Riceviamo dalla mozione “Orvieto. La Città che vogliamo”, che si presenterà al prossimo congresso del PD orvietano, e pubblichiamo.
“È nostra convinzione- scrivono Cristina Croce, Daniele di Loreto, Andrea Marini e Andrea Scopetti- che ad Orvieto il tempo delle finte rivoluzioni e delle vane speranze abbia corroso la coscienza popolare a tal punto da aver affievolito la capacità di riscossa e di rinascita”. “Siamo convinti- continuano i democratici di “Orvieto che vogliamo” sostenuti anche da Galanello e Germani- che il Partito Democratico abbia urgente bisogno di un supplemento d’anima e d’identità, entrambi messi fortemente in crisi dalla totale mancanza di autonomia politica e decisionale che, gradualmente, il nostro partito ha sacrificato sull’altare delle logiche correntizie e delle mediazioni calate dall’alto. Con questa mozione indichiamo un’idea di Città, ne tratteggiamo gli aspetti più significativi, individuiamo un percorso e, soprattutto, il metodo perché questa idea possa essere realizzata”.
Questo il testo integrale della mozione
“Orvieto. La Città che vogliamo”
Congresso comunale straordinario
“Orvieto. La Città che vogliamo” è il titolo di questa mozione. Non è uno slogan che introduce un progetto ma è il nucleo del progetto. Rappresenta il disegno di quanti vorrebbero un eccellente luogo per vivere oggi e per far vivere domani i propri figli. È un obiettivo da raggiungere e una sfida da lanciare. È l’espressione di una passione che portiamo nell’animo, di una forte carica emotiva e di una grande spinta motivazionale: quella di fare politica per il raggiungimento del bene comune.
“La Città che vogliamo” e come la vogliamo e dove vogliamo che sia inserita è nostro compito costruirla. Se non lo faremo noi del Partito Democratico, unitamente alle forze del centro-sinistra e della società civile che nel nostro disegno si riconoscono, lo farà qualcun altro, molto probabilmente in modo diverso e con obiettivi diversi dal nostro, che è solo quello di garantire a tutti in un luogo eccellente un’esistenza libera e dignitosa e questo si può raggiungere solo se a tutti è garantito il diritto di studiare, di lavorare e di essere assistiti nel bisogno.
“La Città che vogliamo” è la nostra Città: è la Città dove abbiamo la nostra casa, la nostra famiglia, i nostri affetti; è la Città delle nostre tradizioni e della nostra cultura; è la Città che conserva la nostra storia ed esprime la nostra identità.
È la Città che ci chiama a pensare ad una crescita e ad uno sviluppo diversi rispetto a quelli che hanno caratterizzato il recente passato, ad una inversione di tendenza rispetto alla politica che negli ultimi anni ha visto prevalere strategie di divisione. La nostra Città ed il nostro territorio ci chiamano ad idee originali che sappiano valorizzare l’uso intelligente e sostenibile delle risorse ambientali, paesaggistiche e culturali, nella prospettiva di una Città verde che smetta di consumare suolo e che lavori ad una imponente riqualificazione del costruito, perseguendo alti standard di efficienza energetica.
Questa Città determinerà la nostra coscienza; ci farà vivere più o meno bene, condizionerà la nostra esistenza, farà fare ai nostri figli la scelta di rimanere o di cercare altrove ciò che noi non siamo riusciti a costruire per loro. Questa Città sarà il nostro futuro.
Al di la di ciò che possiamo ritrovare nella Carta d’Intenti del Partito Democratico, per quanto riguarda la tutela dell’occupazione, il diritto allo studio, l’assistenza sociale, la difesa delle classi più deboli, che riteniamo indiscutibile patrimonio comune tra tutti coloro che appartengono al nostro Partito, abbiamo riportato di seguito quegli elementi relativi alla Città e alle dinamiche dell’Unione Comunale di Orvieto che hanno rappresentato per alcuni aspetti motivo di una forte dialettica interna e che, secondo le diverse scelte, possono determinare un diverso futuro della nostra Città.
