Per nostra fortuna la corazza delle personali illusioni ci consente di resistere, almeno fino a un certo punto, al peso della nostra individuale e collettiva tragedia. È sempre stato così e non so se sarà sempre così. Ma vi sono momenti in cui la corazza scricchiola in modo particolarmente inquietante. Ciò avviene quando uno dei tre mostri che ci avvelenano la vita – la paura della fame, della malattia e della morte – urla con particolare forza e insistenza. Quello che stiamo vivendo è un momento in cui la paura della fame inquieta anche coloro che, per età giovanile e buono stato di salute, riescono a mantenere sopite le altre paure. Per paura della fame deve intendersi, secondo i paradigmi della parte economicamente evoluta dell’umanità, paura di perdere il lavoro, di non trovare un lavoro per i figli, di non poter pagare i debiti, di scivolare dal proprio ceto sociale a uno più basso, di non potersi permettere la seconda casa e poi nemmeno la prima e poi le vacanze e poi l’automobile e poi i vestiti nuovi e poi la frequentazione dei ristoranti, dei bar e di tutti i posti in cui bisogna mettere mano al portafoglio. Allora l’africano che ci chiede un euro per il panino ci provoca un turbamento, perché nello schermo della nostra mente compaiono diapositive di uno spaventoso futuro in cui vediamo noi e i nostri figli tendere la mano.
Non è un allegro discorso di capodanno, me ne rendo conto. Potrei laicamente invitarvi a sperare nell’Europa e, secondo i gusti, in Bersani, Monti o Berlusconi, nei progressi della scienza, nelle logiche dell’economia, in cui i ricchi hanno bisogno dei poveri e i poveri dei ricchi, e nel libero mercato, mano invisibile che aggiusta tutto.
Ma l’unica frase che mi viene in mente per augurare al Direttore e a tutti i Lettori di OrvietoSì un felice 2013 è un detto attribuito a Martin Luther King:
“Quando la paura bussa alla tua porta, manda la tua fede ad aprire: non troverà nessuno.”