Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Una voce da Racalmuto: “La Sicilia metafora del mondo”. Una voce da Orvieto: “Ma solo la Sicilia?”
«Il più grande peccato della Sicilia è sempre quello di non credere nelle idee. Qui che le idee muovono il mondo non si è mai creduto. Il credere che il mondo non potrà mai essere diverso da come è stato. Ora siccome questa sfiducia nelle idee, anzi questa mancanza di idee, ormai si proietta su tutto il mondo, in questo senso per me la Sicilia ne è diventata la metafora». (Leonardo Sciascia)
F. Leonardo Sciascia ci ha lasciato pagine memorabili, con analisi di raro acume. Quella che propongo qui coglie un aspetto così caratterizzante la Sicilia e così attuale che è stato ampiamente utilizzato anche in occasione della recente campagna elettorale per il rinnovo dell’ARS, l’Assemblea Regionale Siciliana. Sciascia dice che la Sicilia è la metafora del mondo perché la sua sfiducia nelle idee come motore della storia da fatto locale è diventata connotato universale. Credo francamente che egli abbia ragione. Ci sono prove di altri luoghi in cui si respira sfiducia, meglio, ostilità, nei confronti delle idee? Hai voglia! Si potrebbe dire che ci sono in giro più tagliatori di teste che cercatori d’oro. Vuoi qualche esempio? Secondo te, quando si fanno i congressi di partito, al centro ci sono i programmi, cioè le idee su cui sviluppare il confronto per poi democraticamente esprimere ciascuno la propria valutazione e la propria scelta? Dalle cronache non risulta. Secondo te, chi oggi ha un incarico di governo della cosa pubblica ha come preoccupazione principale quella di far esplodere la creatività delle idee, farne un esame libero e attento per poi scegliere le soluzioni migliori? Francamente, non credo di essere il solo a non essermene accorto. Secondo te, per la recente riorganizzazione delle scuole è stata cercata l’idea che sintetizzasse la soluzione migliore o quella che richiedeva proprio minore sforzo di ideazione? No, ti prego di non girare a me il compito della risposta e di non insistere, tanto non rispondo nemmeno sotto tortura.
P. Comincio dalla fine del tuo grido di dolore. L’assetto scolastico che è stato deliberato senza tener conto dei richiami alla razionalità è l’ennesima applicazione della sostanza tossica formata dal famigerato miscuglio di opportunismo e stupidità. È la stessa sostanza che sta all’origine dell’alluvione. È la stessa sostanza che avvelena gli Stati, anche quelli democratici. Verrebbe da dire, con Michelangelo:
Caro m’è ’l sonno, e più l’esser di sasso,
mentre che ’l danno e la vergogna dura;
non veder, non sentir m’è gran ventura;
però non mi destar, deh, parla basso.
Ma bisogna non abbandonare la speranza che la ragione sia stata data per il bene e non per la rovina dell’umanità.
Ignoranza, superstizione e fanatismo: solo polvere della storia?
«Sono tre le persone uccise stamani nella ‘guerra’ contro le vaccinazioni antipolio in Pakistan che in meno di 48 ore ha già fatto almeno nove morti e quattro feriti… L’Organizzazione mondiale della sanità ha sospeso le attività del suo staff coinvolto direttamente nella campagna di vaccinazioni antipolio in Pakistan…Il Pakistan, insieme all’Afghanistan e alla Nigeria, è uno degli ultimi tre Paesi al mondo in cui la poliomielite è ancora endemica…Nel Pakistan nordoccidentale i Talebani si oppongono alle vaccinazioni». (Adnkronos/Aki, Islamabad, 19 dic.)
F. La nota di agenzia qui riportata è di per sé di quelle scioccanti, ma non meraviglia più di tanto se completata con quest’altra: “Non ci sono indizi sugli assalitori, ma si sospettano i militanti islamici, da sempre contrari alle vaccinazioni. Alcuni gruppi religiosi avevano emesso «fatwa» contro la profilassi anti-polio che, secondo una credenza popolare diffusa tra i radicali islamici, avrebbero conseguenza sulla fertilità maschile. Alcuni team di volontari avevano già ricevuto minacce di morte. Anche i talebani si oppongono in quanto temono che gli operatori sanitari siano agenti di spionaggio” (Corriere della sera.it).
Che dire? Ci sono aree del mondo in cui superstizione e fanatismo sono fenomeni estremi, che però né nascono oggi né si alimentano reciprocamente per strane congiunzioni astrali. In realtà si tratta di due facce della stessa medaglia, con l’una o l’altra in maggiore o minore evidenza a seconda dei momenti storici, delle aree e delle vicende particolari. Soprattutto è da rilevare che non c’è un processo lineare per cui il brutto arretra e il bello inevitabilmente avanza. Anzi, si può dire che nella domanda di senso dell’umanità c’è sempre la presenza dei due gemelli Giacobbe (l’intelligenza, la ricerca di autonomia) ed Esaù (la loro negazione mediante l’esercizio della forza). Dunque non basta dare una spolveratina alla storia per risolvere il problema, né basta per salvarsi la coscienza relegare il tutto nei residui del passato o nella geografia dell’arretratezza e della povertà, condizioni che ovviamente in ogni caso pesano.
