Orvieto e Viterbo complementari, un territorio omogeneo che ha sempre più evidenti ragioni per stare insieme in un progetto comune di sviluppo, appoggiato su un robusto substrato culturale?
E’ possibile, forse è opportuno, addirittura necessario. Certo è argomento all’ordine del giorno dell’agenda politico-amministrativa, soprattutto dopo l’abolizione della Provincia di Terni ed il subbuglio istituzionale di questi tempi.
Il consigliere provinciale Giorgio Santelli, un paio di giorni fa, ricordava come si stia lavorando su questo versante per salvare il tribunale di Orvieto e valorizzare contemporaneamente i servizi della giustizia viterbese. Il Comitato civico per il Corpus Domini e Silvio Manglaviti stanno contribuendo con straordinaria efficacia alla riscoperta di una comunione culturale di cui ormai è tempo di prendere coscienza e di inserirla profondamente nel dibattito sul riassetto dei territori.
C’è già un distretto della Tuscia di cui Carlo Perali è stato strenuo promotore.
L’esperienza della lista elettorale della Tuscia, che elesse ad Orvieto due consiglieri comunali una quindicina d’anni fa, può servire per capire gli errori che furono compiuti allora e, magari, non ripeterli.
Insomma, non partiamo da zero.
Anche sul versante viterbese si è aperto un ragionamento su questa vicinanza riscoperta e Silvio Manglaviti ci offre di seguito una rassegna che rigiriamo ai lettori, insieme a poche nostre note sulla storia recente.
Prima del 1970, quindi prima dell’istituzione delle regioni, gran parte dei rapporti commerciali e degli scambi interpersonali, dallo studio fino all’amore, erano sviluppati dall’Orvietano verso il Viterbese ed il contrario. Il rapporto con Terni e Perugia era in gran parte sostanziato dalla presenza di strutture politiche che operavano tenendo conto che il collegio elettorale per l’elezione della Camera dei deputati era costituito da Perugia, Terni e Rieti e che i partiti erano strutturati con una definizione provinciale e regionale, sul modello delle istituzioni.
Gli stradini della Provincia e gli orvietani che lavoravano alle acciaierie ed al polo chimico, secondo un flusso unidirezionale, costituivano il legame più consistente verso il capoluogo.
L’assetto politico era mortificante per l’Orvietano già allora, ma il sistema elettorale con le preferenze e la presenza sul territorio di partiti politici con riferimenti solidi, fatti di persone che ci mettevano impegno e faccia, alleggeriva la scarsa considerazione che subiva il nostro territorio, dove c’era e c’è tanta vigna e poche anime, un ventesimo della Regione, un ventesimo dei voti.
Orvieto è lontano da tutta l’Umbia, lo era moltissimo nel passato e le montagne, verso Perugia e Terni, hanno sempre separato. Quella lontananza è rimasta e divide nei sentimenti, nei pensieri, nei ragionamenti.
Noi, qui, non ci sentiamo umbri e ha ragione Galanello quando lo rileva, con dispiacere, come se sarebbe dovuto essere auspicabile il contrario “dopo quarant’anni dall’istituzione della Regione”. Così è e non cambierà, anzi, avere la possibilità di ritornarci sopra con qualche speranza di cambiamento, ora che si mette in discussione perfino la presenza della regione Umbria, offre vivacità e interesse e realismo ai progetti “scissionisti”.
Confido una scelta epidermica che ha prodotto effetti di sostanza in questo giornale.
Nella selezione delle notizie da pubblicare tendo a tenere in considerazione quelle che provengono dal Viterbese, mentre trascuro, considerandole non interessanti per i miei lettori, quelle di Amelia o Narni o Todi.
Così è nato un giornale sbilenco rispetto a Terni ed all’Umbria, ma spero più allineato agli interessi dei lettori.
Segue un articolo di Silvio Manglaviti, uno di Marcello Meroi, presidente della Provincia di Viterbo e i commenti a quell’intervento apparsi su Tuscia Web.
VITERBO ED ORVIETO. UNA CONVIVENZA POSSIBILE.
di Sivio Manglaviti
Il recente autorevole intervento (vds sotto) del Presidente della Provincia di Viterbo, Dott. Meroi, nel dibattito sugli scenari di un – ipotetico? Paventato? – riordino amministrativo che potrebbe interessare anche la Tuscia, spinge ad opportune riflessioni.
Lo spirito del cominciare a guardarsi intorno si è ormai trasformato in necessità. Tuttavia l’iperbole matrimoniale potrebbe apparire eccessiva, se non fosse, come di fatto è, corroborata da un adeguato riferimento al comune condivisibile substrato culturale.
