Due avversari politici possono essere amici sinceri; possono essere persino innamorati. Ma come il discorso cade sulla politica, gli amici si accapigliano e gl’innamorati si freddano.
Le faziosità più insidiose sono quelle interne alle fazioni.
L’odio politico in Orvieto ai tempi di Concina
(P.L.L.)
Semplificare è indispensabile per fare qualcosa di buono. Del resto anche la geometria euclidea è una utile semplificazione. Chi ha mai visto in natura una retta perfetta?
Dunque, semplificando, si può dire che la parte del corpo elettorale orvietano sensibile alla politica (quella che va a votare e vota effettivamente) si attesta su due opposte tifoserie. Sempre semplificando, si può dire che si contrappongono le tifoserie di destra e di sinistra.
L’elettore tipico di destra ha sempre in antipatia la gente di sinistra quando si comporta come gente di sinistra. Cioè quando si mette in cattedra convinta di avere una superiore sensibilità sociale, un superiore livello morale, e magari anche una superiore intelligenza. L’elettore tipico di destra non ci sta ad essere guardato come un essere inferiore. Perciò gode nel pescare tra la gente di sinistra qualche lestofante, qualche profittatore o semplicemente qualche imbecille. E si arrabbia con la propria gente di destra quando essa non sembra abbastanza combattiva nel combattere la gente di sinistra. Vorrebbe lo sterminio politico della sinistra. Vorrebbe che pagasse il fio di mezzo secolo di potere esercitato con protervia e illusione di eternità. Insomma la odia.
L’elettore tipico di sinistra disprezza la gente di destra quando si comporta come gente di destra. La considera ottusa, tendenzialmente autoritaria, antipatica. Avendo la destra più o meno arraffato il potere municipale, l’elettore tipico di sinistra considera il fatto come un accidente transitorio, provocato dai traditori. La sinistra non può sbagliare. Se qualcuno di sinistra ha sbagliato è perché è un traditore, uno che intimamente era di destra e faceva credere di essere di sinistra. La destra occupa posti di comando senza esserne capace, senza il diritto morale di comandare. Osa mettere in discussione e demolire la programmazione della città e l’organizzazione dei servizi messa in piedi dalle illuminate menti della gente di sinistra. La sinistra non vede l’ora di sloggiare la destra dal palazzo. Insomma la odia.
So che queste cose si dicono ma non si scrivono. Ma il web è vera scrittura? Non è la cassa di risonanza della piazza, dei bar, delle riunioni di partito, delle chiacchierate tra amici e tra avversari? Non è un bel modo per esorcizzare questi odi che sono più pericolosi di quelli, ancora più stupidi, delle tifoserie sportive, che rispondono agli stessi meccanismi di sfogo dell’aggressività animale degli esseri umani?
I novelli Filippi e Monaldi
(M.T.)
Nel Febbraio dell’anno 2008 aderii con una cospicua dose d’entusiasmo all’appena nato Partito Democratico, confidando che avesse potuto rappresentare quel necessario elemento di rinnovamento della politica italiana ed, anche, orvietana.
Si era accesa in me una speranza, presto però delusa e andata smarrita.
Credetti di potervi trovare impegno civile disinteressato, educazione e riservatezza, riconoscimento del merito e delle capacità individuali; trovai invece spregiudicatezza, protervia e falsità. Le ho contrastate in ogni modo con apparenti scarsi risultati e, dopo innumerevoli mortificazioni e umiliazioni, per coerenza non potei far altro che uscirne.
Serbo comunque la memoria di essermi lealmente battuto per un partito aperto, plurale e popolare in quanto lo vedevo ripiegato su se stesso, oligarchico ed elitario: ora, coloro che sono rimasti al suo interno, non molti per la verità, piangono sul latte versato e tentano disperatamente di raccoglierne i cocci, pur continuando a battagliare tra di loro.
Non avverto sentimenti né di rancore né di ostile avversione; semmai il contrario e, cioè, sentimenti di perdono, di compassione e misericordia.
Dalle lotte di potere intestine a quelle politiche esterne ai partiti non vi corre granché di distanza e, così, le barricate tra “destra e sinistra” si innalzano ancor più a danno del dialogo, della comprensione reciproca e della collaborazione civica.
Il popolo, invece di ribellarsi, si schiera ora con l’uno ora con l’altro dei contendenti, immemore e inconsapevole nella sua stoltezza che nel cambiare il governo le genti comuni, molto spesso, non cambiano nulla oltre al nome del padrone (In principatu commutando saepius nihil, praeter domini nomen, mutant pauperes).
Lo scenario è dunque triste e desolante: non intravedo altra via se non quella della altruità solidaristica e della pacificazione riconciliativa.
Laddove vi è tristezza, si porti la gioia; laddove vi è guerra, si porti la pace; laddove vi è odio, si porti la carità (Francesco d’Assisi).