Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Pier Luigi Leoni
Caro amico, così ti rispondo …
Franco Raimondo Barbabella
Monti bis?
Continua a non succedere niente di particolare. Il professor Mario Monti resta un burattino dei grandi potentati finanziari, delle banche, delle grandi compagnie di assicurazione, di Goldman Sachs, della Trilateral, del gruppo Bildeberg, probabilmente è massone, resta un borioso lontano dalla sensibilità popolare, aumenta le tasse della povera gente, taglia i servizi sociali, fa il gioco dei burocrati, delle varie caste, macella le pensioni, chiude le corsie, deprime l’economia, blocca lo sviluppo, svende la sovranità nazionale, s’inchina alla signora Merkel, eccetera eccetera. Si tratta solo di capire, dopo la sua puntatina al Ppe, se queste cose scontate le dirà ancora Brunetta o toccherà a Bersani. (Andrea Marcenaro)
P. L’autore della rubrica “Andrea’s version” su IL FOGLIO irride alla politica e ai suoi paradossi. Mette nero su bianco quelli che sono i dubbi di tutti gli italiani, anche di coloro che dichiarano di apprezzare la cosiddetta agenda Monti. Il fatto è che il potere non può essere conseguito e mantenuto senza far leva sulla paura della gente. Paura dei comunisti, paura di Berlusconi, paura della fame e, adesso, anche paura di Monti. Anch’io non posso fare a meno di aver paura, però mi consolo assistendo allo spettacolo della paura dei politici. Osserviamoli bene: sono terrorizzati.
F. Anche io confesso di provare qualcosa di strano quando penso alla nostra condizione di italiani, qualcosa che potrebbe essere forse un mix di apprensione e paura. Per quel che vedo e soprattutto per quello che non vedo, per quello che c’è e soprattutto per quello che non ci sarà. Per una classe dirigente come minimo inadeguata, per molti versi irresponsabile, comunque preoccupata meno del Paese che di se stessa. Aggiungo che per quanto mi riguarda è legittimo sostenere che l’esperienza del governo Monti, per limiti sia soggettivi che oggettivi, non ha cambiato le cose come sarebbe stato giousto e necessario. Però non possiamo far finta di non vedere che amici e nemici hanno fatto di tutto per interpretare quella come una fase da liquidare prima possibile per tornare alle vecchie vantaggiose abitudini, particolaristiche e spendaccione, senza controlli e senza responsabilità. Provo perciò fastidio per queste tirate facilotte alla Andrea Marcenaro. No, troppo facile prendersela con Monti, direi anche troppo comodo! Ci siamo già scordati perché è stato chiamato? Lasciamo perdere poi la leggenda metropolitana di un Monti agente infiltrato dei potentati finanziari internazionali, leggenda che, a confronto della realtà effettuale, non è più solo espressione consunta della mentalità complottarda di certa sinistra, ma direi soprattutto compiaciuta manifestazione del diffuso appiattimento morale del Paese. Propongo per questo di erigere un monumento a chi ha inventato la teoria del complotto spiegatutto, un vero genio. Infatti, che c’è di meglio di un complotto per rendere tutti innocenti? Quale sarebbe l’auspicio, che il popolo sia sempre più bue e ci sia sempre chi lo porta in carrozza? Davvero basta. Tutto questo, dopo la conferenza stampa di domenica, non fa altro che aumentare la credibilità sia di Monti che della sua agenda in modo incommensurabile per gli altri, che, più che concorrenti, rischiano a questo punto di apparire solo maldicenti confusi e invidiosi. Allora una domanda conclusiva: ma il popolo si deciderà finalmente ad aver paura soprattutto di se stesso?