Orvieto è una realtà di riferimento territoriale da oltre tremila anni. Il legame geostorico con Viterbo è praticamente genetico, a cominciare dai vulcani che ne generarono le terre. A parte la curiosa corrispondenza toponomastica palindromica (Vetus Urbs – Urbs Vetus) e quella geografica – si può dire – sul medesimo meridiano, ai vertici di un “cardo” tra lago di Bolsena e Tevere. A parte l’esser state capoluoghi provinciali dello Stato Pontificio: si veda in proposito la “Tuscia Suburbicaria” di Egnatio Danti (1580, Galleria delle Carte Geografiche – Musei Vaticani), con le piante appaiate delle due città e la presenza di Orvieto sulla rappresentazione corografica coeva della Tuscia nella Sala Regia del Palazzo dei Priori. A parte il fatto di aver ospitato, Viterbo ed Orvieto, per secoli le corti pontificie … In proposito, in vista del Giubileo “Bolsena – Orvieto, 2013 – 2014” indetto da S.S. Benedetto XVI per celebrare il 750° del Miracolo eucaristico e dell’istituzione del Corpus Domini, un esempio su tutti: Urbano IV, che dopo l’elezione nel conclave viterbese stabilì la propria residenza sulla Rupe orvietana (come prima di lui, tra i tanti, già anche Adriano IV, Innocenzo III, Onorio III … e poi, Martino IV, Onorio IV, Nicola IV, Bonifacio VIII – che vi sarà pure capitano del popolo; e ancora, Clemente VII, Paolo III …: cfr. di Prinzivalli Vincenzo, “Orvieto – La città dei Pontefici – Discorso storico”, 1857). Urbano IV non mise mai piede a Roma e da Orvieto con la Bolla Transiturus de hoc mundo, l’11 agosto 1264, istituì la solennità universale cristiana del Corpus et Sanguis Domini.
Il Miracolo eucaristico di Bolsena, al riguardo, rappresenta per le realtà territoriali di Viterbo ed Orvieto – visto che si sta parlando di “matrimoni” – una vera e propria “unione di fatto” ab immemorabili, ovvero, stando alla Tradizione, almeno dal 1263. Ovviamente, come si conviene, burrascosa unione …
Dove, in realtà, anche il legame Bolsena – Orvieto è genetico e risale a quello filiale d’epoca etrusca tra Velsna e Volsinii e poi alla sede episcopale che da Volsinio, distrutta dai Goti, nel VI sec. tornerà in Urbs Vetus.
Parte delle reliquie di quel Miracolo sono custodite nella cattedrale orvietana dove furono traslate perché là risiedeva appunto il pontefice e Bolsena era già parte della diocesi orvietana.
Tuttavia, come ricorderà Giovanni Paolo II celebrando l’anniversario della fondazione del Duomo di Orvieto: «… Anche se la sua costruzione non è collegata direttamente alla solennità del “Corpus Domini”, istituita dal Papa Urbano IV con la bolla Transiturus, nel 1264, né al miracolo avvenuto a Bolsena l’anno precedente, è però indubbio che il mistero eucaristico è qui potentemente evocato dal corporale di Bolsena, per il quale venne appositamente fabbricata la cappella, che ora lo custodisce gelosamente.»
Non tragga dunque in inganno l’attuale condizione di Orvieto, ai margini della regione umbra (dove un secolo e mezzo fa confluì con Perugia fa, determinandone la costituzione ex novo) e della provincia ternana (in cui fu annessa solo dopo l’istituzione di quest’ultima nel Ventennio).
Orvieto è naturale ponte geostorico tra Umbria e Tuscia. Eletta a dignità di Provincia dello Stato Pontificio, come Viterbo, solo dopo il 1830 dovette cedere quei territori che furono parte secolare del proprio contado prima e della delegazione successivamente, oggi nell’Alto Viterbese. La frantumazione dei territori geostorici orvietani era già cominciata con Napoleone, per ricomporsi nella Restaurazione.
Bisogna leggere bene la storia e la geografia storica dei territori e delle culture: sono la ricchezza e la dimensione, il valore, l’identità di una comunità. Non se ne può prescindere, né ignorarle o disconfermarle.
Quella orvietana è da sempre legata alla propria posizione geografica, nella gravitazione tra Valdichiana-Trasimeno, Amiata-Val di Lago-Maremme, Teverina-Umbria. Un carattere, quello geostorico orvietano, da non sottovalutare e disperdere: come invece è stato fatto da dopo l’Unità d’Italia all’ultimo Dopoguerra, quando l’accademico Renato Bonelli (uno dei padri di Italia Nostra e dell’Istituto Storico Artistico Orvietano) per poco non riusciva a realizzare la regione della Tuscia con le province di Viterbo, Civitavecchia ed Orvieto.
