Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
L’Umbria regione chiusa non regge più
“La crisi e le ricette del governo Monti stanno colpendo l’Umbria più di altre regioni, al punto di modificarne il tessuto, destrutturandolo. Questa è la regione, insieme alla Valle d’Aosta, in cui il PIL è cresciuto di meno negli ultimi sedici anni. E poi, producendo principalmente per il mercato interno, quando si flette la domanda interna, come oggi, qui si soffre di più. I dati sono pesanti: su 370.000 occupati, 115.000 sono precari. Negli ultimi anni le famiglie hanno dimezzato la spesa per la formazione dei figli. Siamo la sestultima regione per retribuzione del lavoro dipendente. Ecco anche perché la sinistra istituzionale fatica”. (Claudio Carnieri, presidente AUR Umbria)
F. Claudio Carnieri dice queste cose in un’intervista a Fabrizio Marcucci sul Giornale dell’Umbria del 30 novembre scorso dedicata all’analisi del risultato del primo turno delle primarie del centrosinistra, che hanno visto il successo, per diversi aspetti imprevisto, di Matteo Renzi.
La tesi di Carnieri è che in Umbria, non essendoci stata dal dopoguerra ad oggi un’alternanza di classe dirigente, se non localizzata e parziale, anche per assenza di una proposta politica alternativa credibile, la dialettica si è tutta svolta all’interno della sinistra, con il risultato che questa si è progressivamente allontanata dalle pulsioni e dai bisogni della società e identificata con il ceto che governa le istituzioni, che è vissuto come establishment, e come tale tappo da rimuovere.
La cura? Tornare alla società. Classica analisi di stampo ideologico similmarxista, mitigata da un po’ di sociologismo, tutta chiusa all’interno delle categorie destra-sinistra e soprattutto tutta chiusa dentro l’Umbria. Raramente ho letto su questo argomento posizioni diverse: nella quasi totalità dei casi sullo sfondo non c’è l’Europa, non c’è il mondo, non c’è la globalizzazione, non ci sono i cambiamenti culturali, non c’è la rivoluzione telematica.
Lo ammette candidamente lo stesso Carnieri che in fondo l’Umbria non è riuscita a misurarsi con la globalizzazione, cioè con la modernità: “E poi, producendo principalmente per il mercato interno, quando si flette la domanda interna, come oggi, qui si soffre di più”. Ma perché allora non ci si chiede se per caso non sia stato un errore pensare che l’Umbria fosse da intendere come un laboratorio, dunque sostanzialmente autosufficiente? O che bastasse continuare a definirsi, anche quando lo slogan era ormai fuori tempo, “Cuore verde d’Italia”?
Forse bisognerà che ci si decida ad ammettere che l’Umbria-regione-chiusa non regge più, non può reggere, già ora non può, e a maggior ragione in futuro. Gli orientamenti nel fondo della società stanno cambiando direzione, e anche quando non interessasse l’esito delle primarie del centrosinistra, non può non interessare capire quale sia questa direzione. Ne va della nostra capacità di essere costruttori di futuro e non spettatori di passato.
P. Devo farmi forza per superare il senso di fastidio che mi danno gli esponenti della classe dirigente umbra. Non si rendono conto che la casetta nella quale si sono ricavati un comodo posticino sta crollando. Non mi riferisco soltanto ai politici sedicenti progressisti, ma anche a quelli sedicenti moderati. E mi riferisco anche al clero e ai trafficoni massonici e paramassonici. Qualche mese fa ho sprecato un pomeriggio del mio tempo (forse non prezioso, ma a me molto caro) per ascoltare un assessore regionale che spiegava come, nonostante i tagli alla spesa sanitaria, il meraviglioso sistema sanitario umbro sarebbe stato vieppiù migliorato. Uno dei miracoli sarebbe stato il nuovo ospedale di Narni-Amelia che avrebbe risolto il problema della riabilitazione. Ancora spese folli mentre l’ospedale di Terni langue, e quello di Orvieto pure. Altro pomeriggio sprecato per ascoltare un altro assessore regionale che ha parlato per un’ora della crisi del settore tessile a Orvieto superando brillantemente, nel non dire niente, i sindacalisti e i politici locali. Ma ho imparato a controllare i nervi e a godere di questo periodo prerivoluzionario.
