Quella appena scorsa è stata una settimana vivace nella politica orvietana. Il Consiglio comunale del 27 agosto, con tutti i balzelli che ha dovuto approvare, ha scatenato comunicati, puntualizzazioni, risposte e chiarimenti. Ciascuno teso giustamente a sostenere la validità delle proprie idee, senza però segnalare la minima possibilità di farsi scalfire da quelle dell’altro. Un via vai di discorsi quasi tutti sul web, dove i tempi sono corti e le parole sembrano scorrere più veloci e meno impegnative.
Tra tanti pensieri deboli, uno valido lo rigiro ai lettori che hanno meno tempo per trastullarsi.
Nell’intervento di Alleanza per Orvieto, quella di Barbabella, Gialletti, Gnagnarini e Calcagni, tra l’altro, si dice che “non siamo d’accordo con l’analisi del gruppo consiliare del PD nella parte iniziale del suo comunicato quando si liquida il fallimento di questa maggioranza come “Il fallimento di un’ipotesi politica che ha messo insieme interessi e pezzi di città con il solo obiettivo di occupare sedie e poltrone”. In realtà quell’ipotesi politica iniziale conteneva pezzi importanti delle istanze e dei valori presenti nella società orvietana che questa maggioranza non ha saputo valorizzare, ma che rimangono indispensabili a costruire la giusta prospettiva per il dopo Concina”.
E’ una considerazione che mi sembra ineccepibile. Se un partito politico come il PD, che si pone come alternativa di governo cittadino, ha una simile capacità di analisi del passato e del presente, Còncina e amici dovremo tenerceli per un bel po’. Le istanze che Còncina ha saputo interpretare sono ancora lì, in attesa di “autore”, irrealizzate perché il momento assomma tutte le difficoltà possibili, dalla crisi nazionale a quella del bilancio locale fino all’inesperienza amministrativa di alcuni e all’incapacità di altri. Tutti si attendono ancora di vedere realizzati i contenuti di quel “rinnovamento e metodo” che ha sintetizzato le aspirazioni della maggioranza della città, ma molti ammettono che è già qualcosa l’aver saputo scardinare un ambiente sclerotizzato da sessant’anni di incroci ideali e comportamentali senza ricambio. I cinque anni di Mocio hanno soltanto dimostrato che il tarlo era profondo, diffuso e infettante.
Nessuno, se non una ristretta cerchia dell’intellighenzia piddina, pensa che intorno a Còncina si sia aggregata gente in cerca di strapuntini. Barberani, Rosmini, Sciarra, Zazzaretta, Calcagni hanno preferito lasciare la posizione, forse perché troppo scomoda o inadatta a sorreggere il peso delle azioni che avrebbero voluto. La conquista dell’ufficio per se stesso, come avviene invece per tanti politicanti, a loro evidentemente non interessava.
Corpo male usato quello che fa gli viene pensato, verrebbe da dire al PD.