Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Pier Luigi Leoni
Caro amico, così ti rispondo …
Franco Raimondo Barbabella
Meritocrazia
Meritocrazia oggi si traduce solo con intraprendenza, che è certo una qualità, ma ci sono caratteri e tipi di lavoro che richiedono altre qualità. Possiamo ridurre il merito solo a un requisito d’impresa e di mercato? E poi, largo ai meritevoli vuol dire precedenza a loro e possibilità di scegliersi il mestiere che meritano di fare. Non vuol dire che lavorano solo i meritevoli e gli altri vivono alla giornata, da schiavi o d’elemosina; ma ognuno lavora secondo le sue capacità. Oggi non è così ed è terribile per un familiare sentirsi inerme, incapace di aiutarli, consigliarli o solo confortarli. E trovo terribilmente retorico scrivere queste cose, come se a dirlo ci fossimo puliti la coscienza. La disperazione fa i figli ciechi. (Marcello Veneziani)
P. Bella e amara descrizione dello stato d’animo dei genitori di oggi. Non sono in grado di dare consigli originali ai genitori disperati. Ma solo un invito a considerare lo stato d’animo che prevale tra gli immigrati di tutte etnie: fiducia nell’Italia, voglia di mettere al mondo dei figli, rispetto del lavoro che riescono a ottenere.
F. Chi è in grado di dare un qualche consiglio risolutivo o anche solo originale si faccia avanti. Però le riflessioni sono necessarie e soprattutto è necessario darsi da fare per uscire da questa incredibile situazione, quella di una società che mostruosamente dilapida risorse materiali e umane e condanna intere generazioni a non avere futuro nel mentre autorizza una pletora di soggetti a fare prediche in nome del futuro di quelle stesse generazioni.
Una società che da vent’anni non è capace di migliorar di una virgola la sua capacità produttiva, in un mondo che vede avanzare con una rapidità supersonica non altri paesi soltanto, ma interi continenti. Non ci si è nemmeno accorti che sta cambiando e diventerà sempre più competitivo proprio il continente arretrato per antonomasia, quello africano, di fronte a noi. Una società che è ormai da tempo a mobilità sociale zero e che si può permettere il lusso di avere due milioni di giovani che non hanno né arte né parte e che hanno rinunciato a qualsiasi prospettiva.
Conviene dunque fare punto qui. Per parte mia aggiungo solo che merito e capacità sono le qualità personali che ciascuno conquista con l’impegno e la determinazione che mette nel costruire il proprio sapere e i propri percorsi rispetto alle opportunità che in parte gli sono date e in parte si sceglie e si guadagna.
Il modo in cui la società italiana è stata costruita e governata ad ogni livello si caratterizza per rigidità (che si sposa benissimo con le ambitissime logiche castali che ci opprimono), ipocrisia e clientelismo diffuso. Ecco, io credo allora che il discrimine sia il seguente: da una parte mobilità sociale attraverso competenza, capacità e merito; dall’altra rigidità castale con percorsi di cooptazione fondati su piattezza, mediocrità e fedeltà al protettore. In mezzo la zona grigia, che può far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Finora sappiamo dove è andata; d’ora in avanti, visti gli esiti del già fatto, ci si augura che si cambi indirizzo. Appunto, proprio per i giovani. Ma siamo sicuri che i giovani stessi lo vorranno se non lo vogliono gli adulti che hanno le maggiori se non esclusive responsabilità della direzione di marcia?
Ammesso che la direzione cambi nel senso auspicato, quale ruolo verrà riservato a chi ha minori capacità o è condizionato da vicende negative o posizioni di svantaggio? Non ci sono risposte né univoche né definitive. Si può solo dire che una società che privilegiasse le competenze riconosciute e il merito conquistato sul campo (non solo per capacità di competizione economico-fonanziaria evidentemente) non potrebbe mai funzionare se non si caratterizzasse anche per solidarietà e provvedimenti concreti a favore dei più svantaggiati. Certo, stiamo parlando di una società che si ripropone di essere libera e giusta, che richiede l’esercizio consapevole della responsabilità individuale e garantisce la competizione, la gara con regole, non il cannibalismo (che è proprio, come si è ben visto, ancor di più della società castale, che protegge solo gli adepti).
Mazze e panelle
La Cassazione ha sancito che i metodi troppo violenti, seppur finalizzati all’educazione di un figlio minorenne, possono portare il genitore non solo a una condanna in sede penale, ma anche a dover risarcire i danni all’adolescente. “Comportamenti di questo genere” ha sentenziato la cosiddetta suprema corte, “soprattutto ove si manifestino in percosse reiterate e produttive di lesioni, sono invece estranei a una finalità correzionale che vede la violenza quale incompatibile sia con la tutela della dignità del soggetto minorenne che con l’esigenza di un equilibrato sviluppo della personalità dello stesso.” (Nino Materi)
P. Se la suprema corte facesse meno chiacchiere sarebbe meglio per tutti. Basterebbe che dicesse: “È cambiata la tendenza: non si può più menare ai figli”. Così si punirebbero i genitori maneschi; e noi anziani, compresi molti giudici, che siamo stati educati a suon di ceffoni, calci del sedere e qualche cinturata, non ci sentiremmo implicitamente accusati di essere degli squilibrati. “Mazze e panelle fanno ‘e figlie belle, panelle senza mazze fanno ‘e figlie pazze”. Basta dire che il proverbio è abrogato.