Oggi i matrimoni non vanno più di moda; forse meglio approcciare alla convivenza. Cambia un po’ la forma, ma la sostanza resta quella. Soprattutto, vi è la possibilità di aggirare scomode implicazioni di carattere burocratico e poi, si risparmia riguardo a dispendiose cerimonie. Convivenza da organizzare e strutturare adeguatamente.
Guardando ad un ipotetico ‘connubio’ tra Viterbo ed Orvieto, chi porterebbe in dote cosa?
La Cultura, si è detto, innanzitutto; che sia Cultura del e per il Territorio: perché la Cultura è l’humus del Turismo. E i rispettivi bacini di risorse culturali sono ricchissimi sia nell’Orvietano sia nel Viterbese: storia, arte, architettura, ambiente, paesaggio, ecologia.
Ma sono Cultura – dunque, Turismo – anche l’artigianato, l’agricoltura e le stesse ‘visioni’ industriali che però siano realmente ad impatto ambientale ecocompatibile ed ecosostenibile.
Bellissime parole. Ma, nonostante la prossima opportunità del Giubileo Bolsena-Orvieto, e le realtà già peraltro operative del Distretto Culturale della Tuscia e dell’Università Popolare della Tuscia che legano di fatto Viterbo ed Orvieto, siamo ancora nel campo dell’infatuazione.
Un “contratto” matrimoniale (o di convivenza) non può limitarsi soltanto alla passione, che inevitabilmente è destinata a scemare (e forse ad esaurirsi) col tempo.
Immagino che nelle competenti sedi ed opportune, chi ve ne sia preposto stia già valutando quali potrebbero essere eventuali punti di contatto riguardo all’amministrazione giudiziaria o anche ospedaliera, ad esempio. Entrambi queste realtà infatti potrebbero aggirare lo scoglio delle rispettive differenti dipendenze e competenze amministrative territoriali e trovare ampi spazi di ragionamento ed interazione con altre realtà contermini legate da una storia ed una cultura comuni che, per Orvieto, affondano le Radici nell’Etruria, nella Tuscia e nelle vicende più recenti dell’Umbria occidentale, della Toscana meridionale e dell’alto Lazio.
(Comitato Civico “Orvieto Città del Corpus Domini”)
Se proprio ci dobbiamo “sposare”, facciamolo con Orvieto
di Marcello Meroi Presidente della Provincia di Viterbo – 25 luglio, 2012 – 15.27 –
No, le politiche territoriali non si fanno affatto con il pennarello, come ha giustamente sottolineato in un suo sempre stimolante intervento il professor Francesco Mattioli nei giorni scorsi. La cultura, la realtà sociale, storica e ambientale dei territori non si smembrano o si accorpano per decreto. E’ innanzitutto una questione di buonsenso, prima che di strategia politica vera e propria. (…) E’ allora oggi necessario parlare di cultura, di tradizione, di storia comune dei territori. Di un’area vasta, ricca di tante peculiarità, di cui si occupa non solo un amministratore locale che, eletto dai cittadini, fa del proprio meglio per governarli; ma anche e soprattutto conoscitori profondi della nostra storia e della nostra cultura che, come Mattioli, questi territori li studiano, comprendendone bene tratti e popolazione. Chi ha infatti esperienza delle realtà della Tuscia e delle zone a essa limitrofe non può non trovarsi ovviamente in palese polemica con coloro che formulano soltanto nuove macro definizioni frutto di scelte miopi e fatte a tavolino sulla carta geografica, in dispregio di valori derivanti dall’unica lingua che questi esponenti dell’alta finanza sanno parlare: quella della mera teoria e del burocratese. Trovo altrettanto interessante la proposta di Valerio De Nardo, dimostratosi ancora una volta uomo libero e profondo conoscitore della nostra terra, di riflettere su un progetto di ristrutturazione della governance territoriale che miri alla ricostituzione di quell’Etruria di cui ognuno di noi è figlio, di quell’area vasta che comprenda l’Alto Lazio e le confinanti aree di Toscana, Umbria e di Roma Nord. Penso, per esempio, al litorale laziale nell’ampio tratto che va da Civitavecchia a Capalbio, o alla vicinanza – non solo geografica ma anche e soprattutto culturale – della Tuscia viterbese con i comuni di Orvieto, Castel Giorgio, Porano. (http://www.tusciaweb.eu/2012/07/se-proprio-ci-dobbiamo-sposare-facciamolo-con-orvieto/ )
TusciaWeb. COMMENTI A: “VITERBO ED ORVIETO: CONVIVENZA POSSIBILE” diSilvio Manglaviti
1.7 agosto 2012 alle 13:10 | – >Francesco Mattiioli commenta:
Nessun dubbio sulla vicinanzia storica e culturale di Orvieto e affascina l’idea di ricomprendere sotto un unico territorio Viterbo e Orvieto, come auspica il Presidente Meroi e come, vedo, auspicano molti orvietani.