Sappiamo che prima che nelle credenze religiose il fanatismo avanza nelle menti che ignorano, e che diventano di per ciò stesso manovalanza a disposizione di chi detiene o vuole conquistare il potere. È per questa ragione che da sempre la civilizzazione è innanzitutto cultura, prevalenza del sapere sull’ignorare, e la liberazione di un popolo avviene solo quando all’interno del popolo stesso si sono fatte strada le idee consustanziali con la democrazia, che non sono mai un regalo o una conquista facile e rapida. Ma, come nessuno è immunizzato dai pericoli della superstizione e del fanatismo anche quando questo risultato sia stato raggiunto per autonoma e consapevole conquista, così nessuna società può vivere sonni tranquilli se non ha classi dirigenti ogni volta capaci di stimolare le autonome reazioni dell’organismo, e quando serve, anche di somministrare le giuste dosi di antibiotico.
Certo la religione troppo spesso è stata, e troppo spesso ancora è, instrumentum regni. E sappiamo che quando è così tradisce se stessa, qualunque sia il suo credo. Comunque, per quanto facciamo, non siamo mai garantiti, nemmeno quando avessimo espulso dal nostro orizzonte la dimensione religiosa, ché anzi proprio questa non di rado ha fatto da potente antidoto contro le diverse forme di disumanizzazione. Non lo siamo nemmeno dove e quando ci si illude di essere al top della civiltà e della democrazia, ad esempio affidandoci ciecamente ai meccanismi della secolarizzazione. Questa infatti di per sé non rende autoimmuni né le coscienze né le società, di sicuro rispetto all’ignoranza e alla prepotenza, e perciò anche rispetto all’uso spregiudicato del potere o all’ignavia del lasciar fare. Magari in questi casi i fenomeni sono meno radicali ed hanno conseguenze meno gravi che altrove, e tuttavia un peso sulla vita delle persone e della stessa collettività ce l’hanno eccome. Basta guardarsi intorno.
P. Sebbene ancora si celebri il Natale, non è considerato oggi elegante parlare di cristianesimo. Ma forse è bene ricordare che il Cristo fu messo a morte dai “religiosi” di Gerusalemme, che avevano fondato sulla religione e sul culto una organizzazione di potere e di lucro. Gesù aveva predicato un Dio che non giudica, non condanna e non castiga, un Dio di misericordia e, soprattutto, di compassione. Grandi sacerdoti, sadducei, scribi e farisei erano in allarme perché vedevano in pericolo il loro potere basato sulla paura, poiché è la paura il terreno di coltura di ogni potere politico o religioso. Ma il fatto che li determinò ad agire drasticamente fu la cacciata dei mercanti dal Tempio. Fino ad allora avevano rinviato la soluzione finale per timore del popolo che amava Gesù, ma capirono che, con la cacciata del mercanti, quel rabbi si era alienato il favore del popolo, o almeno di quella parte importante di esso che campava e si arricchiva col giro di affari del Tempio. Quando diciamo che la storia si ripete, forse intendiamo semplicemente dire che il meccanismo del potere, sia politico che religioso, può cambiare solo con una conversione del cuore.
Finalmente in politica si sale, non si scende
“Insieme abbiamo salvato l’Italia dal disastro. Ora va rinnovata la politica. Lamentarsi non serve, spendersi sì. “Saliamo” in politica!”. (Mario Monti)
F. Tutti i giornali cartacei e online, i tele e i radiogiornali, i diversi social network, i piccioni viaggiatori e quant’altro costituisce oggi mezzo di comunicazione, hanno rilanciato per giorni i due tweet con cui Mario Monti ha fatto capire di essere ormai deciso a “salire” in politica. Questa attenzione è evidentemente giustificata per tanti motivi (rilevanza intrinseca del fatto e del personaggio, momento scelto, mezzo utilizzato), ma io credo che interessi più di ogni altro aspetto il contenuto. Non mi riferisco tanto all’asserzione “abbiamo salvato l’Italia dal disastro”, che io penso sia un obiettivo ancora da raggiungere, quanto alle affermazioni-invito: “va rinnovata la politica”, “lamentarsi non serve, spendersi si”, “saliamo in politica!”. La vera novità sta qui, soprattutto in quel “saliamo in politica”, che rovescia il concetto e la pratica della politica che abbiamo conosciuto in quello che sembrava essere diventato il lungo cammino del declino della Repubblica. Non più scendere, ma al contrario salire, perché non si tratta solo di arrestare il declino, ma di riconquistare la dimensione vera della politica, che, se rettamente intesa, resta la più alta espressione della capacità umana di produrre civiltà. Non so che cosa succederà ora, quali saranno le mosse dei partiti, quali le dinamiche delle alleanze, quali le definizioni programmatiche che saranno poste a confronto. Mi pare però che in ogni caso la mossa di Monti rappresenti una novità seria e incoraggiante, con la quale si spera che ci si vorrà confrontare ad ogni livello sia per ciò che concerne la cultura di fondo di cui è espressione, sia per i metodi, sia infine per le idee che mette in campo.
P. Ti devo confessare che l’attenta lettura dell’Agenda Monti non mi ha particolarmente sorpreso. Essa contiene una dose massiccia di buon senso che non so quanto potrà emozionare l’elettorato italiano. Però mi sembra opportuno che circoli una proposta nella quale possano riconoscersi coloro che non credono alle favole dei ciarlatani, alle battute dei buffoni e alle melensaggini dei “buoni e giusti” in servizio permanente effettivo.