In questa mozione quel futuro noi lo abbiamo disegnato e se vi sarà su di essa la maggioranza dei consensi a questo disegno dovranno attenersi i futuri dirigenti del nostro Partito, cui sarà affidato il compito di dare concreta attuazione ad un progetto ambizioso ma non irrealizzabile.
Alla burocrazia lasciamo il compito della gestione dell’ordinario, alla politica spetta quello di definire una visione per migliorare l’esistente.
Questa mozione non è un programma elettorale, né potrebbe esserlo. Il programma sarà la sintesi di tutte le espressioni del Partito, affinché tutti possano riconoscersi e tutti possano fattivamente contribuire a riaffermare il nostro ruolo di partito di maggioranza, così ingiustamente vilipeso. Il programma lo scriveremo insieme e sarà il nostro comune elemento di forza.
Questa mozione indica un’idea di Città, ne tratteggia gli aspetti più significativi, indica un percorso e, soprattutto nelle conclusioni, il metodo perché questa idea possa essere realizzata.
È nostra convinzione che ad Orvieto il tempo delle finte rivoluzioni e delle vane speranze abbia corroso la coscienza popolare a tal punto da aver affievolito la capacità di riscossa e di rinascita. Siamo convinti che il Partito Democratico abbia urgente bisogno di un supplemento d’anima e d’identità, entrambi messi fortemente in crisi dalla totale mancanza di autonomia politica e decisionale che, gradualmente, il nostro partito ha sacrificato sull’altare delle logiche correntizie e delle mediazioni calate dall’alto.
I contenuti di questa mozione rappresentano una discontinuità con il passato.
Politiche per il territorio
La Presidente della Regione dell’Umbria, Catiuscia Marini, così definisce l’Italia centrale: “L’Italia di mezzo non è un territorio di risulta tra il Nord e il Sud. È, anzi, un pezzo dell’Italia che ha una sua forte ed anche antica identità, basata sul suo alto grado di coesione sociale, su di un comune tessuto economico fatto di piccole e medie imprese, una ricchezza architettonica, paesaggistica ed ambientale. Dunque un pezzo dell’Italia che può rappresentare un vero e proprio modello e che può contribuire alla crescita di tutto il Paese”.
Preso atto che il futuro è quello che ci spiega la nostra Presidente, occorre pensare ad una nuova geografia politico-istituzionale per un’idea di Umbria delle città e dei territori fondata sulle pluralità culturali, sociali ed economiche, sulla ricchezza delle radici storiche e sulle funzioni cerniera e sinergiche realizzabili con altri territori di regioni confinanti.
Con una visione più ampia, aperta al cambiamento e lungimirante, Orvieto ed il suo Comprensorio si candidano in questo nuovo disegno politico quale terra di accesso all’Italia di mezzo, dove l’Italia è più Italia. La connotazione geografica del nostro territorio, il paesaggio, la storia, le infrastrutture già esistenti e quelle già progettate (casello Orvieto Nord, collegamento con Civitavecchia) ci permettono di poter concretizzare una nuova stagione di sviluppo economico, di lavorare quindi ad un nuovo progetto di area vasta da costruire su sinergie ed interrelazioni con i territori circostanti oltre i confini della nostra Regione, che sia basato su un’idea di sviluppo sostenibile dove la nostra collettività è al centro e partecipa attivamente alla costruzione dell’interesse generale.
Le riforme istituzionali (Unioni dei Comuni, Provincie, Asl) sono di fondamentale importanza poiché la nuova ridefinizione delle competenze e della collocazione geografica degli Enti, andranno ad incidere sui processi programmatici e decisionali dei diversi territori. E’ necessario, quindi, un sistema basato su Comuni e Associazioni tra Comuni a cui rimettere le funzioni di area vasta, non gestite direttamente dal governo regionale ma in relazione con le politiche regionali; ciò permetterebbe di rispondere anche all’esigenza della semplificazione, dello snellimento e dell’efficienza della macchina pubblica.
