Diciamocelo n. 16 – 17 dicembre 2012
Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
La nuova Coscienza Planetaria
“12 – Mirare ad una condizione di equilibrio e stasi sul nostro pianeta è pura illusione; l’unica forma di stabilità è nel cambiamento e nella trasformazione. C’è un costante bisogno di guidare l’evoluzione delle nostre società, così come di evitare delle cadute e di progredire verso un mondo dove tutti possano vivere in pace, libertà e dignità. Tale guida non viene dagli insegnanti e dalle scuole, né dai capi politici o dagli uomini d’affari, nonostante il loro impegno e il loro ruolo siano importanti. È essenziale e cruciale comprendere che essa si trovi in ognuno di noi. Un individuo dotato di coscienza planetaria riconosce il suo ruolo nell’ambito del processo evolutivo e agisce responsabilmente alla luce di tale percezione. Ognuno di noi deve cominciare da se stesso per evolvere la sua coscienza verso la dimensione planetaria; solo allora potremo diventare degli agenti reali e responsabili delle trasformazioni e dei cambiamenti nella nostra società. Per consapevolezza planetaria si intende la conoscenza così come la sensazione dell’interdipendenza vitale, dell’essenziale unicità del genere umano e la consapevole adozione dell’etica e dell’ethos che tutto ciò implica. La sua evoluzione è il nuovo imperativo per la sopravvivenza umana su questo pianeta”. (Dal “Manifesto della Coscienza Planetaria”)
F. Quello trascritto sopra è l’articolo 12 del “Manifesto della Coscienza Planetaria” firmato il 26 Ottobre 1996 all’Accademia delle Scienze di Budapest da filosofi, artisti, scienziati e capi di stato. Esso si caratterizza essenzialmente per il fatto che considera il risveglio della coscienza umana a una dimensione planetaria la chiave per risolvere i problemi mondiali.
Uno dei più convinti fautori della nuova Coscienza Planetaria è l’ungherese Ervin Laszlo, pianista di fama internazionale, filosofo della scienza e uno dei massimi esponenti mondiali della filosofia dei sistemi e della teoria generale dell’evoluzione.
È Ervin Laszlo che nel 1993 ha fondato il Club di Budapest, “un’associazione internazionale informale dedicata a sviluppare un nuovo modo di pensare e nuove etiche per affrontare le sfide sociali, politiche, economiche ed ecologiche del XXI secolo”.
Ed è lui uno degli animatori principali del “Progetto Rete Olistica – Network Etico Globale –un progetto culturale e umano … per una collaborazione attiva e creativa tra tutte le vaste forze che operano – con cuore, intelligenza e coscienza – nell’ambito della nuova cultura planetaria emergente, ma che fino ad ora hanno agito separatamente e in modo frammentato”.
Tale progetto a sua volta si ispira alla “Carta della Terra”, una dichiarazione di principi etici fondamentali per la costruzione di una società globale giusta, sostenibile e pacifica nel 21° secolo. Costruita con un processo amplissimo e lungo di partecipazione mondiale partito nel 1987 in attuazione della raccomandazione della Commissione Mondiale Ambiente e Sviluppo (WCED), è stata emanata nel 2000 e coinvolge oggi migliaia di gruppi e associazioni in tutto il mondo.
È su queste basi che il 15 dicembre scorso al Paladozza di Bologna si è svolta la prima “Giornata della Consapevolezza Globale”, un grande incontro di 5000 persone e associazioni che operano per un mondo migliore per celebrare il raggiungimento della prima “Massa Critica Consapevole” in Italia.
Ti confesso che per un lungo periodo ho nutrito forti perplessità circa la credibilità delle posizioni del Club di Budapest e in generale di tutte quelle vagamente somiglianti alle prospettive millenaristiche e palingenetiche. Ma ora la crisi dei tradizionali modelli di sviluppo, il disastro provocato da un’economia finanziaria ciecamente speculativa, lo sconvolgimento delle condizioni di vita derivante dai cambiamenti climatici, e di fronte a tutto questo l’evidente inadeguatezza della politica ad assumere con urgenza posizioni e iniziative di collaborazione mondiale, mi spingono a una maggiore attenzione.
