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Home Politica

IL FIUME NON HA COLPE

Redazione by Redazione
21 Novembre 2012
in Politica, Sette Giorni, Archivio notizie
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Il fiume è un elemento naturale e della Natura segue le leggi.

Il caso non esiste, il Caos sì. Il Fato non esiste, i fatti sì.

L’osservazione degli effetti visibili relativi all’ultimo evento alluvionale verificatosi nell’area del Piano di Orvieto – Piano Nuovo, Ciconia, Orvieto Scalo – in data 12 novembre 2012, rende visibile senza equivoci né ipocrisie dove sarebbe comunque finita, dove di fatto è andata e dove – facendo debiti, inutili, scongiuri – andrà di nuovo l’acqua del fiume.

Purtroppo le esperienze del passato, come sempre ci accade, non hanno insegnato nulla.

Eppure il Paglia ci avvisa da quando esiste. L’ultima volta, prima d’ora, è stato appena nel gennaio 2010 con l’esondazione che sommerse la zona dei “laghetti”: anche lì, interrogazioni dei tecnici ai politici e dei politici ai politici. Verba volant. Memoria fugit.

Una cosa è certa, la cartografia esistente e vigente in materia (Regione Umbria e Provincia di Terni) sul “rischio” idrologico nella nostra zona è ora definitivamente superata dai fatti.

Sulle quelle mappe le zone inondabili, oltre le note aree golenali, si limitavano, in soldoni, a due settori: sulla riva destra del Paglia: parcheggio ferroviario, altre aree depresse nei pressi del casello A1 (rischio R3); riva sinistra del Paglia (in sistema con Chiani – Carcaione): daLa Svolta(rischio R4) a Ponte dell’Adunata.

In passato, le amministrazioni sono dovute intervenire per definire e progettare interventi di messa in sicurezza di almeno quelle zone R4 (La Svoltaa Ciconia e Mossa del Palio, plessi scolastici).

Ma l’inondazione attuale ha interessato aree ulteriori, superando quelle dichiarate ufficialmente.

Osservando direttamente gli effetti dell’esondazione, si rileva ad esempio che il parcheggio ferroviario (detto “parcheggione”), la cui quota di livello è compresa tra 113.75 e116.70 m(fonte Carta Tecnica Regionale), è stato inondato fino a sommergere in alcuni casi le auto parcheggiate. Ciò sta a dimostrare che le acque hanno superato almeno gli1,70 m.

Dunque, tutto quanto insista nel Piano di Orvieto, di antropico e non, sotto quota 117 mslm (zona della “rotonda” sulla cartografia IGM), d’ora in avanti non potrà non essere ritenuto e seriamente considerato quale a comprovato rischio di allagamento.

La cosa peggiore è che in tali aree sono presenti notevoli criticità, tra cui, oltre alle abitazioni private e alle scuole: caserma vvff; comando polstrada; asl; pptt; attività commerciali (almeno 3 supermercati alimentari); situazioni ad alto rischio ambientale (distributori carburante; officine meccaniche; concessionarie auto: lubrificanti e batterie; elettronica) e la rotonda principale di Orvieto scalo, perno fondamentale che distribuisce il traffico su tutta l’area: accesso al ponte, unico collegamento con l’ospedale.

Criticità rilevanti da aggiungere a quelle relative alla presenza di elettrodotti, gasdotti, sistema acque reflue ed acquedotti.

Il fattore rischio ha a che fare esclusivamente con le attività umane.

 

Il concetto di rischio assunto dal PAI (FONTE: http://www.abtevere.it/node/493), è definito facendo riferimento alla nota relazione di Varnes:

 

R =P x V x K

in cui:

 

R: rischio espresso in termini di danno atteso riferito al costo sociale, di recupero e ristrutturazione dei beni materiali danneggiati dall’agente calamitoso;
P: pericolosità ovvero probabilità di accadimento dell’evento di una certa intensità;
V: valore esposto, quale identificazione del valore sociale, economico, di persone, beni ed infrastrutture che ricadono nell’area soggetta al fenomeno;
K: vulnerabilità, quale percentuale del valore esposto che andrà perduto nel corso dell’evento.

 

Tuttavia, lo stesso DPCM 29 settembre 1998 (Atto di indirizzo e coordinamento in attuazione del D.L.180/98) al punto 2.1”Criteri generali”, si riferisce alla formula di Varnes specificando che si dovrà far riferimento ad essa solo per la individuazione dei fattori che determinano il rischio senza porsi come obiettivo quello di giungere ad una valutazione di tipo strettamente quantitativo. Il DPCM definisce le seguenti quattro classi di rischio:
R4 rischio molto elevato:

per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche;

R3 rischio elevato:

per il quale sono possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socioeconomiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
R2 rischio medio:

per il quale sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche;

R1 rischio moderato:

per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali.

L’analisi del rischio su tutto il territorio non può che avvenire partendo dall’utilizzo della relazione di Varnes (R =P x V x K) che, attraverso la metodologia di seguito esposta potrà essere interpretata sulla base del quadro conoscitivo complesso ed articolato oggi disponibile presso l’Autorità di bacino

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