Il processo di riforma in Umbria è ormai avviato ed il quadro del nuovo assetto istituzionale è in via di definizione. La scelta di due Asl in tutta la Regione, oltre che a far realizzare un cospicuo risparmio economico, può assumere un importanza rilevante per il nostro territorio: con il potenziamento gestionale ed organizzativo dei distretti sanitari il nostro distretto sarà più autonomo nelle scelte e renderà più snella e più accessibile agli utenti la fruizione ai servizi.
Occorre inoltre ripensare una riforma innovatrice che superi il vecchio modello di Ente provinciale, che eviti il distacco del rapporto tra Ente e cittadino e l’accentramento del potere decisionale, mettendo al centro le peculiarità di vaste aree omogenee all’interno del contesto regionale. E’ con l’istituzione di cinque unioni comunali speciali, fondate su tutti quei fattori che rendono omogeneo un territorio, con deleghe regionali inerenti lo sviluppo economico, la programmazione e l’amministrazione dei macro servizi (viabilità, rifiuti, risorse idriche, ambiente) che si può realizzare un nuovo ed unico Ente rappresentativo del territorio, efficiente, a stretto contatto con tutti i cittadini.
Ad ogni luogo la sua vocazione
Orvieto è composta di tre diverse realtà, ciascuna con la sua propria vocazione: il centro storico, le aree intorno alla rupe e le altre aree.
Il centro storico rappresenta l’elemento identificativo della Città ma non è l’unico spazio a cui deve essere indirizzata l’attenzione di chi amministra. È l’elemento che consente di promuovere il turismo, l’artigianato e l’industria culturale ed è il luogo per le manifestazioni storiche, per i festival musicali, enogastronomici e di approfondimento culturale; vi si trovano tutte le opere d’arte della Città. È un bene prezioso che va tutelato, conservato, caratterizzato.
Pur considerando le legittime esigenze dei giovani, ai quali andranno trovati adeguati spazi per le proprie manifestazioni, il centro storico non può essere allo stesso tempo la capitale delle città slow e la sede della movida. Una cosa esclude l’altra, per questo va fatta una scelta: coraggiosa, forse anche impopolare, ma necessaria per dare un senso alla Città. Resta comunque ferma la nostra convinzione che bisognerebbe creare la cultura del rispetto reciproco perché in esso ci sarebbe spazio per tutti.
Il centro storico va anche pedonalizzato. Per sua natura si presta ad essere interamente ZTL; per quanto possibile andrebbe effettivamente realizzata tenendo in considerazione le sole esigenze dei residenti e delle attività commerciali. Si tratta di fare scelte impopolari che inizialmente troveranno forte resistenza da parte della collettività ma successivamente saranno premianti, anche sotto l’aspetto del consenso, come testimoniano numerosi esempi in Italia.
Un discorso a sé meriterebbe il sistema degli esercizi commerciali, che hanno il vantaggio di essere facilmente raggiungibili perché disposti quasi esclusivamente sulle due principali direttrici viarie della Città e potrebbero essere messi a rete attraverso una sorta di “centro commerciale diffuso”, con un brand identificativo ed una card che con vari sistemi premianti, dall’accumulo di punti al parcheggio gratuito per un tempo limitato, promuova la fidelizzazione della clientela.
Le aree intorno alla rupe (Orvieto Scalo, Ciconia, Sferracavallo) hanno un’elevata densità abitativa e nello stesso tempo offrono una buona qualità di vita, perché dispongono di un contesto urbano fatto di servizi pubblici e di esercizi commerciali privati che favoriscono le quotidiane necessità della vita nonché le altrettanto importanti relazioni sociali. Dai centri commerciali ai piccoli negozi per la vendita al dettaglio, dagli asili nido ai centri sociali, dalle farmacie agli studi medici, queste aree non mancano né di servizi né di comodità; ciò che rende difficile la vita in queste realtà è il traffico di attraversamento. Laddove non fosse possibile, per un fatto tecnico o per mancanza di fondi, ovviare con le varianti, sarà necessario fare scelte coraggiose: ci vuole la moderazione del traffico, da attuarsi con la “zona 30”, con una serie di infrastrutture atte alla riduzione della velocità, con attraversamenti protetti per tutelare gli utenti deboli della strada e con una diffusa cultura della sicurezza stradale, mai presa in considerazione fino ad ora anche come elemento qualificante della Città.