Brunello Cucinelli e il futuro dei nostri ragazzi
“Brunello Cucinelli. Un incontro con le maestranze per comunicare che 5 milioni di euro saranno destinati a loro. È accaduto a Solomeo, negli spazi aziendali del re del cachemire. Secondo quanto raccolto da Umbria24, l’imprenditore umbro avrebbe deciso di fare un dono di Natale ai suoi dipendenti, condividendo sostanzialmente parte degli utili dello sbarco in borsa. Molti milioni (sembra non meno di cinque) dato che l’azienda nei primi 9 mesi del 2012 ha fatto registrare un utile netto di 17,012 milioni di euro. Cucinelli conferma: «Questo vuole essere un dono di famiglia – commenta telefonicamente con Umbria24 – qualcosa che va aldilà dell’azienda, che come sa è quotata in Borsa. Abbiamo voluto dare un premio a chi è cresciuto insieme a noi e l’abbiamo comunicato ai dipendenti»”. (Umbria24, 26 novembre 2012)
F. Si sa chi è Brunello Cucinelli e che cosa ha fatto a Solomeo, borgo medievale del comune di Corciano, realtà in crescita e in grande spolvero, culturale, politico ed economico. La sua azienda è tra le poche che hanno assunto i connotati adeguati alle sfide della globalizzazione partendo dalle radici di qualità della terra umbra: ambiente, storia, cultura, capacità di lavoro sapiente.
Cucinelli ne ha fatto una linea di pensiero e di azione. Una linea che ha successo nel mondo. Alla crisi non ha reagito con la paura e il lamento, ma al contrario ha ampliato la portata internazionale dell’impresa e ha trasformato un’esperienza in messaggio di fiducia per tutti, in particolare per i giovani, dicendo della necessità della formazione, della cultura come veicolo di qualità, e della qualità come risorsa che ci fa stare nel mondo perché ci distingue dagli altri.
Cina, India, Corea, Giappone, ecc. sono le aree in cui da qui in avanti, egli dice, possiamo giocare meglio la nostra partita di sapienti artigiani che fanno industria di qualità in un mondo che si trasforma: lì ci sono le opportunità che noi possiamo cogliere meglio di altri perché sappiamo produrre ciò che gli altri non sono in grado di fare.
Messaggio di fiducia e in concreto soldi non dovuti, soldi di famiglia, ai dipendenti, che più soddisfatti sono e più volentieri e con passione lavorano le cose di pregio. Nicchia? Si e no: c’è più di un aspetto che ha valore generale, indicazione di metodo, coraggio, sfida. Basti pensare appunto alle grosse sacche di cultura chiusa, all’aggrapparsi all’esistente con la presunzione che meno si cambia e più si è in sicurezza, all’idea che uguaglianza coincide con livellamento, alla convinzione che il merito in fondo è qualcosa di pericoloso da cui stare alla larga. Tutta roba ben presente in Umbria e dalle nostre parti.
E poi non è forse vero che Cucinelli ha fatto qualcosa che per una parte rilevante della classe dirigente burocratica è una vera eresia? All’interno del castello del borgo di Solomeo ha realizzato un Teatro Cucinelli, che si ispira al Ginnasio dell’antica Grecia, dove i giovani si esercitavano nella ginnastica e venivano istruiti nella musica, nella filosofia e nelle lettere. Non solo, ma “Il Teatro Cucinelli fa parte del ‘Foro delle Arti’, che rappresenta un luogo d’incontro, creatività e cultura, frutto di un lavoro comune destinato anch’esso ad arricchire tutti e ad essere lasciato come patrimonio per le generazioni future. Fanno parte del Foro delle Arti anche un anfiteatro che ospita manifestazioni culturali e rappresentazioni all’aperto e un insieme di terrazze aeree denominate ‘Giardino dei Filosofi’ che si affacciano sulla valle umbra”.
Se lo sapessero, che cosa gli farebbero quelli che appena sentono la parola Teatro gli va il sangue alle tempie, come accadde quando qualcuno chiamò evocativamente (ma che roba!) “Teatro di Vigna Grande” una struttura multiuso funzionale alla rivitalizzazione di una ex caserma in una nota città storica dell’Umbria? Forse sarà da accontentarsi che Cucinelli abbia potuto fare quello che ha fatto senza aver ancora subito tentativi di impiccagione. Una domanda però è d’obbligo: quale modello scegliamo per il futuro nostro e dei nostri ragazzi, quello di Cucinelli o quello dei tremobondi del Teatro?
P. Il successo di Cucinelli è frutto di genialità imprenditoriale e di straordinaria perizia e sensibilità artigianale delle maestranze. Le migliori speranze della salvezza d’Italia sono riposte nell’intelligenza, nel gusto, nella tradizione artistica e artigianale, nonché nella valorizzazione dei beni culturali e nella politica dell’accoglienza. Il paragone tra Solomeo e Orvieto è doloroso, umiliante, angosciante e deprimente. A Solomeo prosperano 500 dipendenti del tessile, a Orvieto se ne mettono sul lastrico le uniche 70. Stiamo parlando, mi vergogno a dirlo, di Solomeo, frazione di Corciano.