Resta tuttavia una difficoltà apparentemente insormontabile: il riordino delle province che il Governo chiede di fare alle Regioni esclude, almeno nel breve-medio periodo,la possibilità di intervenire a livello interregionale. Senza contare che l’Umbria ha proprio il grosso problema di salvare Terni e certo, sottraendogli Orvieto, questa se la passerebbe ancora peggio…
Se l’intervento si potesse realizzare a livello interregionale, allora Orvieto potrebbe “unirsi” a Viterbo e Civitavecchia in una provincia con tre capoluoghi che di fatto possiedono lo stesso nome. Ma in tal caso, bisognerebbe unire Terni a Rieti nella regione Umbria… Certo, Rieti è più “vicina”a Terni che a Viterbo, sotto molti punti di vista, ma sarebbe disposta a cambiare regione? E che hanno da dire a proposito, oltre alla Provincia di Rieti,le Regioni Lazio e Umbria, e il Governo?
2.7 agosto 2012 alle 10:53 | – >Neno commenta:
Legarci con Orvieto e Civitavecchia sarebbe l’ideale.
Purtroppo pare che finiremo nel peggiore dei modi e cioè nell’area metropolitana di Roma.
Purtroppo resteremo nel Lazio.
La regione con la legislazione sul commercio ed il turismo più arretrata d’Italia, con la promozione turistica più scadente e la classe politica più miope.
Tanto per rimanere su Orvieto, il paragone con Viterbo è impietoso dal punto di vista delle iniziative culturali e delle presenze turistiche.
Da loro migliaia di turisti tutto l’anno, Umbria Jazz Winter, il teatro Mancinelli etc…da noi turisticamente il nulla, il centro storico sempre pieno di macchine, parcheggi gratuiti inesistenti e a pagamento scarsi, segnaletica turistica non pervenuta e iniziative culturali approssimative o, quando ben fate, fortemente ostacolate come Caffeina.
Bisognerebbe delegare agli amici orvietani la gestione del comune per il tempo necessario ad avviarci verso un’eccellenza che al momento è solo un miraggio.
3.7 agosto 2012 alle 10:16 | – >maya commenta:
Orvieto Viterbo okkkkkkayyyyy
Non voglio fare la gita a Sant’Oreste, come noi chiamiamo il Monte in questione,, con Rieti.
4.7 agosto 2012 alle 09:35 | – >Enrico commenta:
Pasticci sarebbe meglio non farne.
Penso sia proprio l’annessione della provincia di Viterbo all’Umbria la cosa più augurabile, abbandonando finalmente Roma al suo nuovo destino di città metropolitana che dovrebbe comportare l’eliminazione della Regione Lazio con enormi risparmi di spesa.
Su questo bisognerebbe attivarsi con molta decisione.
5.7 agosto 2012 alle 08:17 | – >Virtuale commenta:
Da orvieto potremmo imparare a fare un sacco di cose, dai parcheggi a come si gestisce il traffico e anche a diventare un po’meno provinciali. Studiai a Orvieto ai tempi del liceo, quando nei licei viterbesi facevano la sezione d’elite e quella dei poveracci. Voi dite che nei trent’anni successivi a Viterbo sia cambiato qualcosa?
6.7 agosto 2012 alle 06:50 | – >Maurizio commenta:
A parte la lunga e piacevole ricostruzione storica, credo che il futuro di Viterbo debba esser visto COMUNQUE all`interno della regione di appartenenza.
Se ci mettiamo a discutere di quello che ci piacerebbe o della storia preromana o medievale da cui deriviamo non si va da nessuna parte.
Una piccola notazione: forse non ho capito il punto che riguarda le “provincie di Civitavecchia e di Orvieto” che non esistono.
Si volevano istituire forse?
7.8 agosto 2012 alle 11:31 | – >silvio manglaviti commenta:
Risposta al Sig. Maurizio. Si, è così, nel 1946 si costituì un comitato pro Regione “Tuscia”, con autorevoli esponenti del mondo accademico e politico del Viterbese e dell’Orvietano (tra cui il ricordato Prof. Bonelli, ordinario ad Architettura a La Sapienza, fondatore di Italia Nostra). Nacque, come organo del comitato, anche un’apposita testata “Nuova Tuscia” (copie si conservano nella Biblioteca Comunale di Orvieto). Il comitato propugnava la ricostituzione dell’antica regione suburbicaria, su tre province: Viterbo, Civitavecchia (da realizzare ex novo) ed Orvieto (già elevata a dignità di capoluogo di provincia nello Stato Pontificio preunitario e poi confluita con Perugia a costituire la Provincia dell’Umbria nel 1860-’61). – Comitato Civico “Orvieto Città del Corpus Do