Le altre aree sono piccoli borghi, molti di incomparabile bellezza, che hanno una forte connotazione identificativa e una vita sociale prevalentemente intorno alla piazza e al campanile. Qui l’attività amministrativa è stata sempre carente nell’attenzione alle piccole cose; in alcuni casi sarebbe bastata la normale manutenzione per rendere un adeguato servizio pubblico. La distanza dal centro storico è l’unico vero problema di queste aree, risolvibile con una razionalizzazione dei servizi amministrativi e una rimodulazione di quelli a domanda.
Nel complesso però le tre aree si integrano in un vasto territorio, facilmente fruibile attraverso una rete viaria a scarsa densità di circolazione che permette di considerare Orvieto una “Città diffusa di tipo spontaneo”, con “il suo lago, le sue montagne, le sue terme, i suoi percorsi naturalistici”. La Città considerata in tal senso è una città che aumenta di molto le sue potenzialità. Così andrebbe pensata e così andrebbero disegnati il suo ruolo in un’area vasta, la sua capacità ricettiva, la sua funzione turistica e la sua potenzialità abitativa.
La questione dei rifiuti
Quanto maggiore è la coscienza civica delle persone tanto maggiore è il risultato che si ottiene dalle azioni innovative: vale per la questione dei rifiuti come per qualsiasi altro settore della comune convivenza. Solo una diffusa ed elevata coscienza civica potrebbe infatti permettere di raggiungere rapidamente su tutto il territorio comunale un elevato risultato nella differenziazione dei rifiuti e nel conseguente riutilizzo dei materiali, con la creazione di filiere che potrebbero determinare concreti benefici anche dal punto di vista occupazionale. Nella Città che vogliamo questa coscienza andrà creata attraverso una forte azione di informazione, unico strumento che può determinare il conseguente consapevole comportamento dei cittadini.
In merito alla questione dei rifiuti, quanti aderiscono alla presente mozione intendono ribadire con forza la propria decisa contrarietà all’apertura di un terzo calanco nella discarica “Le Crete” e si impegnano a lavorare per far emergere progetti alternativi rispetto a quelli fino ad ora presentati, che, salvaguardando l’ambiente come obiettivo primario, siano anche in grado di aumentare i livelli occupazionali e di aprire nel contempo diverse e migliori prospettive per le aziende locali.
La mobilità sostenibile
Le diverse componenti della Città devono essere ripensate anche in funzione di una mobilità sostenibile.
Una volta incoraggiato l’utilizzo dei parcheggi nelle due aree di Foro Boario e Via Roma, riattivate le scale mobili e maggiormente pubblicizzato l’uso della funicolare non solo per i gruppi turistici, il centro storico non necessita di altro se non di una maggiore pedonalizzazione e di un maggiore controllo sull’uso dei parcheggi di superficie che deve tutelare il rispetto delle aree riservate ai residenti.
Nelle aree intorno alla rupe vanno invece realizzate piste ciclabili, perché rappresentano un ulteriore elemento di qualificazione urbana e di aggregazione sociale, favoriscono la mobilità e migliorano la qualità della vita. Le piste ciclabili sono un fatto culturale prima ancora che infrastrutturale; non a caso ci sono in prevalenza laddove è fortemente sentita la cultura della mobilità sostenibile. Una pista ciclabile che colleghi le tre aree intorno alla rupe ed un’altra che, utilizzando la Valle del Paglia perché pianeggiante, metta in comunicazione Orvieto con la Selva di Meana rappresenterebbero tra l’altro un importante elemento di attrazione e di qualificazione del territorio.
