Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Pier Luigi Leoni
Caro amico, così ti rispondo …
Franco Raimondo Barbabella
Il fascino sottile della speranza
Fine di questo premio è abituare ciascuno di noi a guardarsi intorno per scoprire ciò che un particolare territorio italiano realmente ci dona e ci comunica al di fuori di ogni condizionamento: un pensiero e un comportamento consapevolmente locali, centrati sulle differenze anziché sull’omologazione e l’indifferenza. (Dal bando del premio letterario nazionale Tracce di Territorio 2010).
P. Il concetto non è originale, ma credo sia bene ribadirlo. Soprattutto in questo periodo di buio per Orvieto. Certo, le zone alluvionate e chi ha subito danni tremendi non devono essere dimenticati. Ma il messaggio che viene da quelle zone è la faccia negativa della realtà orvietana: quella della miopia, dell’ignoranza, dell’egoismo, della disonestà e della stupidità. Quel messaggio vale per un bell’esame di coscienza collettivo. Ma vi sono altre facce della realtà orvietana: quella della storia, della cultura, della bellezza e, non ultima, quella della generosità, della mitezza e della gentilezza della quale sono stati testimoni i nostri giovani che sono corsi a mitigare i danni dell’alluvione. Un autore che mi è molto caro, Giovanni Rajberti, ha scritto: “Chi dispera ha una bella illusione in meno e un brutto male in più.” Quindi non disperiamo, anche a rischio di illuderci.
F. Questo che proponi è un tema proprio bello, e importante. Sento che mi coinvolge nel profondo, essendo io convinto come te che la realtà di Orvieto ha anche una faccia in cui si legge sia la capacità di alimentare speranza che le potenzialità reali che possono generare futuro. E poi penso, e so bene che è così, che è accaduto spesso che dalle difficoltà e perfino dalle tragedie si sia usciti più forti e in grado di guardare avanti, rinnovandosi. Il che ovviamente non significa essere contenti che sorgano difficoltà o capitino tragedie, ma solo essere coscienti che soprattutto in queste occasioni si tratta di impiantare riflessioni e ragionamenti per trovare soluzioni (sia del momento che di prospettiva), non di fermarsi al lamento, e tantomeno di coltivare il senso della rinuncia e dell’abbandono. Ma è chiaro che il clima lo creano le classi dirigenti, le quali, solo se sono imbevute di conoscenza e amore della terra in cui vivono, e nel contempo hanno gusto e capacità di visione, possono cogliere le potenzialità che lì esistono e interpretarle come fattori di slancio. Se poi hanno anche il coraggio di accettare le sfide difficili, allora possono addirittura guidare una comunità in difficoltà a percepire il fascino sottile della speranza. Spero che questo accada nella nostra amata città.
Evasione fiscale estremo rimedio?
È cosa conveniente aver pietà dei poveri e dei miserabili, perciò nel riscuoter le tasse si deve di loro aver compassione, perché è cosa dura voler trarre d’onde non si può. (Niccolò Machiavelli).
P. La folle pressione fiscale con cui si cerca di frenare l’impazzimento del sistema economico occidentale sta demolendo il ceto medio, soprattutto con la famigerata IMU, che è una vera e propria imposta patrimoniale con la quale lo Stato e i comuni confiscano il frutto dei risparmi privati. Ma sotto al ceto medio c’è il ceto basso, quello dei poveri, che tende quotidianamente ad allargarsi. Nemmeno i poveri sfuggono al torchio. Ci pensa l’imposizione indiretta, quella sui consumi, cioè l’IVA, le accise e altre diavolerie del genere. Allora, dico io, se è sacrosanta la lotta all’evasione fiscale della quale tutti si riempiono la bocca, è anche sacrosanto che i poveri cerchino di non farsi massacrare dalle imposte sui consumi e comprino da chi evade l’IVA. E sono pure giustificati i cittadini del ceto medio che, nel tentativo di non precipitare nel ceto basso, fanno la stessa cosa.