F. Poco o niente da aggiungere. Ma ad un esperto di diritto non posso non chiedere come potrebbero avere la sensazione di essere capaci di giudicare giudici che facessero meno chiacchiere. Fermo restando che le botte che abbiamo preso noi non necessariamente giustificano le botte che si danno o si pensa che sia giusto prendano altri, resta il fatto che una cosa è un ceffone, altra cosa sono le botte. Certo, oltre a chi non sa far altro che dare botte e a chi ama darle ogni volta che ce n’è occasione, c’è anche chi ama prenderle. E magari poi ci scherza sopra, come quegli studenti che l’altro giorno aprivano il loro corteo con quel fantastico cartello con su scritto “Semo venuti già menati”. Chissà, loro le botte in precedenti occasioni le avranno cercate o le avranno solo prese? E da piccoli, educazione con qualche ceffone o accondiscendenza di genitori, nonni e zii, a qualsiasi capriccio? Bah, vacci un po’ a capire!
Parlar chiaro
Impossibile e non sostenibile economicamente la messa in sicurezza definitiva del nodo idraulico di Orvieto. Pericolosissimo, perché troppo infrastrutturato. È possibile, anzi doverosa, invece, la mitigazione il rischio idraulico nell’ambito di una programmazione ventennale, ma se dovesse ripetersi a breve una calamità come quella dello scorso 12 novembre i danni sarebbero gli stessi. Il Consorzio per la bonifica della val di Chiana Romana e val di Paglia ha parlato chiaro. (Orvietosì)
P. Parole chiare, ma che puzzano lontano un miglio di interesse a far passare la tesi che la colpa è tutta degli altri. In ogni modo, tra le cose da fare, a parte la revisione del piano regolatore, qualche operetta pubblica che faccia mangiare un po’ i tecnici e le imprese, e un maggiore controllo degli abusi edilizi e agricoli, la priorità resta un buon addestramento a scappare quando viene giù come Dio la manda.
F. Certo, quando è necessario, scappare si deve; perciò a scappare si deve anche essere addestrati. Tuttavia ritengo che non bisogna arrendersi nemmeno ai mutamenti climatici e che ci sono sia le competenze che le soluzioni normative, amministrative, scientifiche e tecniche adeguate alle necessità. Tralasciamo le responsabilità, che sono evidenti e che chi di dovere nelle opportune sedi se ritiene di doverle appurare le appurerà. Parliamo appunto dei rimedi da adottare per una seria e sensata prevenzione, dunque anche dei cambiamenti necessari, di orientamento e di azione.
Senza arrogarmi nessun diritto e senza scimmiottare competenze che non ho, innanzitutto però dico che dovunque si eserciti un potere e una competenza affidata dalla società la si deve esercitare senza alcuna reticenza. Noi stiamo morendo di personalismo, di mediocrità e di ipocrisia, e soprattutto di capacità di fuga di fronte alle responsabilità: bravi ad accusare gli altri, molto meno bravi a prenderci le nostre. Questo perciò è un cambiamento di fondo da adottare subito, difficile da realizzare ma assolutamente necessario.
Mi permetto di indicare poi alcune linee d’azione, anch’esse semplici a dirsi ma che si rivelerebbero terribilmente complesse qualora ci si impegnasse sul serio a tradurle in atti:
- culturalmente, prendere finalmente coscienza di quale sia il mondo in cui viviamo, anche per gli aspetti meteorologici, e adeguare le azioni alle conoscenze disponibili costantemente aggiornate;
- politicamente, compiere scelte inequivocabili di governo del territorio: logiche urbanistiche improntate alla prevalenza della salvaguardia dei beni di tutti; concessioni che abbiano tutti i requisiti di sicurezza; niente tolleranza nei confronti di abusi e di usi non conformi alle norme;
- amministrativamente, adottare la manutenzione del territorio come criterio guida di una sana politica della sicurezza e dello sviluppo;
- tecnicamente, procedere alla progettazione degli interventi urgenti con una logica di sistema, per cui le priorità rappresentino l’inizio di un processo generale e organico di sistemazione e non invece il contentino per salvarsi la coscienza e aspettare la prossima botta;
- operativamente, rivedere il sistema di protezione civile alla luce di ciò che non ha funzionato e organizzare controlli sistematici e prevenzione organizzata ed efficiente; e fare sempre informazione chiara e fondata.
Mi fermo qui. Annuncio solo che il COVIP sostiene l’idea lanciata giorni fa da Massimo Gnagnarini di realizzare un Centro di Documentazione dell’Alluvione le cui caratteristiche e i cui scopi illustreremo in un apposito documento che invieremo alle autorità.