In particolare mi convince l’idea che ci deve essere un cambiamento mondiale di mentalità e che questo è compito di ciascuno, chiunque sia e qualunque cosa faccia. Insomma un processo di trasformazione dal basso della mentalità e delle tendenze culturali, lungo e difficile quanto si vuole, ma almeno dotato di una forza morale vera perché ancorata al coraggio della concretezza rispetto ai bisogni delle creature che abitano (condanna o privilegio?) questa nostra Terra. Tu che ne pensi?
P. Le catastrofiche e sballate previsioni del Club di Roma, mi hanno reso sospettoso nei confronti di tutti i club di anime belle che vogliono salvare il mondo dalla catastrofe. Peraltro essi mi ricordano tutti gli agnosticismi che, nella storia, hanno prodotto le vere catastrofi. Il meccanismo mentale è sempre lo stesso e consiste in tre affermazioni non dimostrabili: a) il mondo non funziona come dovrebbe; b) è possibile farlo funzionare bene; c) io ho trovato la ricetta. Sono queste tre affermazioni che, pochi decenni fa, ci hanno regalato il comunismo e il nazismo. Tuttavia (per fortuna esiste la congiunzione “tuttavia”) mi sembra evidente che il mondo stia camminando su una brutta strada. Mi convince la metafora del treno in corsa che ha i freni che non funzionano ed è destinato a deragliare dove finiranno i binari. I passeggeri o non sanno che i freni sono rotti, o sperano di morire prima che finiscano i binari, o sperano che qualcuno trovi il modo di inventare binari che si allunghino da soli. Ma c’è pure chi ha paura e non può fare a meno di predicare. Ma c’è poco da predicare: il mondo è pieno di bombe all’idrogeno e di matti. È sempre più facile fabbricare le bombe ed è sempre più difficile rinchiudere i matti. Perciò, caro Franco, poiché sono convinto, come Paolo VI, che la politica è la più alta delle attività umane, la soluzione non può che dipendere dalla politica, cioè dalla instaurazione di un governo mondiale. Questa mi sembra sempre meno un’utopia a mano a mano che l’economia globale sta unificando di fatto il modo, dimostrando nello stesso tempo che non è idonea a unificarlo di diritto. La crisi economica ammorbidirà le teste dure.
Boscolo Etoile Academy a Tuscania
“A Tuscania (scuoladicucinaetoile.it) alta formazione in un ex convento ristrutturato: 6-8 mesi divisi tra studi teorico-pratici e stage”. (Annuncio su “Io Donna” di sabato 8 dicembre 2012)
F. Questo annuncio sabato 8 dicembre si poteva leggere, oltre che sul noto Magazine al femminile del Corriere della Sera, anche su tutte le riviste specializzate di cucina, di turismo e di formazione enogastronomica. Ne è autore la Boscolo Etoile Academy, nome che l’Istituto Etoile ha assunto dal 5 settembre 2010, quando è stata inaugurata la nuova sede, appunto a Tuscania, a seguito della decisione del suo fondatore e proprietario, Rossano Boscolo, di lasciare quella originaria di Chioggia (lì dal 1985).
La superficie della sede di Tuscania è di 2500 mq interni e 17.000 mq di parco esterno ed ospita, oltre alla mediateca, 6 laboratori di cucina: uno di cucina professionale (la cosiddetta “a tavola con lo Chef”), due di pasticceria e panificazione, di cui un’aula magna con 48 posti a sedere, una cucina con postazioni singole anche per gli amatori, un panificio/pizzeria dotato di forno a legna, una sala per la teoria ad alta tecnologia, 32 camere d’albergo, un ristorante, l’Orto dei semplici destinato alla coltivazione delle primizie.
La storia dell’Istituto Etoile annovera migliaia di allievi provenienti da tutto il mondo: 1500 corsisti l’anno, per 92 corsi diversi, tra cioccolateria, panificazione, cucina creativa, cucina salutistica e vegetariana, decorazione, alta pasticceria. In totale oltre 18mila partecipanti, decine di maestri e centinaia di innovazioni culinarie e ricette originali realizzate nel corso degli anni. E solo nel 2011 erano previsti oltre 100 nuovi corsi a calendario. Per il 2013 sono annunciati, come s’è visto, anche corsi lunghi di 6-8 mesi.