F. Già, è davvero “cosa dura voler trarre d’onde non si può”. Aggiungerei (con evidente peccato di presunzione) che “è anche cosa sommamente ingiusta”. Ma oggi chi rientra nella categoria del “d’onde non si può”? Tu hai descritto bene il meccanismo perverso generato da una tassazione assimilabile ad una spoliazione. Perciò giro la domanda così: alla fine chi si salva? Basta guardarsi un po’ intorno, leggere qualcosa, ed ecco la risposta: i ricchi, i furbi e i mascalzoni. Tu dirai: ma va! Anch’io ripeto: ma va! E aggiungo: è evidente che in queste condizioni è difficile immaginare una società ordinata, libera e accettabilmente giusta e per contro è facilissimo pensare ad un avvitamento verso il nulla. La spia è proprio l’impoverimento dei ceti medi. Mi chiedo ancora: come si fa a non preoccuparsi del fatto che con questi ceti sfibrati e disgregati non si andrà da nessuna parte? Ma la storia non insegna niente circa le avventure scaturite dalla presenza di masse di nullatenenti, di disoccupati, e appunto di ceti medi impauriti e non di rado disperati? Il risanamento? Una chimera. La crescita? Parola vuota. Nei ceti medi peraltro ci sono differenze rilevanti: c’è chi le tasse le ha sempre pagate, chi non le ha mai pagate, chi le ha pagate e le paga non certo per quello che guadagna. Insomma, solo i ceti a reddito fisso hanno pagato e continuano a pagare per quello che effettivamente devono. In queste condizioni prendersela con chi ha ereditato una casa o l’ha comprata per investire i risparmi di una vita e costringerlo a non sapere se vendere o svendere perché non sa se può continuare a pagare, o se può ristrutturare o deve lasciar andare in malora, non è solo cosa ingiusta, ma è cosa che condanna la società a privarsi del cuore stesso della dinamica sociale. Notizia di questi giorni (fonte ISTAT): il gettito IVA diminuisce (causa la crisi, ovvio); però il gettito complessivo della tassazione aumenta del 4% (causa rata/e IMU, ovvio). Ancora peggio sarà tra poco (causa saldo IMU, ovvio). Così la gente comune non ne può più (causa quasi tutto, ovvio). La civiltà è una gran cosa, ed è per civiltà – credo – che non si sono ancora visti in giro i forconi. Sinceramente non giurerei che il fenomeno è da considerare confinato nei libri di storia.
Centro Studi: Dio ci guardi dai Guelfi e dai Ghibellini
Guido Turreni, Marco Bartolini e Aldo Salticchioli per la maggioranza. Paolo Scattoni e Lucio Riccetti per la minoranza. Ecco la composizione della commissione di esperti che entro 15 giorni dovrà esprimere un parere sulla situazione amministrativa e contabile della Fondazione CSCO. Gli esperti avranno un ruolo determinante per orientare la decisione del consiglio comunale verso la liquidazione della fondazione o verso un piano di rientro per il rilancio della struttura. (OrvietoSì)
Nel proporre in consiglio comunale un supplemento d’istruttoria sulla sorte della Fondazione Centro Studi Città di Orvieto, da affidare a una commissione di esperti bipartisan, dichiarai: “Il CSCO non nacque a colpi di maggioranza e spero che non debba morire a colpi di maggioranza. Anzi auspico che dal confronto possa scaturire una serena riflessione su eventuali soluzioni organizzative alternative perché non vadano dissipate le esperienze fatte e le professionalità maturate, e vada recuperata la vocazione della città all’alta formazione e ad altre congruenti vocazioni, mettendo in campo realismo e rigore amministrativo, ma anche una buona dose di coraggio e d’immaginazione che tutti gli Orvietani accoglierebbero con entusiasmo.” Non so come andrà a finire, ma devo sperare che la commissione non cada nella trappola dell’eterno conflitto tra guelfi e ghibellini. Da una parte chi non vede l’ora di sbaraccare la Fondazione, dando una fregatura alla Cooperativa Sociale Carli, il maggiore creditore, che ha in mano un contratto molto, ma molto, discutibile, e dare una lezione ai dipendenti, i cui posti di lavoro, non ottenuti certo per concorso, fanno girare le scatole ai giovani di allora e a quelli di oggi che sono senza lavoro. Dall’altra parte chi vuole salvare la Cooperativa Sociale Carli dal rischio, forse letale, di perdere tutto, o quasi tutto, il suo credito, e vorrebbe salvare il personale dal rischio della disoccupazione dopo dodici anni di lavoro e di esperienza accumulata. Dagli esperti dobbiamo aspettarci onestà, imparzialità, indipendenza intellettuale, chiarezza e rigore, non soluzioni precostruite né manovre dilatorie. Non è forse vero che, stando alla tendenza attuale, gli esperti sono chiamati a rimediare ai danni fatti dai politici?
F. Nella sostanza questa volta credo di non poter andare oltre una semplice presa d’atto della decisione assunta dal Consiglio e della composizione della Commissione che ne è derivata. Condivido in toto la tua posizione e mi auguro vivamente che gli esperti facciano un buon lavoro. Mi limito a ribadire che sarebbe un altro colpo grave per Orvieto una pura liquidazione del CSCO senza che contemporaneamente, o in continuità o in sostituzione, si organizzasse un qualcosa, un contenitore con capacità elaborativa e operativa, un soggetto libero di muoversi e però coordinato con le politiche di sviluppo della città, che faccia del sapere e della cultura un sistema, quel volano della rinascita e dello sviluppo di cui si è tante volte detto e per la cui effettiva esistenza nella realtà però poco si è fatto. Il cuore della decisione non può che essere questo, essendo le altre questioni rilevanti sì, delicate sì, importanti sì, ma a latere, non al centro. Il ricordo dei guelfi e dei ghibellini e delle lotte fratricide che portarono alla rovina il libero comune medievale dovrebbero insegnare qualcosa. La conoscenza della storia però non è mai inutile quando l’animo di chi la rammenta è sgombro da schemi precostituiti, come non dubito sia quello di chi è stato chiamato a dare un fondato parere sul che fare, parere che perciò ci si aspetta sia con esso del tutto coerente.