Le industrie della Città
La Città ha pagato pesantemente il fatto di aver abbandonato quanto contenuto nel Progetto Orvieto. Gli elementi peculiari del territorio come il turismo, l’ambiente, l’agricoltura e la cultura rimangono gli strumenti fondamentali per riavviare lo sviluppo.
È raro che le città d’arte siano anche città congressuali. Ancora più raro è che città d’arte e congressuali abbiano una moderna ed efficiente rete di infrastrutture. Orvieto dispone di tutti e tre questi elementi. Quasi un unicum in Italia, anche in ragione delle sue modeste dimensioni.
Contrariamente ad una diffusa opinione, Orvieto dispone anche di un’adeguata capacità ricettiva per mandare a pieno regime l’attività congressuale; capacità che non c’è ancora completamente nel centro storico ma che si raggiunge considerando il territorio, con alberghi di campagna, resort e relais de charme che rispondono ai parametri di qualità richiesti per questo tipo di attività.
Parallelamente ci sono tutti gli elementi per attivare l’industria culturale, ma bisogna avere il coraggio di pensare la cultura come orizzonte di sviluppo: cultura e sviluppo come due pilastri su cui può essere edificato il progresso della Città. Nella prospettiva che ci siamo posti all’inizio di questo documento, cultura e sviluppo concorrono ad identificare anche i contenuti della società che vogliamo, ci dicono in che tipo di città vogliamo vivere.
La ricchezza economica però non è generata di per sé dalla quantità o dall’importanza dei beni culturali di cui si dispone. Se così fosse l’Italia non si troverebbe in piena recessione e in grave affanno nell’attrazione di investimenti. Il punto è che questo patrimonio non è ben utilizzato e che abbiamo quindi indici di produttività molto bassi. Ad Orvieto poi l’indice è tra i più bassi dell’Umbria se con le presenze turistiche si misura l’interesse verso i beni culturali della Città. Eppure in Italia la spesa per beni culturali è aumentata nell’ultimo decennio, mentre è crollata la vendita di automobili, solo per fare un esempio. La conclusione è un fatto oggettivo: nonostante le condizioni favorevoli non siamo stati capaci di “vendere” il nostro migliore prodotto, i beni culturali, e non siamo capaci di crearne di nuovi pensandoli come forma di investimento.
Banchieri e mercanti fiorentini del Quattrocento lo avevano ben chiaro questo concetto: stanziarono una somma equivalente a 350 miliardi di euro di oggi per la cupola di Santa Maria del Fiore e affidarono la realizzazione dell’opera al Brunelleschi e del campanile a Giotto. Non lo fecero solo per senso di responsabilità collettiva ma anche per convenienza economica, convinti come erano dello stretto legame che lega la bellezza e la magnificenza di una città con la sua prosperità economica. Non potevano immaginare peraltro che quel capitale investito si sarebbe moltiplicato nei secoli all’infinito, motore incalcolabile di crescita economica e di sviluppo civile.
Nella storia di Orvieto la collettività ha sempre dimostrato senso di responsabilità collettiva e intuito nella convenienza economica delle iniziative intraprese. Ne sono un esempio la costruzione della Cattedrale alla fine del XIII secolo, la costituzione del primo Monte di Pietà nell’Italia del Quattrocento, la fondazione di una delle prime Casse di Risparmio nella metà dell’800, la costruzione della Caserma Piave negli anni ’30 del secolo scorso.
Nella “Città che vogliamo” rinnoveremo questo spirito e l’autonomia gestionale di coloro che oggi amministrano patrimoni originati dall’impegno collettivo dovrà confrontarsi in ogni caso con la collettività, che si tratti di organi della democrazia rappresentativa o di altre istituzione cittadine.
Programmare una buona crescita della società vuol dire anche riscoprire, valorizzare e sostenere l’agricoltura. Uno degli asset importanti per la Città è sicuramente rappresentato dalla nostra produzione vinicola. In questo settore la nascita di esperienze estremamente importanti ed innovative, unitamente alla presenza di marchi prestigiosi e di imprese multinazionali, convive ancora con gestioni arcaiche che stanno diventando un peso per l’intero settore. Una produzione complessivamente d’eccellenza si raggiunge con la qualità del prodotto, la collaborazione e cooperazione tra i produttori, la forte integrazione con il territorio. Al tempo stesso è necessario affrontare i temi dell’agricoltura in un’ottica complessiva che riguardi la tutela e la valorizzazione del paesaggio, la gestione delle risorse idriche nonché la sapiente utilizzazione del demanio pubblico.
