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DICIAMOCELO n°8. 22 ottobre

Redazione by Redazione
23 Ottobre 2012
in Politica, LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Caro amico, questa settimana ti scrivo …

Franco Raimondo Barbabella

 

Caro amico, così ti rispondo …

Pier Luigi Leoni


Due parole sovversive: Produttività e Merito

“Ma «solo nella lotta — ha scritto Luigi Einaudi — solo in un perenne tentare e sperimentare, solo attraverso vittorie e insuccessi, una società, una nazione prospera». È questo meccanismo che si è gravemente indebolito e opacizzato negli ultimi lustri nel nostro Paese, sia coi governi di sinistra che coi governi di destra… quindi la soluzione dei nostri problemi non può essere trovata in un astratto richiamo all’eguaglianza, bensì nella rimozione degli ostacoli che frenano il dinamismo economico, la produttività, il riconoscimento del merito” (Giuseppe Bedeschi 14.10.2012).

 

F. Giuseppe Bedeschi è uno studioso serio che sa spaziare nella storia delle idee. Conosce in profondità il pensiero di Luigi Einaudi e sa bene quanto ricca di insegnamenti anche per l’oggi potrebbe essere la lettura delle sue opere, a partire proprio da quelle giovanili, da una delle quali è tratta la frase che egli cita nel brano che ho scelto per iniziare la nostra rubrica di questa settimana. Bedeschi pensa che la crisi italiana è senz’altro complessa, ma la sua natura e le sue cause non sono per nulla misteriose e soprattutto sono curabili. Naturalmente c’è la situazione internazionale, ma c’è anche “la debole o inesistente crescita che affligge l’Italia da almeno quindici anni”, la quale ha una delle sue spiegazioni (certo non l’unica, ma neanche una di quelle secondarie) nel costo del lavoro per unità di prodotto (che, nell’ultimo decennio, è cresciuto in Italia del 40%, in Francia del 15%, in Germania dell’8%), che a sua volta si spiega soprattutto per la struttura centralizzata della contrattazione. Conseguenze: scarsa produttività, bassi salari, bassa competitività. E in altri settori della società come stanno le cose? Nella sostanza, idem. Dice Bedeschi: “… nella pubblica amministrazione, nella scuola, nell’Università, nella magistratura, l’anzianità costituisce il requisito essenziale di progressione di carriera, mentre il merito e la produttività sono sostanzialmente ignorati”. Se ne può uscire? Si, certo. Come? Sono sempre parole di Giuseppe Bedeschi: “… la soluzione dei nostri problemi non può essere trovata in un astratto richiamo all’eguaglianza, bensì nella rimozione degli ostacoli che frenano il dinamismo economico, la produttività, il riconoscimento del merito”. Dinamismo, produttività, merito. Parole eretiche, ma vere, soprattutto se congiunte con serietà, trasparenza, giustizia, bene comune. E terribili se poi a qualcuno venisse in mente di coniugarle con sapere e cultura. Insieme potrebbero produrre una rivoluzione. Mi aspetto che Giuseppe Bedeschi venga inquisito come sospetto autore di trame per la sovversione dell’ordine costituito e che i libri di Luigi Einaudi da lui letti e citati vengano messi all’indice.

 

P. Poiché mi dichiaro monarchico, liberale e cattolico come Luigi Einaudi (che gli sia lieve la terra che lo ricopre) una citazione del maestro mi commuove sempre. Ma mi commuove anche citare un uomo della sinistra come Pietro Ichino: “A quella sinistra imputavamo di non riuscire a rapportarsi alla società civile se non per il tramite degli apparati di rappresentanza delle varie categorie, e in primo luogo dei sindacati: col risultato di perdere i contatti con una massa crescente di lavoratori esclusi dalle tutele. E di ridursi a una difesa sistematica di servizi pubblici organizzati in funzione dell’interesse prioritario, se non esclusivo, di chi vi è addetto. A quella sinistra imputavamo dunque di comportarsi troppo spesso come organizzazione di protezione degli addetti ai servizi contro gli utenti dei servizi. Le imputavamo, infine, di comportarsi troppo spesso come organizzazione della protezione degli interessi costituiti della mia generazione, quella dei nati tra gli anni 40 e gli anni 50, contro gli interessi delle nuove generazioni.

 

Perugia, Terni e Foligno nel “Piano nazionale per le città”. Perché Orvieto no?

“Foligno guarda al futuro attraverso un piano che intende riqualificare, trasformare e valorizzare il tessuto edilizio del centro storico e l’immediata periferia, dove sono presenti aree produttive dismesse e immobili in stato di degrado. I vari progetti – con la partecipazione finanziaria del pubblico e del privato – sono stati inseriti nell’ambito della candidatura del Comune di Foligno al “Piano nazionale per le città”, varato dal Governo per il rilancio dello sviluppo economico del Paese, per un importo complessivo di 177 milioni di euro….«Si tratta di una proposta complessiva che disegna la Foligno del futuro» – ha detto il sindaco  Nando Mismetti” (Foligno Notizie 12.10.2012).

