Fascismo ha fatto scuola. A tutti. Bianchi, rossi e, ovviamente, neri. A partire dall’intuizione sull’utilizzo allo scopo di quegli straordinari strumenti, veicoli, amplificatori (e, sovente, deformatori) di concetto che sono i mass media. Nel discorso di quel giorno una frase risuonò sinistra riecheggiando evocativa … a cosa facevano riferimento quelle “decisioni irrevocabili” che non consentirono più margini di azione politica, diplomatica, geopolitica (materia che nasce in Italia proprio nel Ventennio con Massi e Roletto), di fronte al dilagare inesorabile nazista?
Per Orvieto è veramente l’ora delle decisioni irrevocabili. L’ora dell’urgente intervento strategico strutturale. L’ora di abbandonare la propaganda, se veramente si ami la nostra Terra, Orvieto. La perorazione dello stato di calamità è un atto dovuto e necessario, ma si sappia che seguirà la tempistica farraginosa della levantina burocrazia a tutti arcinota. E a questo atto è legato qualsivoglia rimborso. Tempi lunghi e nessuna certezza che nessuno può assicurare.
Anno zero, neodopoguerra orvietano. E, speriamo di no, manco credo sia finita o che se ne possa uscire presto. Almeno, stando alle cassandre del Consorzio di Bonifica sulla ineluttabile situazione a rischio endemico in cui si trova la “troppo infrastrutturata” new town orvietana in balìa del Fiume e delle condimeteo avverse di questo clima mutante, ingestibile, affatto modellabile. È l’ora di organizzarci seriamente. Senza farsi prendere per il naso. C’è Gente che soffre. Che ha pagato caro l’aver scelto di vivere e sviluppare le proprie capacità tra Orvieto Scalo, Santa Letizia, Mossa del Palio, Ciconia eLa Svolta.Questi“aborigeni” poi non sono soli perché in quella situazione ci si vanno a ficcare tutti, ci andiamo a sbattere il grugno tutti: per ottemperare all’obbligo scolastico; per poter fruire dei servizi ospedalieri o per lo shopping che sia. Oltre ai malcapitati pendolari che oltre alla beffa delle levatacce, dello stress da ritardo o soppressione, si beccano pure il danno d’alluvione. E il “bello” è che la catastrofe, quale che sia, “… è ‘na livella!” (parafrasando Totò): coglie tutti. Magari anche il responsabile, i responsabili dello scempio infausto sul territorio. Il “propagandiere” di turno o chi per lui. A chi tocca …
Ma allora. Stiamo ancora a ragionare dei massimi sistemi? Capisco anche che non tutti abbiamo chiara la percezione di dove ci si trovi. Qualcuno è arrivato da fuori e pure qui da poco; o per sbaglio, suo malgrado. È vero, molti non siamo altolocati e semmai, provincialotti insipienti, ma non bifolchi ignoranti e stupidi nelle spelonche.
È l’ora delle visioni strategiche. Orvieto si può risollevare da sé. Ne ha capacità e risorse.
La prima. Basta con le scempiaggini sull’understatement (altro che iperboli!) che si vuole spacciare ed imporre – e ormai è chiaro ed evidente – per sprecare l’immenso dono, la straordinaria risorsa, i “Talenti” del Giubileo e di quello che sull’evento sarà possibile costruire. Perché Giubileo transeat, anzi è già passato. Su quello bisogna costruire Futuro, il futuro di far (ri)conoscere Orvieto nel mondo come parte del sistema delle Città del Corpus Domini, con Liegi e Gerusalemme; dei Luoghi eucaristici, con Bolsena, Loreto, Torino, Praga, Anversa; dei Luoghi ecumenici, con Lione, Istanbul; rivolgendosi non solo al miliardo di cittadini che abbracciano la fede cristiana. Orvieto e il suo territorio tra Tuscia e Umbria sono Luogo del Sacro da sempre, dagli Etruschi al Corporale. E se non sono Talenti questi.
Secondo. Chi più (o, troppo) abbia, possa (con)cedere almeno qualche briciola a chi come noi si trovi (come fu x qualcun altro in passato, per esempio nel sisma del ‘97) oggi in difficoltà e nel bisogno: ad esempio, Foligno ha avuto, tra le tante opportunità poi concretizzatesi e consolidatesi sul proprio territorio, anche il Centro Nazionale Concorsi (che vedeva anche Orvieto candidata ad accoglierlo); orbene, si realizzi ad Orvieto almeno un piccolo distaccamento. Sarebbe un volano importante e stabile, come lo sono state le caserme tempo addietro.
Terzo. Viterbo ha tanti presidi militari. Perché non distaccare qualche aliquota anche da noi?
Quarto. Vista la situazione, si tramuti il fango in occasione. Si istituisca ad Orvieto la Scuola(magari internazionale) in Emergency and Disaster Management (EDM), sotto egida Protezione Civile. Pianificazione e gestione dell’emergenza e dell’evento calamitoso devono abbandonare il vecchio concetto di soccorso e passare alla realizzazione del concetto di autoprotezione.
In Italia “Protezione Civile” ha sempre significato – ne so qualcosa – soccorso, colonne, personale specifico ed equipaggiato, inquadrato e addestrato e la comunità sinistrata, colpita un mero strumento passivo nelle mani dei soccorritori e che può, tutt’al più, accelerarne i tempi e agevolarne l’intervento; è la stessa visione nel “Metodo Augustus” istituzionalizzato dal Dipartimento alla Protezione Civile. I disastri devono essere affrontati nello spazio di poche ore con l’impegno immediato della stessa comunità colpita. Dunque è di fondamentale importanza che le comunità locali siano sempre organizzate per affrontare un eventuale calamità, strutturandosi non già intorno ad un piano di soccorso, bensì, ad un Piano di emergenza basato sul concetto di autoprotezione. Chi – come coloro che vi sono nati, ci vivono, studiano e lavorano – conosce davvero il proprio territorio,la SuaTerra, deve esserne il Primo Responsabile e Garante: consapevole del rischio; informato e formato. Pronto all’intervento.