Gli asset e l’attività di governance
La Città di Orvieto dispone di una pluralità di asset che la rendono potenzialmente idonea a raggiungere un prodotto interno lordo inimmaginabile. Si tratta di beni materiali ed intangibili che ben utilizzati avrebbero effetti esponenziali per la crescita sociale e culturale nonché per lo sviluppo economico. Un mix di infrastrutture, opere d’arte, conoscenze, patrimoni culturali ed economici.
La felice ubicazione al centro dell’Italia, le linee di collegamento ferroviario e stradale più importanti del Paese, le eccellenti strutture della mobilità alternativa, il centro storico su una collina pianeggiante; e poi il “monumento policromo più bello del mondo”, il Teatro, il Palazzo dei Congressi, i numerosi spazi per la vita sociale e culturale; ancora, la Fondazione di origine bancaria, la fondazione Opera del Duomo con un suo proprio patrimonio; da non dimenticare la forte vivacità associativa nei settori dello sport, della cultura, della politica, unitamente alla diffusa cultura dell’accoglienza e dell’accettazione della diversità; non ultimo, l’assenza di microcriminalità. Sono tutti elementi qualificanti della Città e rappresentano ingredienti che utilizzati da mani sapienti possono produrre grandi risultati, in termini di qualità della vita e di sviluppo economico.
Fino ad ora è mancata una regia che sapesse dare valore a questi elementi, di per sé preziosi ma improduttivi se non polarizzati verso un’unica direzione nell’ambito di un progetto definito. Le amministrazioni che si sono succedute hanno governato ma non hanno svolto un’azione di governance, vale a dire non hanno adottato un metodo di governo aperto ad un numero e ad una tipologia di attori molto più estesi di quelli della sola democrazia rappresentativa. Così facendo forze importanti della Città, proprio per non essersi mai sedute attorno ad un unico tavolo, hanno svolto la propria attività ciascuno nella direzione che riteneva la più opportuna e nel migliore dei casi hanno finito per sovrapporre i propri effetti se non per elidersi.
Tutto questo valore patrimoniale, materiale ed immateriale, non può non convergere verso un’unica direzione. Rispettando l’identità, la cultura e la tradizione di ciascun soggetto, è necessario avviare una politica culturale e di sviluppo economico che sia univoca: in un clima di difficoltà economica quale quello che stiamo vivendo non possiamo più permetterci di perdere risorse o di non sfruttare le potenzialità esistenti.
Tra gli asset un capitolo a parte lo merita l’Ospedale, presidio di assistenza, garanzia di servizio, centro di prevenzione. La sanità orvietana deve fare sicuramente di meglio, ma la sua sola esistenza è già valore aggiunto sul territorio. Con i suoi 400 dipendenti è anche una grande azienda che genera un forte indotto economico. Non sono molte le città in Italia con meno di 20.000 abitanti ad avere un ospedale delle dimensioni del nostro nosocomio cittadino, che dispone di oltre 150 posti letto ed è tra l’altro presidio di emergenza-urgenza. Anche in questo Orvieto rappresenta un punto di eccellenza.
Il fenomeno del pendolarismo
Può sembrare paradossale ma tra gli asset della Città noi consideriamo il popolo dei pendolari.
Cresciuto con dimensioni inimmaginabili negli ultimi 20 anni, il pendolarismo è l’effetto della mancanza di posti di lavoro nel nostro territorio, che ha spinto la popolazione a cercare occupazione nella metropoli, e della forza centrifuga che ha spinto molte famiglie a cercare residenza fuori dalla metropoli, verso una città satellite che fosse facilmente raggiungibile e garantisse una migliore qualità della vita.
