Gli interventi pubblici e privati per lenire le conseguenze dell’alluvione del 12 novembre sono sacrosanti. Ma non bastano. Il fatto è che è piovuto sul bagnato. Il comune di Orvieto, inteso sia come comunità, sia come ente esponenziale di tale comunità, era in ginocchio, adesso è steso a terra. Non solo chi dolorosamente governa la città, ma anche chi morde il freno per procurarsi questo dolore, dovrebbe riflettere e ripensare la propria politica. Mi permetto di indicare alcuni spunti di riflessione.
La cittadinanza sta sborsando una patrimoniale esosissima, l’IMU, soprattutto per pagare i debiti.
La speranza di dare un taglio all’indebitamento con la vendita del Casermone si è dissolta nell’impatto con la realtà, con la crisi economica generale e con il crollo del mercato immobiliare: sarà dura anche regalarlo.
Molti servizi comunali per legge non indispensabili (ma indispensabili per molte famiglie) come gli asili nido, i trasporti e le mense scolastiche, sono stati salvati, sottraendo risorse alle manutenzioni delle strade e degli altri impianti pubblici comunali.
Il teatro comunale è stato preso per i capelli, ma vivacchia.
La scuola di musica è stata salvata in extremis con una iniezione di doping, ma fino a quando?
Il Centro Studi è in coma.
Intanto le aziende chiudono, la disoccupazione dilaga, i giovani sopravvivono consumando i risparmi dei nonni e dei genitori, e sono sempre più incazzati con la politica, con la società, col mondo, e pure coi nonni e coi genitori.
Alla fine dell’anno si rompono i salvadanai per comprare i regali di Natale. Buonsenso vorrebbe che i politici di destra moderata o estrema, di sinistra liberaloide o rivoluzionaria, di centro democristiano, montezemoliano e montiano aprissero le loro teste per vedere se dentro c’è abbastanza per regalare qualche speranza. E poi traessero le conseguenze.