Corre voce che l’amministrazione comunale intenda aumentare la tariffa della TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) per adeguarla al costo di tali servizi e per pareggiare il bilancio. Se nell’amministrazione s’include il sottoscritto, dichiaro che non è mia intenzione. E spiego il perché.
Da un punto di vista tecnico-finanziario, l’adeguamento della TARSU al costo del servizio è più corretto di una pesante imposizione con l’IMU (imposta municipale unica). Infatti, mentre è buona norma che i costi dei servizi vengano pagati il più possibile da chi ne usufruisce, l’imposta sugli immobili realizza un prelievo sul presunto valore di un bene e non sul suo reddito effettivo, che già viene altrimenti colpito. Si tratta quindi di una imposta patrimoniale, largamente criticata perché scoraggia il risparmio, deprime l’industria delle costruzioni e finisce con l’incoraggiare la tesaurizzazione (per esempio l’acquisto di oro e diamanti) nonché l’esportazione di denaro, invece degli investimenti in Patria.
Questa è la teoria. Ma, nella pratica, la TARSU scarica iniquamente il costo dello smaltimento dei rifiuti. Non si paga in relazione (anche ipotetica) ai rifiuti prodotti, ma in base alle superfici degli stabili. Due poveri vecchietti che attendono di morire in una vecchia casa in cui gli altri sono già morti o da cui se ne sono andati, pagano quanto una famiglia di sei persone che viva in una casa della stessa superficie. Un bar o un ristorante che se la passano male, pagano quanto i concorrenti pieni di clienti, e così vengono aiutati a fallire.
Quindi un aumento della TARSU, per di più ad anno inoltrato, quando i cittadini si stanno preparando alla botta grossa dell’IMU, quella di fine anno, non è affatto una bella trovata.
Se mi è consentita una considerazione antipatica, i due vecchietti che sopra ho citato, andrebbero a finanziare gli asili nido comunali, che costano quasi il doppio di quelli privati, nonché i contributi a Umbria jazz, al Teatro e alla scuola di musica.
È meglio pensarne un’altra.