Green economy: motto di moda, quanto mai attuale. Eppure, ogni volta che sento o leggo queste due parole penso al loro significato letterale ed immagino campagne verdi al posto della desolazione che caratterizza molti tratti della Valle del Paglia. Immagino coltivazioni e coltivazioni, dai fori di Baschi fino al canalone dove scompare la direttissima nel tratto di Monterubiaglio – Allerona Scalo.
Immagino scorrere l’acqua nelle tante forme, dalla Reale al Pojale e le altre di cui si è persa la denominazione, finalmente pulite da terra, ramaglie, rovi e alberi, quell’acqua che adesso ristagna lungo le coste della rupe nelle fontane di raccolta ostruite da canne crollate o s’imborga laddove non trova più il passaggio, come nel tratto sottostante l’autostrada del Sole nella zona della Patarina dove il sottopassaggio del canale è praticamente colmo di terra consolidata dal tempo.
Cosa voglio dire? Che quando sento parlare di economia verde utopisticamente continuo a pensare all’energia ricavata dai prodotti della terra, non alle pale eoliche o ai pannelli solari. Tantomeno alla geotermia, oggi in via di abbandono anche da parte dell’Enel che negli ultimi anni ha sigillato vari pozzi a Larderello e sull’Amiata. Prevalentemente invece di queste fonti di energia si è parlato mercoledì scorso 3 ottobre al Palazzo dei Sette nella conferenza sul tema della green economy organizzata dal PD orvietano con la presenza partecipativa dei politici giusti, tutti impegnati nel settore dell’agricoltura, quali il capogruppo PD del Comune di Orvieto Giuseppe Germani, il deputato Carlo Emanuele Trappolino della Commissione agricoltura della Camera, il senatore Francesco Ferrante della Commissione ambiente del Senato e responsabile politiche cambiamenti climatici del PD, l’assessora all’agricoltura della Regione Umbria Fernanda Cecchini, il consigliere regionale Fausto Galanello, il coordinatore segreteria provinciale del PD Sandro Corradi, il coordinatore nazionale del dipartimento ambiente del PD Giovanni Lattanzi.
A parte lo stimolante foglio illustrativo distribuito in sala che puntava sul “territorio come principale patrimonio dell’economia verde”, solamente Marino Berton, presidente associazione italiana energie agroforestali, si è cimentato a parlare di boschi e della ricchezza costituita, com’è sempre stato, dalla presenza del bosco in un territorio. A riprova, ricordo che Allerona, fino a non molti anni or sono, era uno dei pochi Comuni dell’Orvietano, se non il solo, che aveva sempre il bilancio in attivo, proprio per la presenza dei boschi. O meglio, delle macchie. Sembra che oggi non si possa più nemmeno raccogliere il legnatico, tutto deve restare sul posto. E se guardiamo ai parchi appena puliti, tipo il Parco Archeologico Orvietano, possiamo notare cataste di tronchi più o meno scadenti come qualità che potrebbero essere regalati a chi ne ha bisogno o usati per fare pellet. Marino Berton in conferenza ha parlato dei noccioleti del Viterbese dove si sta attuando questo tipo di utilizzo. Secondo me non è la gente che deve essere sensibilizzata, perché in prevalenza lo è già. Ѐ in alto che deve aumentare la sensibilità e l’impegno fattivo. Non portando acqua al proprio mulino parlando di minipale eoliche di cui si è ideatori, produttori, installatori e quant’altro. Ma favorendo l’attuazione di progetti legati alla Terra. Ossia: il Comune di Orvieto possiede un’infinità di terreno acquantile che oggi sta tentando di vendere. Con i tempi che corrono, se guardiamo al futuro, la terra è una ricchezza dato che grazie a lei possiamo vivere e sopravvivere. Perché non trovare un sistema, una procedura idonea ad attuare coltivazioni mirate a produrre “economia verde” come la intende la gente? Non il mais o colture similari destinate all’alimentazione umana ed animale. Ma colture ad hoc. Altrove c’è già chi sta utilizzando le canne, e da noi le canne invadono ogni versante della rupe tanto da dare la denominazione di Cannicella a buona parte del tratto sottostante il pianoro tufaceo.
Mi piace ricordare inoltre che il Piano, prima che alla barbabietola da zucchero e al tabacco, per secoli è stato destinato alla produzione di canapa. E così è stato fino alla metà degli anni ‘Cinquanta dello scorso secolo. Tornare alla canapa è un’utopia concreta, significherebbe pensare alla grande. Ideare ed attuare una filiera corta in loco, dalla coltivazione al primo impianto di lavorazione, dalle fabbriche in grado di utilizzare il canapulo (la canniccia) e la fibra corta,… insomma un percorso completo dalla produzione al consumo, richiede sicuramente grandissimo impegno. Ma proviamo a pensare ai tanti utilizzi di questa pianta ed ai risvolti economici per la nostra città. Lo stesso olio di canapa per un tempo infinito è stato utilizzato per l’illuminazione e in tempi più recenti Ford dalla canapa aveva ottenuto il combustibile per le autovetture. Eravamo solamente nel 1934, prima che l’America spingesse il mondo verso il nero petrolio.
Ma innovazione e progetti possono essere sostenuti e introdotti solamente dall’impegno e la volontà dei politici, da coloro che ci comandano e fanno il bello e il brutto tempo.