Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Politica con la ‘p’ maiuscola
“Quando la politica era politica con la ‘p’ maiuscola, prima veniva la cultura, poi la politica, e infine il potere. Oggi è l’inverso.” (Ugo Intini).
F. Questa volta propongo di discutere temi di attualità connessi alla pubblicazione di libri. Comincio con il tema che tratta Ugo Intini nel suo nuovo libro “Avanti! Un giornale, un’epoca. 1896-1993”. In occasione della sua presentazione, egli ha pronunciato le parole che ho riprodotto tra virgolette” ed ha aggiunto che ha scritto il libro per riconoscere al quotidiano socialista il giusto posto che gli spetta nella storia civile e culturale, oltre che politica, dell’Italia. Io credo che ognuno, indipendentemente dal proprio orientamento politico, dovrebbe ammettere che operazioni come queste meritano sempre attenzione, e questa però in modo particolare, perché il tentativo di vera e propria cancellazione dell’esperienza politica e culturale dei socialisti operato negli ultimi vent’anni non solo è stato ingiusto (pur ammettendo ovviamente le responsabilità degli stessi socialisti), ma è stato anche miope e non sembra che abbia portato bene al nostro Paese. Mi sono ripromesso di leggere il libro di Intini appena possibile, e spero che lo voglia fare anche Pier Luigi, perché così semmai potremo discuterne insieme o anche presentarlo insieme, magari alla presenza dello stesso autore. Ci troveremo sicuramente buone analisi per capire meglio che il nostro passato non è solo un cumulo di macerie e contiene al contrario buoni stimoli per guardare avanti (appunto) con rinnovata fiducia. Ci troveremo in particolare che il rinnovamento è impegno antico, faticoso e non garantito, e anche che lo svecchiamento delle classi dirigenti non sempre coincide con il rinnovamento. Ci troveremo senza dubbio tante altre cose interessanti. Ma un’obiezione mi sento di farla subito, al buio, a quella dichiarazione iniziale: sul serio si può sostenere che c’è stata un’epoca in cui la politica aveva la ‘p’ maiuscola? Si potrà dire magari di qualcuno e di qualche momento o aspetto, ma dubito che si possa dire di un’epoca, di tutta un’epoca. Comunque non di un’epoca abbastanza recente, diciamo almeno dagli anni ’90 in qua. In ogni caso non di Orvieto, a meno che nel frattempo io non mi sia distratto. Ma forse la mia è una visione troppo parziale.
P. Leggerò il libro di Ugo Intini, perché Franco me lo propone. Senz’altro vi troveremo materia di riflessione, se non altro perché l’autore è un quasi nostro coetaneo che ha vissuto, sebbene in altro ambito, nel mondo in cui noi siamo vissuti. Peraltro ha fatto gli stessi miei studi e usa un linguaggio che mi è familiare. Quanto alla frase citata da Franco, penso che con essa l’onorevole Intini voglia semplicemente dire che la politica è peggiorata. Non posso che essere d’accordo, ma devo confessare che la politica (migliore) che conobbi in gioventù mi faceva arrabbiare, mentre quella (peggiore) di oggi semplicemente mi preoccupa. Il fatto è che il tempo è passato per la politica, ma anche per me.