Il rinvio della fine del mondo
Ironica la posizione del vescovo cileno, monsignor Bernardo Bastres Florence, che di fronte al panico che corre sul web di chi crede di essere sull’orlo di una tragedia planetaria coincidente con la fine del calendario Maya, si è fatto portavoce di una richiesta singolare lanciando un appello: chi ha paura e teme la fine del mondo consegni i beni alla Chiesa cattolica. Il prelato ha spiegato all’agenzia Fides che «se molti credono che il mondo finirà il 21 dicembre, noi, come Chiesa, non abbiamo alcun problema se la gente ci vuole intestare i propri beni e lasciare le proprietà». (Il Messaggero)
P. La strampalata profezia dei Maya ha fatto riaffiorare la paura della tragedia collettiva che ogni essere umano porta nel proprio inconscio come retaggio delle migliaia di tragedie sperimentate dagli antenati. Si è salvato da un sia pur leggero stato d’ansia chi non ha saputo nulla della profezia, chi si è affidato alla sapienza degli scienziati ritenuti più seri e chi ha fede nella dottrina cristiana, la quale insegna che la fine del mondo sarà un avvenimento piuttosto complicato e non improvviso. Ma la battuta di spirito del vescovo cileno, si può meglio apprezzare nella sua finezza se si tiene conto della “leggenda dell’anno mille”. Da parte anticristiana, o almeno anticlericale, si è sempre detto che i popoli europei del Medioevo erano terrorizzati da una profezia fatta circolare proditoriamente dai preti per ispirare testamenti a favore della Chiesa. In effetti, prima dell’anno mille, molti testamenti a favore della Chiesa contenevano la formula “appropinquante fine mundi” (essendo prossima la fine del mondo). Ma studiosi seri hanno spiegato che la Chiesa ha sempre considerato eretiche e combattuto le profezie millenaristiche, quelle con cui gli esseri umani pretendono di dare scadenze al Creatore. La formula latina aveva un significato del genere: “Poiché nell’ineluttabile giorno del giudizio dovrò rispondere di come avrò impiegato i miei talenti, voglio che i miei beni siano destinati all’assistenza ai poveri, agli ammalati e ai pellegrini, cui provvede praticamente solo la Chiesa”. Pare che l’anticlericalismo sia nato, o almeno sia stato efficacemente nutrito, dai parenti diseredati.
F. Capisco la tua ironia, ma mi sembra di ricordare che l’origine dell’anticlericalismo ha origini un pò più complesse. Comunque ha fatto bene monsignor Bernardo Bastres Florence a far capire quanto sia stata ridicola la paura della cosiddetta profezia dei Maya (per il semplice fatto che il calendario Maya non ha mai parlato di fine del mondo, ma, fondandosi su una concezione ciclica del tempo, solo di fine di un ciclo e di inizio di un altro). Bastava informarsi e finirla lì, o, come ha detto uno spiritoso commentatore della NASA, bastava guardare il cielo per vedere se stava arrivandoci addosso un qualche pianeta della nostra o di altra galassia, invece di tempestare di telefonate i centri di ricerca e le istituzioni. In realtà sono ridicole tutte le cose di questo tipo, che sono frutto o di disinformazione o di dabbenaggine o di entrambe le cose. Il web in questi casi ha un merito straordinario: fa diventare ancor più ridicole le cose che già lo sono di per sé. Ma per converso non è certo ridicolo prendere spunto anche da fenomeni come questi per riproporre riflessioni filosofiche o prospettive religiose partendo dall’idea che ci può essere un tempo in cui tutto finisce. Infatti, perché negarne la possibilità, se è vero quello che dice il poeta: “La vita fugge, et non s’arresta una hora,/ et la morte vien dietro a gran giornate,” (Petrarca), e se è parimenti vero quello che del finito dice il filosofo: “si può dire che (il finito) è non solo ciò che perisce, ma ciò che ha dentro di sé il germe del perire” (Hegel)?
