Il Laziogate è un fenomeno che ha scandalizzato tutti e ha sepolto le ultime speranze dell’elettorato moderato di sbarrare la strada al Partito Democratico nella conquista del governo nazionale.
Ma un aspetto del fenomeno mi sembra poco considerato. Esso consiste nel fatto che il sistema elettorale che prevede le preferenze è il brodo di coltura ideale per la degenerazione del sistema democratico. Un consigliere regionale esercita un potere che può superare quello di un parlamentare, se si tiene conto che deve dividere con poche decine di colleghi lo strapotere che sciaguratamente è stato conferito alle regioni. In ogni modo, per quanto riguarda la deliberazione dei propri emolumenti, ha lo stesso potere di un parlamentare. Come è ben noto, il potere attira molti esseri umani e ne attira irresistibilmente alcuni che impostano sulla conquista e sul mantenimento del potere il senso della loro vita. Costoro, se non sono ricchi di famiglia, si affidano fin dall’adolescenza a un patrono politico disposto ad accoglierli nella cerchia dei clientes. I patroni sfruttano a lungo questi giovani ambiziosi per il galoppinaggio politico e altre prestazioni servili, ma li ripagano collocandoli bene nel partito e, dopo un certo tempo, piazzandoli nella lista elettorale regionale. A quel punto, il più o meno giovane soggetto rampante deve investire una somma enorme per procurarsi le preferenze. Se non sarà eletto, si porterà dietro per molti anni lo strascico dei debiti. Se sarà eletto, dovrà in qualche modo rifarsi delle spese e aggiungere un bel gruzzolo per le elezioni successive. C’è qualche privilegiato che riesce a farsi mettere nei listini che garantiscono quasi al cento per cento l’elezione e c’è qualche soggetto parsimonioso che non se la sente di spendere. Ma la stragrande maggioranza dei consiglieri eletti hanno speso del loro e hanno un gran bisogno d’incassare.
Lo scandalo del Lazio è esploso solo perché un capogruppo non è stato ai patti tacitamente stipulati e non ha distribuito equamente qualche milione di euro. Un suo collega s’è arrabbiato e ha fatto come il bambino che, al supermercato, tira via un barattolo dalla base della piramide.
Nelle altre regioni, i consiglieri conserveranno probabilmente le loro poltrone perché non hanno dimenticato la lezione rossiniana nell’Italiana in Algeri, dove la carica di “Pappataci” comporta il dovere di mangiare, bere e tacere. “Pappa e taci” è il loro motto.
Credo sia bene riflettere su queste vicende perché in questi giorni si prospetta la reintroduzione delle preferenze nelle elezioni nazionali e il Partito Democratico, giustamente contrario, sembra rassegnarsi per la smania di una nuova legge elettorale che lo porterà comunque al governo.