L’Italia dei privilegi
“I figli dei bancari ereditano il posto del padre. Le mogli dei ferrovieri viaggiano in treno gratis. I sindacalisti sono esentati dai contributi pensionistici. I docenti di religione guadagnano più di chi insegna matematica. Piccole cose? Tutt’altro: sono i segni rivelatori di una rete di privilegi e ingiustizie, in gran parte sommersa, che copre l’intero Paese. E ora che una fase politica della nostra storia si è chiusa e che ci accingiamo a raccogliere i cocci di un’Italia provata dalla crisi economica, la parola d’ordine è: sviluppo. Ma non c’è sviluppo senza rilancio economico, e non c’è rilancio economico in un mercato prigioniero di mille corporazioni che vivono beatamente e pigramente delle proprie rendite di posizione. Notai, petrolieri, banchieri, farmacisti, commercialisti, assicuratori sono solo alcune delle lobby, ben rappresentate in Parlamento, alle quali paghiamo conti salatissimi imposti dai loro cartelli. E che lo Stato foraggia con le nostre tasse, confezionando di volta in volta leggi su misura che ne garantiscono la legittimità e il benessere. Tanto che abbiamo in circolo 63.000 norme di deroga, con buona pace del principio di eguaglianza. Uno schiaffo al merito, alla concorrenza, alla mobilità sociale: e infatti un italiano su due rimane intrappolato nel proprio ceto d’origine e dagli anni Ottanta la disuguaglianza sociale è cresciuta del 33%. In questo libro documentato e appassionato, Michele Ainis individua il ganglio fondamentale su cui si gioca la prossima, decisiva, partita dell’Italia: liberarci dalla dittatura degli interessi privati per diventare un Paese dinamico e competitivo. Come? Grazie a una vera liberalizzazione, con leggi ferree e senza eccezioni. Come scrive Ainis, ‘Non resta che la rivoluzione. Pacifica, ordinata; ma senza dispense né indulgenze, senza salvacondotti per i vecchi vassalli e valvassori. Di eccezioni, fin qui, ne abbiamo sperimentate troppe. Ora è il tempo della regola’.” (Presentazione del libro di Michele Ainis, Privilegium)
F. E’ il secondo libro (scritto da un esimio costituzionalista, quale è Michele Ainis) che mi piace prendere in considerazione perché dimostra come siano complessi e profondi i mali del nostro amato Paese e quindi come sia difficile uscirne senza il coinvolgimento della generalità dei cittadini. Non c’è solo la casta dei politici, come in troppi hanno avuto interesse a far credere: ci sono tante altre caste e castine, un sistema di privilegi diffusi che fa spavento. Che cosa aggiungere dunque alle parole così chiare, così lucide, così lungimiranti di Michele Ainis? Solo queste: anche io credo che questo sia il tempo della regola, del merito, del bene comune e della giustizia sociale. Non è esagerato dire che si tratta di operare una rivoluzione. Anche qui da noi, per quello che ci spetta.
P. Da un “esimio costituzionalista” mi sarei aspettato qualcosa di più stimolante. D’accordo per la rivoluzione “pacifica e ordinata”. Ma basta la crisi della politica? Basta la recessione economica? Bastano le prediche? Un diavoletto mi ricorda che i difetti dell’Italia descritti da Ainis erano stati meglio analizzati e raccontati da Niccolò Machiavelli e da Francesco Guicciardini cinquecento anni fa. Comunque non accetto che venga fatta di ogni erba un fascio. Per quanto mi riguarda e per quello che riguarda tanti miei amici, a cominciare da Franco, non abbiamo mai fatto parte di caste e castine. Pertanto chi deve cambiare mentalità lo faccia, se ci riesce, e avrà il nostro plauso.
Il nuovo marketing dei sistemi territoriali
“È in pubblicazione il libro ‘Il nuovo marketing dei sistemi territoriali’. Una guida per affiancare chi punta a rendere competitivo un sistema territoriale nel contesto internazionale. In modo particolare quei paesi, città, regioni e territori che stanno ridefinendo e vogliono valorizzare la propria immagine e identità. Qual è infatti oggi il contesto internazionale che deve affrontare un sistema territoriale se vuole affermarsi come destinazione culturale e turistica e divenire al contempo un forte attrattore di investimenti? E soprattutto qual è la road map che conduce alla costruzione e realizzazione di un piano strategico di promozione e posizionamento internazionale e quale la migliore forma di governante che possa rendere efficace questo processo? Nel libro si affrontano tutti questi aspetti attraverso un approccio che utilizza case history di rilievo internazionale per illustrare come di volta involta realtà molto diverse hanno affrontato, superato e vinto la sfida del marketing territoriale.” (Il Sole 24Ore)
F. Il libro al quale mi riferisco (è il terzo e ultimo) per accennare al tema della valorizzazione dei sistemi territoriali si occupa in modo specifico di turismo. Dunque ci riguarda, perché anche per il nostro territorio il turismo è una risorsa fondamentale, soprattutto se trattata in modo integrato con cultura, ambiente e risorse enogastronomiche. E ci riguarda in particolare se consideriamo sia come è già cambiato e cambierà ancora il turismo, sia come andranno sempre più strutturate le politiche turistiche.
