L’amico Pier Luigi Leoni mi chiama utopista, ma, specifica, portatore sano di un’utopia positiva che è come se andassi dal medico e lui ti dicesse: “Abbiamo scoperto che lei è affetto da Utopia, sarà necessario aspettare le analisi per vedere se è benigna”. Sperando che m’abbia detto tutta la verità, vengo a precisare da quali sintomi Pier abbia dedotto tale patologia, sintomi che si sono manifestati con due mie uscite su Facebook dove, oltre a invitare i colpiti dall’alluvione a fare domanda di rimborso con marca da bollo “allagata”, (e da qui già potete intuire lo squallido habitat intellettivo da cui scaturiva la proposta), invitavo non so chi, ma presumo quelle che voi italiani chiamate “Le Istituzioni”, a valutare l’ipotesi di “offrire” la Caserma alle attività colpite dal disastro.
Quattro o cinque giorni dopo ho visto una cosa simile sui giornali proposta da un signore, un certo Carlo Perali che dovrebbe avere, secondo Pier, la mia stessa malattia, solamente che a lui, spesso, danno parecchio fastidio le recidive.
E’ anche vero che l’utopista positivo tende, (si rintraccia nella sintomatologia), a realizzare il sogno iniziale traducendo, spesso con una certa determinazione, il pensare in fare.
A me ad esempio, quando mi si acuisce la crisi, mi viene in mente che la zona di Orvieto, per capirci, dalla SMEF in giù, si presenta come la vera periferia di Orvieto, l’unica non allagabile. E’ una zona silente, in perpetuo dormiveglia, disanimata. Ci vorrebbe un centro propulsore, un nucleo germinativo, un effetto rianimatore.
Mi domando, anche Pier se lo domanda, (che ogni tanto anche lui qualche passata di utopia ce l’ha): “Perché ostinarsi a voler realizzare soldini dalla Caserma? Perché invece non investire sulla Caserma?”.
E come? Ecco come: facciamo della Piave una zona franca: grandi facilitazioni (quasi gratis i metri quadrati) per chi ci mette un’attività: venghino signori, benvenuto super mercato, salve officina, salve artigiano, buon giorno alla palestra, accomodatevi, scusate il disordine, avanti, non costa niente. Rifacciamo nascere una seconda città viva intorno a Piazza della Caserma i cui effetti vivificanti, necessariamente, si spalmeranno prima intorno e poi nella città intera. Ci vuole uno sforzo di riconversione culturale e un certa ostinazione politica per far ritornare ciò che nel corso degli anni se ne è andato. Ma quando c’è di mezzo la convenienza, la strada dell’utopia s’ accorcia e a volte scompare. Via, che poi riportiamo su anche le scuole! E non ci stiamo a preoccupare se un Piero Angela, tra mille anni, dirà in televisione che gli abitanti di Ciconia, dopo l’ennesima alluvione, costruirono la città di Orvieto sulla quale corsero a rifugiarsi.
Gianni Marchesini.