Qualcuno ci può dire che fine ha fatto la nostra proposta di far sì che Orvieto partecipi alla candidatura per “Città europea della cultura 2019”?
“2019: Italia e Bulgaria esprimono le Capitali europee della Cultura. Le città candidate si interrogano sul loro ruolo per l’Italia 2019. Aosta, Amalfi, Bari, Bergamo, Brindisi, Caserta, L’Aquila, Mantova, Matera, Perugia e Assisi, Ravenna, Siena, Siracusa e il Sud-Est, Urbino, Venezia e il Nord-Est, sono la maggior parte delle Città italiane che si candidano a Capitale Europea della Cultura 2019. Si sono riunite a Roma per iniziativa dell’Associazione delle Città d’Arte e Cultura (CIDAC), alla presenza del Segretario generale del Ministero per i beni e le attività culturali, Arch. Antonella Pasqua Recchia. L’iniziativa ha avuto lo scopo di verificare il lavoro che le singole Città stanno svolgendo per partecipare al bando che il Mibac pubblicherà nei prossimi giorni. In seguito le Città avranno 10 mesi di tempo per predisporre i propri dossier di candidatura…. Le Città candidate, che per regolamento dell’Unione Europea devono impegnarsi a realizzare i propri progetti anche nel caso non fossero scelte come Capitale, possono offrire al Paese intero progetti e idee per disegnare un nuovo futuro per l’Italia che faccia perno sulla cultura come un modello possibile di rilancio dell’economia e dell’industria nazionale”. (Sassilive.it)
F. Dunque, per come la candidatura è messa, oggettivamente rappresenta qualcosa di ben diverso da un orpello o da una cosa lontana che non ci riguarda. Si tratta invece di qualcosa che, se c’è è un discorso, se non c’è è proprio un altro discorso. E allora, la sollecitazione che tempo fa abbiamo fatto all’Amministrazione di Orvieto, e anche alle forze politiche, economiche e culturali della città, ad essere parte attiva nel trasformare la partenza esclusivista di Perugia-Assisi (la solita miopia centralista!) comunque in un’opportunità da non perdere anche per noi, nasceva proprio dalla consapevolezza che sulla cultura si giocherà la partita del rilancio del nostro Paese e che per realtà come le nostre si tratta di una risorsa irrinunciabile. Spero che qualcuno si sia posto il problema di capire che cosa hanno voluto dire in tal senso gli “Stati Generali della Cultura” tenutisi recentemente a Roma. Ma che fine ha fatto dunque quella nostra proposta? Avrà fatto la fine che hanno fatto tante delle altre nostre proposte? Non dico quale: è intuitivo.
P. La tua tenacia nel richiamare Orvieto e chi la governa alle responsabilità nei confronti del futuro trova la mia condivisione e collaborazione, che mi ha fatto guadagnare l’antipatia dei più ottusi anche tra gli esponenti della mia parte politica. Non posso quindi che ammirarti. Se non che, quando passeggio nelle vie centrali di Orvieto, riscontro che, salvo poche e nemmeno esaltanti eccezioni, i negozi sono al livello di quelli di Grotte Castro. Eppure sulla rupe orvietana mettono piede, ogni anno, varie centinaia di migliaia di visitatori. Sulla rupe di Grotte di Castro, praticamente nemmeno uno. Allora mi viene voglia di tacere e starmene a casa mia, che si trova al di fuori anche del più iettatorio bacino di esondazione del Paglia. Ma tu non approveresti. E allora comincerò presto a ripiantare la pippa della messa in sicurezza e sopraelevazione del parcheggione al di là della stazione. Sono tre anni che dico che prima o poi si sarebbe allagato, nonostante le carte ufficiali lo dessero per sicuro. E prima di me lo diceva il compianto Giampietro Piccini e qualche altro raro grillo parlante. La mattina dell’alluvione mi sono alzato all’alba, sono andato ai giardini comunali e, fradicio di pioggia, ho fotografato quel parcheggione con le cappotte delle automobili che affioravano in un lago effimero, ma terribile, che ha distrutto beni che erano essenziali per tante sventurate persone. Perciò, caro Franco, condivido la tua battaglia per la cultura: Orvieto deve essere un faro della cultura. Ma, per favore, stralciamo il capitolo dell’urbanistica e della geologia.