Basterebbe leggersi il documento “Impresa e Turismo 2012” di Unioncamere, per rendersi conto che “non esiste più una domanda turistica generica”, ma esistono ormai “target precisi, caratterizzati per tipologia, struttura di composizione e soprattutto per motivazione di vacanza”. Così in molti Paesi l’offerta si è già adeguata, passando “dal turismo ai turismi e dai turismi alle nicchie”, cioè si è specializza e ha messo a frutto le specificità territoriali in modo organizzato, propositivo e dinamico. Non solo, ma si ragiona ormai appunto in termini territoriali, con riferimento però a territori sufficientemente ampi da consentire economie di scala e investimenti in promozione duratura che si adegua tuttavia continuamente ai cambiamenti.
Noi come siamo messi? Dico in Italia, in Umbria, nel territorio orvietano. Male, malissimo: in Italia non c’è una politica di sistema; in Umbria nemmeno; nei territori, compreso il nostro, neanche. Sarà dunque il caso di darsi da fare, di adoperarsi per adeguare rapidamente la nostra cultura politica e di impresa al mondo che cambia (perché, se non lo si fosse capito, nessuno ci aspetta), e di fare anche un’altra cosa: riorganizzare la governance dei processi economici. Anche per questa via torna perciò di grande attualità il tema della fine di un’epoca, quella in cui il sistema istituzionale poteva moltiplicarsi a piacimento per servire le esigenze di un ceto politico in cerca di carriera anche in modo indipendente sia dal merito che dalla produzione di ricchezza. E torna conseguentemente di attualità il tema dell’organizzazione istituzionale intorno ai territori, che devono trovare il modo di utilizzare le proprie potenzialità. Niente pianti dunque sulla sparizione delle province e spinta molto determinata verso la formazione di Unioni di comuni sufficientemente forti da poter fare politiche territoriali significative, perciò superando senza remore gli attuali confini regionali. Si apre una fase nuova. Il COVIP lo ha capito, il recente convegno che ha organizzato dieci giorni fa nella sala consiliare del Comune di Orvieto lo ha dimostrato. Ma i partiti e le amministrazioni, e la stessa società si muoveranno dall’attuale torpore?
P. Sottoscrivo il commento di Franco, anche perché ho cercato di dare un contributo al convegno del COVIP. Aggiungerei che mi sembra indispensabile un lavoro di formazione popolare sulle ricchezze culturali della nostra città. “Bisogna conoscere per saper governare” diceva Luigi Einaudi. Vi sono più beni culturali in Orvieto che in molte nazioni del pianeta. Non vi sono soltanto il Duomo e il Pozzo di san Patrizio. E anche su questi due insigni monumenti c’è da sapere molto di più di ciò che sappiamo. Per esempio, ho sentito dire che il pozzo di san Patrizio fu realizzato per dissetare la città durante il paventato assedio dei Lanzichenecchi nel 1527. Anche se, quando passarono i Lanzichecchi, che avevano di meglio (o di peggio) da fare che assediare Orvieto, il Pozzo ancora non c’era; e comunque il pozzo non ha mai dissetato nessuno. Ho pure sentito dire che le due scalate servivano a far scendere gli asini in fondo al pozzo e a farli risalire carichi d’acqua. Chi ci crede non conosce gli asini. E magari non ci accorgiamo che il Pozzo, con la doppia spirale delle sue scalate, è un modello ante litteram del DNA.