Ma perché questa notizia riveste interesse anche per noi? No, non perché qualcuno di noi è interessato a diventare chef di alto rango o pasticcere specializzato, ma perché si tratta di una iniziativa che da Venezia poteva essere trasferita, invece che a Tuscania, ad Orvieto. Dove? Naturalmente nella ex Piave. Infatti, nell’inverno 2004-2005 io e l’allora sindaco Stefano Mocio invitammo ad Orvieto Rossano Boscolo e gli proponemmo di visitare la ex caserma proprio per verificare se l’idea che egli aveva manifestato di trasferire la scuola di alta cucina e di realizzare a supporto di essa un albergo fosse fattibile. Egli venne, fu nostro ospite ed espresse interesse e la disponibilità a continuare il confronto sul progetto. Fu così che la “scuola di alta cucina” entrò a far parte del pacchetto di idee che costituirono il Business Plan elaborato da RPO per la rifunzionalizzazione dell’area di Vigna Grande.
Poi, come è ormai arcinoto, qualcuno (più di uno), alleato con diversi altri, decise di far fallire quella operazione, e voilà, con essa prese il volo anche la scuola di alta cucina di Rossano Boscolo. Altra occasione sprecata. Ma pare che non sia mai successo niente, tutto regolare, nessuna discussione seria, solo posizioni devianti e nessun tentativo di stabilire responsabilità per non fare altre scemenze.
Segnalo questa cosa però non certo perché mi piace invitare a piangere sul latte versato (non credo che qualcuno mi possa accusare di questo atteggiamento mentale), quanto invece perché questa nostra amata città non finisce mai di imparare la lezione, che è questa: non ci sono soluzioni piccole per problemi grandi. Meglio, se i problemi grandi appaiono risolvibili con strategie piccine, forse non è la realtà che è sbagliata quanto piuttosto chi la pensa.
P. Credevi che i Tuscanesi fossero meno furbi degli Orvietani?
Salve le Province, ma l’Italia no
“Alla fine, in perfetto stile gattopardesco, non è cambiato nulla e le Province italiane sono salve. Tutte salve. Il decreto che le riorganizzava, infatti, non sarà convertito in legge”. (Citynews today)
F. È stato subito un coro: fermato lo scempio, meno male che il governo Monti non ce l’ha fatta! Gli amministratori e gli esponenti politici delle Province candidate alla soppressione per accorpamento (tra queste la Provincia di Terni) sono soddisfatti. Una ragione ce l’hanno: non si possono fare le riforme solo usando la calcolatrice. Ma perché non ci si chiede anche se va bene così? Se non c’è da cambiare assetto e logica istituzionale? No, pura difesa dell’esistente.
Ho tanto l’impressione che stia accadendo la stessa cosa di quando il Ministro della Pubblica Istruzione ebbe la bislacca idea di prolungare l’orario di insegnamento in cambio di qualche giorno di ferie in più. I docenti, con in testa i loro sindacati, si indignarono. Tutti si sbracciarono per far tornare indietro il governo e il provvedimento fu ritirato. Finalmente di nuovo tutti contenti. Una ragione ce l’avevano anche loro, la stessa: non si possono fare le riforme solo usando la calcolatrice. Ma anche in questo caso perché non ci si è chiesto se va bene così e se non c’è da cambiare qualcosa, anzi, ben più di qualcosa? No, pura difesa dell’esistente.
È sempre e tutto così: tentativi di riforma improvvisati, cambiamenti solo di emergenza, ognuno che difende il suo pezzettino, e il sistema istituzionale continua a non funzionare, idem il sistema scolastico. L’Italia tutta rischia di andare a fondo, Orvieto pure, Terni anche. E però tutti contenti perché formalmente nulla cambia e così per un po’ si potrà ancora coltivare l’Illusione che lo stellone miracolosamente ci salverà.
“Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, VI). Mai versi furono più preveggenti. Ma mi chiedo: uno che parlasse oggi come Dante settecento anni fa che fine farebbe? Basterebbe l’esilio? Forse sarebbe rottamato: linguaggio vecchio! Evviva!
P. L’Italia ha bisogno di una nuova Assemblea costituente. È inutile che la televisione di Stato ingaggi un comico per esaltare la Costituzione del 1948. Anche se, per pudore, il comico si limiterà a fare il panegirico dei primi dodici articoli, quelli che contengono il rimasticaticcio di principi di diritto naturale che un po’ tutte le costituzioni del mondo, più o meno ipocritamente, sanciscono. A cominciare dalla banalità che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, che traduce un articolo della vecchia costituzione dell’Unione Sovietica.