TEMA BIS che paura
No alla TEMA bis. Commercianti e imprenditori del centro storico intendono bloccare l’approvazione in consiglio comunale prevista per domani dell’associazione culturale che dovrebbe costituirsi ex novo per la gestione dei beni culturali della città (ad esclusione del teatro). Con una lunga lista di firme raccolte ieri nel corso dell’assemblea pubblica sul Quadro di valorizzazione strategica del centro storico associazioni di categoria e imprenditori hanno chiesto formalmente un rinvio del punto all’ordine del giorno. Motivo: non c’è stata la partecipazione con la città, né con i diretti interessati. L’associazione culturale, aperta a enti e privati, ma che avrà come socio maggioritario il Comune di Orvieto, come noto, dovrà occuparsi della gestione del pozzo di San Patrizio, della fortezza Albornoz, del palazzo dei Sette, della chiesa di San Francesco oltre che del palazzo dei Congressi. (OrvietoSì)
P. La deliberazione del consiglio comunale è stata effettivamente rinviata, ma non per la presa di posizione degli imprenditori, bensì per il fatto che i revisori dei conti non hanno fatto in tempo a formulare il loro obbligatorio parere preventivo in tempo utile. Se ne riparlerà a gennaio. Resta il fatto che l’dea della cosiddetta TEMA bis (il nome scritto negli atti è Associazione Culturale ORVIETO CENTRO) circola da un pezzo e nasce da un progetto di Gianni Marchesini di messa a sistema dei più importanti monumenti comunali, da un lavoro del sottoscritto per un inquadramento giuridico del progetto e da numerosi incontri e confronti tra amministratori comunali e dirigenti. Non so se il progetto andrà in porto, ma la reazione dell’opposizione nella seduta della commissione consiliare che ha trattato l’argomento, e degli imprenditori subito dopo, è troppo vivace per essere schietta. L’opposizione non può dire che si tratti di qualcosa di strano, perché è una soluzione gestionale analoga a quella del Teatro Mancinelli. L’Associazione Culturale TEatro MAncinelli, una volta bonificata dai danni della trascorsa finanza allegra, svolge bene il suo compito. Secondo me l’opposizione si è fatta cogliere dalla paura che il progetto funzioni e che l’amministrazione in carica riesca a mettere ordine in una situazione veramente caotica. Quanto agli imprenditori, non possono dire che una gestione più razionale dei grandi beni culturali non faccia comodo anche a loro. E allora perché s’arrabbiano? Forse vogliono essere loro i gestori? A quale titolo? Per quali meriti passati?
Forse per le passate gestioni del Palazzo dei Congressi? Credo che sappiano che il comune non può affidare gestioni a privati senza una gara regolare; e che nelle gare regolari non si può sapere prima chi è il vincitore, altrimenti si va in galera. O vogliono che il gestore venga da fuori? Non si rendono conto che questa potrebbe essere la loro fine? Parlano di partecipazione. Ma la partecipazione ha un senso quando è opportuno mettere a confronto pubblicamente gli interessi pubblici e quelli privati con la finalità di contemperarli il più possibile. In questo caso gli interessi degli imprenditori di ogni settore hanno tutto da guadagnare da una gestione razionale dei grandi monumenti pubblici. Che c’è da contemperare? Quanto è difficile fare qualcosa di chiaro in questa città.
F. Confesso che è emozionante sentir dire dagli amici quanto hai pensato o detto tu stesso, magari a parti rovesciate. Già, perché accade spesso che ci si preoccupi non che una iniziativa fallisca, ma che vada in porto. Un atteggiamento grave in ogni caso, sia che si governi sia che si stia all’opposizione. Ma certo, se si è maggioranza, è ancora peggio. Io ricordo, e credo che non bisognerebbe mai smettere di ricordare, che ci fu un tempo non lontano in cui un importante progetto di sviluppo della città stava per andare in porto e la preoccupazione maggiore dentro la maggioranza appunto fu che esso andasse effettivamente in porto. Peraltro quelli della maggioranza che la pensavano così erano in buona compagnia di settori non secondari della minoranza e ad essi si aggregarono anche alcuni che non erano né l’una né l’altra e che però non potevano fare a meno di esprimere il “cupio dissolvi” del ventre molle della città. Dunque, se ci sono anche in questa occasione atteggiamenti come quelli descritti, mi sia concesso di non meravigliarmi, essendo consapevole di quanto profondo e diffuso sia il fastidio, non per il non fare o fare male, quanto piuttosto per il fare e fare bene. Se poi si vuol fare qualcosa anche con chiarezza, allora vuol dire che proprio le si cerca con il lanternino. Non conosco bene la proposta di cui stiamo discutendo e non mi sento di poter dare su di essa un giudizio compiuto. Però non ho ragione di dubitare che sia tu che Gianni avrete impostato le cose nel modo migliore. Mi auguro solo che si tratti di uno strumento non per collocare persone, ma per la messa a reddito di un complesso di beni strategici. Le due cose non potrebbero andare d’accordo. Sarebbe imperdonabile se dovessimo assistere anche in questo caso ad una delle tante operazioni a ribasso, quelle di pura sopravvivenza che conosciamo a memoria. Ci sono alcune domande che a mio avviso dovrebbero essere l’assillo di tutti. Ecco la prima: se ci priviamo anche di questi beni per creare reddito, che cosa ci rimane? Ed ecco l’altra che ne consegue: come facciamo a trasformare in fonti di reddito per la città quei beni strategici se non facciamo contemporaneamente una operazione di respiro strategico per la città come tale e per il vasto territorio di cui essa è oggettivamente punto di eccellenza?