“Una favola che possa parlare ancora di umanità e di poesia, perché sognare – afferma il personaggio interpretato da Glauco Mauri – è ciò di cui oggi si ha più bisogno”.
Ed infatti proprio una favola è ciò che si è trovato di fronte il pubblico del Teatro Mancinelli di Orvieto che domenica 14 ottobre ha assistito allo spettacolo “Quello che prende gli schiaffi di Leonid Nikolaevič Andreev”, nella versione adattata e con la regia di Glauco Mauri, accompagnato in scena come sempre dal suo alter ego Roberto Sturno.
In scena la storia di uno scrittore famoso, apprezzato e discusso, annientato dalla vita e dalla società. Un uomo privato di tutto: dei meriti letterari, a causa dell’amico di un tempo; dell’amore della moglie, pure sottrattagli dal rivale; Un essere umano disilluso? Certamente. Vinto? Nonostante tutto no, se è vero che comunque cerca un’alternativa, per quanto dolorosa e drammatica, non solo per ricostruire se stesso ma anche e soprattutto per ridare al mondo circostante quella giustizia di frequente ridotta ad illusione.
È nel giusto Glauco Mauri – interprete, regista, adattatore di Quello che prende gli schiaffi – quando afferma che il testo di Andreev (tra i massimi esponenti dell’espressionismo letterario russo) datato 1915 è estremamente attuale. Lo è nella denuncia di una società senza speranze, che spesso rinuncia a onestà, equità, amore per lasciarsi asservire al dio denaro, che tutto e tutti compra. Eppure, l’allestimento si chiude con un invito alla speranza, che «è lì che ci aspetta. Dipende da noi». “È una speranza – egli ammonisce – che va difesa e costruita”.
Mauri interpreta in scena Papà Briquet, direttore e deus ex machina di un gruppo circense fatto di acrobati, clown, domatrici, ballerine, lasciando la parte del protagonista a Sturno, che si cala con forza e intensità nella parte di colui che, tradito negli ideali e negli affetti, decide di fare tabula rasa, sradicarsi dall’ambiente in cui è nato, rinunciare alla sua identità per assumere quella fittizia di clown, quello che prende gli schiaffi, ovvero colui che la società irride e prendendo bersaglio. Eppure in lui sopravvive la speranza che, ridendo egli stesso del suo dolore, mettendo in scena lo squallore quotidiano, riesca a suscitare negli spettatori un moto di ribellione, un desiderio di recupero di valori.
La pièce si rivela «una favola di luci e tenebre». È dramma e farsa insieme, una colorata giostra di personaggi e luci, avvolta in un’atmosfera da circo, vivacizzata da canzoni e musiche.
Nella sua nuova vita circense, tuttavia, Quello non trova quanto desidera perché anche lì deve fare i conti con il compromesso, la corruzione e la legge del denaro. Nel suo passato di scrittore, preso da «un disperato bisogno di comprendere la vita», egli aveva «fatto la persona onesta, spettacolo ridicolo in questa società». Nel suo presente di clown, cerca di ripristinare il senso di giustizia ma il suo sogno si infrange contro la realtà: la bella Leda, la ballerina muta del circo, deve sacrificarsi consegnandosi al riccone di turno per salvare la sua famiglia. Non c’è scampo, allora? Forse sì, anche se a carissimo prezzo.
Lo spettacolo, che si svolge alternando momenti leggeri ad altri drammatici, colpisce per una regia che non lascia nulla al caso, che guida nel dettaglio il movimento scenico, suggestiona con una musica piacevole, stupisce con dei costumi surreali che ricordano i saltimbanchi di Picasso e con continui cambi di luci tesi a segnare i diversi umori dei protagonisti. E il messaggio finale che lancia è un appello e insieme una difesa del grande ruolo del teatro: la speranza va difesa, va cercata. Molti la perdono, ma in fondo lei è là fuori che aspetta soltanto di essere trovata. “Io sento che la speranza è lì che ci aspetta – dice Briquet – Dipende da noi. Per questo ora noi appenderemo i nostri costumi, laveremo i nostri visi, ma domani nonostante tutto ricomincerà il nostro lavoro, il nostro gioco…” E l’epilogo non può che essere in linea con tutto ciò: dolcemente scende della neve evocata con un gesto della mano da Papà Briquet e, stupiti, tutti incominciano a ballare sulla musica di un walzer che sembra provenire da lontano.
Alla fine della pièce, un pubblico commosso ha salutato con lunghi e ripetuti applausi Glauco Mauri, Roberto Sturno e gli altri attori della compagnia, grazie ai quali è andato in scena uno spettacolo con tutti i colori della vita: dramma e farsa, risate e lacrime. Ovvero lo spettacolo della vita.
La foto di scena è di Massimo Achilli