I pendolari sono una risorsa, non un problema: rappresentano una forza economica. Non sono in Città per l’intera giornata ma spendono ad Orvieto reddito che producono altrove. È come avere un’industria ad impatto ambientale zero: è una risorsa da tutelare.
Nel Patto con Roma gli emendamenti presentati dal Partito Democratico e approvati poi all’unanimità dal Consiglio comunale andavano proprio in questa direzione: potenziare il servizio ferroviario per implementare il flusso demografico verso la nostra Città.
Un fenomeno del genere va però gestito, non si può pensare che oggi, con il sistema di concorrenza e di liberalizzazione della circolazione ferroviaria unitamente alle sempre più scarse risorse pubbliche dedicate al trasporto locale, sia ancora sufficiente la mobilitazione al momento in cui si verifica la riduzione di un servizio. Le questioni vanno studiate con anticipo, i fenomeni vanno monitorati con approccio scientifico, le vicende gestite con criteri manageriali. La vicenda del Tribunale e prima ancora quella della Caserma Piave dovrebbero aver insegnato qualcosa.
Per evitare di ripetere gli errori del passato, anche recente, ci vuole un monitoraggio delle esigenze della clientela da proporre, se necessario, anche a vettori diversi da Trenitalia: non è impossibile avere un progetto che possa abbinare le necessità di una clientela locale con quelle di business del vettore, affinché vi sia soddisfazione per i viaggiatori e adeguato ritorno economico per le imprese.
Il terzo settore
Tra gli attori nella vita della Città hanno un ruolo importante il volontariato e le numerose realtà associative. La vitalità che la Città ha dimostrato di avere in tal senso è in controtendenza rispetto ad un processo di atomizzazione della società, che è sempre più rinserrata nell’individualismo e nel raggiungimento della soddisfazione personale. Il fenomeno del terzo settore, largamente diffuso ad Orvieto, è un esempio palese di come la cultura di una collettività possa creare una barriera, sia pure non del tutto impermeabile, nei confronti dei modelli di successo, potere e denaro che hanno pervaso il Paese negli ultimi 20 anni.
Alcune di queste realtà si sono ben organizzate e hanno raggiunto elevati livelli di operatività, con progetti qualificanti per sé stessi e per la Città tutta. Senza nulla togliere al valore umano e sociale di tutte le associazioni, nessuna esclusa, basterebbe citare il modello Cittàcardioprotetta, un progetto eccellente realizzato interamente con risorse private. Simili realtà hanno tutte le capacità per essere “consiglieri del principe” e devono avere un ruolo accanto al principe.
Nella “Città che vogliamo” si dovranno attivare organismi di partecipazione, una sorta di consulte permanenti o di agenzie che possano essere players nelle scelte di indirizzo. La partecipazione alla vita della Città non può rimanere un’enunciazione di principio prevista nello statuto, né può continuare ad essere solo su base territoriale, come una sorta di piccoli municipi che peraltro non hanno mai funzionato, ma deve essere organizzata per materia di interesse: questa soluzione si rivela maggiormente aggregante e di più forte motivazione per la collettività. Certo, è più difficile controllare un simile meccanismo rispetto al sistema di partecipazione per territori d’appartenenza, ma nella “Città che vogliamo” trova posto solo una classe dirigente che non ha nulla da temere in tal senso.
Per realizzare ciò ci vuole una classe dirigente che non sia autoreferenziale, che non abbia paura del confronto, che non consideri il mandato elettorale come una sorta di investitura principesca ma che al contrario senta la necessità del riscontro quotidiano della propria azione e della verifica periodica dei risultati raggiunti. Una classe dirigente che non entri mai nella turris eburnea della politica, che ha generato i fenomeni del rifiuto dell’impegno civile e della partecipazione al bene comune unitamente all’antipolitica e all’astensionismo.
Processo di internazionalizzazione
Le potenzialità della Città, i prodotti economici e specificamente quelli culturali che essa è in grado di offrire devono poter contare su un mercato di sbocco più ampio di quello fino ad ora considerato.