 

F. La notizia è di quelle che fanno pensare. Il 22 giugno 2012 il Governo ha emanato il DL 83, Misure urgenti per la crescita del Paese (il cosiddetto Decreto Sviluppo), che all’art. 12, Piano nazionale delle città, recita: “Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti predispone un piano nazionale per le città, dedicato alla riqualificazione di aree urbane con particolare riferimento a quelle degradate. A tal fine, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è istituita … la Cabina di regia del piano …”. Il successivo 28 agosto è stato pubblicato in G.U. il DM che istituisce appunto la Cabina di regia e fissa al 5 ottobre di ogni anno il termine entro il quale i Comuni possono presentare ad essa le proposte di riqualificazione urbana. Così, entro i termini prescritti, molti comuni le hanno presentate. In Umbria, lo hanno fatto Perugia, Terni e, come si è detto, Foligno, la cui proposta colpisce non solo per la consistenza finanziaria e per la compartecipazione di diversi soggetti, ma soprattutto per il fatto che si tratta di un complesso di interventi ciascuno funzionale ad un obiettivo specifico e tutti insieme coordinati secondo una chiara idea della direzione di crescita economica, culturale e sociale che si vuole imprimere alla città. Dunque qui c’è un’idea di città, un progetto di città, una strategia di reperimento delle risorse, un programma da realizzare in tempi definiti.

Perché a Orvieto no? Eppure anche Orvieto ha aree e immobili degradati da inserire in un progetto di città. Ha l’area di Vigna Grande, l’ex Ospedale, settori di Orvieto Scalo e di altre zone, con diverse infrastrutture da realizzare con urgenza. Perciò ci potevano essere tutte le condizioni per presentare una proposta rispettosa dei criteri richiesti dal DL 83 e capace di competere con quelle degli altri comuni per entrare nella graduatoria dei progetti da finanziare con priorità. Ma, com’è noto l’unico progetto di quel tipo a suo tempo è stato messo da parte, il soggetto che lo aveva elaborato pure, ed oggi ecco qua, tutto fermo, tutto incamminato verso il degrado. Però, per pareggiare il bilancio, l’IMU sulla seconda casa sarà portata al livello massimo (tralascio naturalmente altre considerazioni). Spero che Pier Luigi mi conforti un po’, perché altrimenti la depressione è sicura.

 

P. Il Piano nazionale per le città è finanziato con un fondo in cui confluiscono le risorse non utilizzate o provenienti da revoche di altri programmi. Per quanto questo fondo possa essere ingente, è probabilmente sproporzionato rispetto alle aspettative delle tante città concorrenti. In ogni modo avranno la priorità i progetti immediatamente cantierabili e quelli in cui confluiscono anche fondi comunali e privati. La situazione di Orvieto non mi sembra  corrispondere a queste caratteristiche. Se mi si dimostrerà che sto sbagliando, farò ammenda. Ma il silenzio della minoranza, normalmente bene avvisata da quel che resta dei suoi partiti di riferimento, mi dà una certa tranquillità.

 Ma al fondo con c’è mai fine?

 “Finalmente l’hanno detto, finalmente lo hanno confessato: la lotta politica fra maschi è fondata essenzialmente su chi ce l’ha più lungo. Quando ho letto di Grillo che accusa Renzi di invidiargli il pene ho fatto un sospiro di sollievo. Ecco è tutto chiaro. L’hanno detto. Discussioni politiche, polemiche, ideali, programmi, progetti per gli uomini sono in gran parte solo coperture. L’importante è affermarsi, dominare, sopraffare. … Che cosa credete che si dica davvero quando si urla forte in un comizio? Che cosa credete che si valuti davvero quando si contano i voti? Che cosa pensate che sia in gran parte la cosiddetta lotta politica? Misurazione del pene. Altrimenti si starebbe più calmi, si affronterebbero gli avversari con qualche mitezza in più, ci si farebbe forti degli argomenti invece degli insulti. E ci sarebbero più donne a fare politica” (Ritanna Armeni 17.10.2012).

 

F. Anch’io direi: “Ecco, l’ha detto, finalmente l’ha detto!”, ma con riferimento alla stessa Ritanna Armeni. Io non so se solo lei aveva i titoli per scrivere quello che ha scritto, però è lei che l’ha scritto. E immagino che al di là di questo ormai sarà difficile andare. Perché è certamente vero che c’è sempre un fondo più fondo del fondo (De André), e questa regola spiega perché il fondo raggiunto con la polemica grillinrenziana sul pene è stato superato solo dalla sua interpretazione in termini di ritanninpensiero, ma è anche vero che andare oltre potrebbe mettere in crisi la fantasia stessa. Tuttavia, considerati i tempi, è legittimo chiedersi se sarà comunque difficile far peggio. Incredibile, la politica interpretata alla luce della lunghezza del pene! “Chi se lo sarèbbe mae creso!”, esclamerebbe un orvietano doc. Il nostro Direttore in questi casi disperati invoca San Pietro Parenzo. Io credo però che a questo punto o ci pensa Lui, sì proprio Lui, oppure c’è da temere il peggio.

 

P. Vi sono donne che farebbero meglio a stare zitte, perché non fanno altro che intralciare la realizzazione della parità sostanziale tra uomini e donne. Parità che ancora è lontana, soprattutto in politica. Ma forse quella di Ritanna Armeni è solo una ripicca per quello che gli uomini dicono dell’utero.

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