Rievocare i fasti dell’antico passato, gli avvenimenti più significativi del recente prossimo, le figure-simbolo che li hanno resi possibili, serve a poco o nulla se non si avverte la responsabile coscienza del presente e se non ci si industria per ridonar loro essenza di vita.
Lo stato depressivo in cui versa la città di Orvieto e che non risparmia settore alcuno, mi procura sottile e sedimentata sofferenza anche alla luce della convinzione che si potrebbe meglio e di più intervenire e, invece, non lo si pone nel dovuto essere. Non sarebbe mia intenzione, quella di affondare ulteriormente la lama nella piaga, se non vi fossi spinto dalla amara constatazione che, più passa il tempo, e più si evidenziano ritardi, inadeguatezze e sproporzioni tra le questioni aperte e le capacità di incidenza operativa e finalmente risolutiva.
Molto di ciò va senz’altro attribuito a non ben calibrate volontà quando le stesse, sommando il danno alla beffa, non decadano in vere e proprie rivalità personalistiche generanti inevitabili dissapori, insensate ostilità pregiudiziali, presuntuose supponenze.
Mi capita sovente, seguendo i lavori del Consiglio Comunale, di assistere a frequenti e spesso estenuanti contese di pura e accademica leziosità e che, inesorabilmente, sfociano in imperdonabili perdite di tempo; lusso, quest’ultimo, che in fasi di emergenza non è consentito potersi permettere.
Si sta, in sostanza, smarrendo il sano principio che guidò il senso pratico di molteplici conquiste civili; perché, se è vero che “ad impossibilia nemo tenetur”, è pur vero che “ad essentialia quisque tenetur”. Come a dire: signor Sindaco, illustri Consiglieri Comunali, signori Assessori, non vi si chiede l’impossibile, ma l’essenziale sì!.
Alcuni mesi orsono, scrissi quanto segue: <<Conversando con un valente intellettuale, uomo integerrimo che gode della mia stima per la sua affabilità e raffinatezza culturale, si è tra noi convenuto che l’iscrizione marmorea, apposta bilateralmente all’ingresso del Pozzo di San Patrizio, si attagli perfettamente all’attuale condizione socio-politica cittadina. Recita l’iscrizione: “Quod natura munimento inviderat, industria adiecit”. La testimonianza della consapevolezza del rapporto tra natura e architettura si manifesta esplicitamente in detta iscrizione e la città di Orvieto diviene, così, un mirabile esempio di integrazione e congiunzione tra l’opera di Dio e quella dell’Uomo poiché “ciò che la natura aveva negato per la difesa, lo aggiunse l’attività umana”.>>.
Il nocciolo della intera “Questione Orvietana” risiede proprio in codesta congiunzione che, nell’attualità del presente, è palesemente carente o del tutto mancante. Come è mancante il rapporto e l’apporto partecipativo della collettività cittadina alle scelte di politica amministrativa, o perché non spontaneamente offerto per sfiducia nella classe dirigente, o perché da quest’ultima rifiutato per altezzosa e mal ritenuta autosufficienza.
Ovverosia, si è inceppata la trasmissione osmotica del buon senso e delle idee delle genti con le funzioni potestative dei pubblici amministratori e, onde uscire dalle contingenti paludose secche, è quanto mai necessario riattivarla.
Uno strumento in tale direzione potrebbe essere rappresentato dall’istituto dello “Ombudsman”, cioè di colui che si pone “come tramite o come punto di congiunzione” e che potremmo meglio definire, usando la nostra insuperabile lingua neolatina, con l’inquadramento nella figura del “Magistrato Civico”.
A costui andrebbero affidati i compiti specifici di raccogliere le istanze, le proposte e finanche le lamentele della pubblica opinione, di rappresentarle ai vertici istituzionali, di porre rimedio alle lentezze burocratiche e, non da ultimo, di contrastare eventuali soprusi e vessazioni da parte del funzionariato amministrativo o di blocchi di potere e di concentrazioni di interessi.
Vi sarà mai qualcuno disposto all’umiltà dell’ascolto? Vi sarà mai qualcuno che non sia costantemente animato da maliziosa dietrologia? Vi sarà mai qualcuno che abbia la dignità di accantonare la malafede, generatrice di dissesti materiali e di disonestà intellettuali?.
Come sempre, sperare val bene coltivare le speranze avendo, però, l’avvedutezza di saper cogliere il monito Agostiniano che insegna come la speranza abbia due volti: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per una realtà socio-politica miserrima; il coraggio di gagliardamente cambiarla.