Sia per la necessità di intercettare maggiori flussi turistici sia per quella di ampliare gli orizzonti economici e culturali della Città, va avviato un forte processo di internazionalizzazione. Gli eventi a carattere internazionale, che vedono protagonisti altri Paesi e altre culture, rappresentano un volano di sviluppo non solo intellettuale ma anche economico. La Città è di per sé un eccellente vetrina, ma deve mettere in mostra cose che possano avvicinare un pubblico cosmopolita e attrarre un interesse quanto più vasto possibile.
Questo processo oggi è più facile realizzarlo perché gli strumenti informatici e mediatici sono più facilmente accessibili ed è maggiormente premiante perché le nuove tecnologie rappresentano una cassa di risonanza enorme.
Orvieto è la sede ideale per ospitare eventi a carattere internazionale: in ragione della sua ubicazione, delle sue infrastrutture e delle sue numerose e pregevoli location. Per avviare un virtuoso processo di internazionalizzazione basterebbe intercettare alcune delle iniziative previste nell’ambito dei progetti per l’Anno Mondiale o per l’Anno Europeo, peraltro finanziate da organismi internazionali e seguite nel mondo per i contenuti di interesse universale di cui sono portatori.
I rapporti con le rappresentanze diplomatiche e consolari e le relazioni internazionali, in un sistema che oggi è altamente concorrenziale, sono un elemento vincente per attrarre interesse ed investimenti. Altrove, oltre ad una classe dirigente capace e competente, queste relazioni sono addirittura materia di assessorati ad hoc.
Conclusioni
La pesante crisi economica che stiamo vivendo non sarà la fine del mondo, ma è sicuramente la fine di un mondo. La recessione mondiale ha messo in crisi un modello di società che si era progressivamente evoluto dalla fine dell’Ottocento. Nell’ottica di un benessere da ritrovare andranno riconsiderati molti aspetti, tra questi il ruolo e la funzione che il nostro Partito dovrà svolgere nei prossimi anni anche nella nostra Città. Noi rappresentiamo una forza pluralista e progressista, siamo interpreti dei bisogni e delle necessità della gente e soprattutto delle classi più deboli, abbiamo una visione dello sviluppo economico e del bene comune che non possono essere oggetto di mediazione con nessuno.
La trasparenza e il ricambio nelle cariche politiche istituzionali e la loro “contendibilità” sono uno dei punti fondamentali dello Statuto del Partito Democratico e uno degli elementi qualificanti della nostra democrazia interna: non possono rimanere un’enunciazione di principio.
Noi rivendichiamo con forza il ruolo che un partito massimamente rappresentativo della collettività deve avere. Rivendichiamo la nostra autonomia, soprattutto quella di scegliere i nostri rappresentanti. Le candidature imposte per rispettare equilibri interni a livello provinciale e regionale non hanno sempre generato quanto di meglio potevamo permetterci. E tutti coloro che hanno cercato mediazioni, anche i migliori mediatori, hanno finora prodotto solo mediocrità.
Ma è finito il mondo della mediocrità: le ultime resistenze sono solo patetiche espressioni di chi non vuole rassegnarsi a rientrare nella vita comune.
È finito un modo di fare politica, di conquistare il consenso, di gestire il potere. È finita un’epoca. Noi dobbiamo interpretare questa esigenza di rinnovamento e dare da subito un’adeguata risposta. La politica nazionale e quella locale, la collettività tutta ci chiedono un’inversione di rotta. È la richiesta dei nostri iscritti, dei nostri elettori, ma soprattutto è la voce del nostro senso civico, della nostra etica, della nostra storia.
Abbiamo un progetto ambizioso ma non irrealizzabile. Orvieto può farcela ma ha bisogno di uomini e donne che unitamente alla passione per la politica, all’onestà anche intellettuale, al senso civico e allo spirito di servizio possano abbinare, per storia personale e professionale, capacità e competenza.
Il Partito Democratico, in fondo, è nato per dare un futuro alla politica: questa è la nostra vera sfida!