Diciamocelo
Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Nella scuola non c’è più tempo per una politica dei piccoli passi.
“I dati Istat sull’occupazione dell’ultimo trimestre ci confermano il fenomeno preoccupante del costante decremento del numero dei giovani occupati. L’Unione Europea ha lanciato il progetto “Youth Guarantee” che spinge ad una sorta di rivoluzione culturale, soprattutto nel nostro Paese. Dove è opportuno cominciare dall’educazione all’emancipazione. I dati Istat sull’occupazione dell’ultimo trimestre disegnano un trend molto preoccupante, che vede in particolare attestarsi la disoccupazione giovanile al 35,3%, con un incremento del 7,4% rispetto a 12 mesi prima, il più alto incremento registrato nei Paesi UE27, ad eccezione della Grecia….Occorrono cambiamenti radicali…. una vera e propria rivoluzione culturale. Rivoluzione che in particolare può basarsi su due concetti chiave: – la garanzia sull’inserimento nel mondo del lavoro; – la garanzia sulla valorizzazione delle capacità e del merito”. (Nello Iacono, http://www.egovnews.it/)
F. Io sono d’accordo. Tu che ne pensi?
P. I progetti, quando sono improntati a risolvere razionalmente problemi reali, sono non solo utili, ma anche indispensabili e, oserei dire, inevitabili. Infatti gli esseri umani sono dotati di passione e di immagi, perciò non possono fare a meno di adoperarsi perché il futuro risponda ai loro desideri. Tuttavia (congiunzione che mi piace tanto, perché richiama alla realtà) i progetti non sono efficaci se non trovano il clima adatto, che, nella materia in questione, non sarà determinato solo dalla cosiddetta saggezza popolare, ma anche dalla lezione che ci sta dando la storia: lo Stato-mamma ha le poppe asciutte e trova difficoltà anche a procurarci il latte artificiale.
Quel genio di Kant
“Agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare per mezzo della tua volontà una legge universale”. (Immanuel Kant)
F. Kant (si pronuncia così com’è scritto e nessuno osi ridurlo a Kent) enuncia in questi termini l’imperativo categorico, che è per lui il fondamento della moralità. Io ho sempre pensato a Kant come ad un genio, uno di quei rari personaggi che sanno pensare per sempre, perché hanno il coraggio di mettere l’umanità di fronte alle sfide vere. Lo fanno fornendoci gli strumenti per interpretare il mondo senza farsi deviare dalle situazioni contingenti, con il che ci danno anche la responsabilità di scegliere se usarli e come. Da qualche tempo mi è venuto il sospetto che non è così. Mi chiedo infatti sempre più spesso: che succederebbe se la massima dell’azione di certi personaggi a noi tutti noti potesse davvero diventare legge universale? Kant si è sbagliato o non resta che affidarci alla fiducia che l’umanità non è fatta di fessi? Tu che dici?
P. Dico che Kant mi è stato sempre antipatico. Anche perché, prima di averlo dovuto studiare al liceo, avevo letto Giovanni Papini, che parlava dell’imperativo categorico nei termini seguenti: «La formula è celebre, chiara e ben sonante ma non è ugualmente profonda. Kant ha voluto fare una morale scientifica e ha fatto una morale sentimentale: nel momento in cui vuol comandare, appunto allora obbedisce. Contraddizione e illusione sono i vizi nascosti della sua dottrina. Questa morale che vuol sgorgare dalla ragione, che vuol essere al disopra dell’interesse ha proprio per sostrato qualcosa che la ragione non può dare, ma che viene invece fornito dal sentimento e dall’utilità. L’altruismo è un fatto sentimentale e non razionale, è un motivo utilitario e non disinteressato. Noi facciamo il bene degli altri non perché la ragione ci possa dimostrare la necessità di farlo, ma perché l’abitudine, la paura, la pietà ci portano a farlo, perché speriamo di ricevere in cambio altro bene. L’altruismo è dunque sentimento spontaneo o calcolo interessato e non già postulato della ragione e principio universale». Ma adesso devo spiegare come cerco di cavarmela in questo mondo, nonostante le scempiaggini che sento o che mi vengono in mente. Ebbene, ripeto dentro me stesso i seguenti versi di Dante Alighieri: «State contenti, umana gente, al quia / che, se potuto aveste veder tutto, / mestier non era partorir Maria».
Cavolo, ma gli arabi già hanno conquistato Perugia?
“L’assessore Rossi e le organizzazioni sindacali hanno inoltre evidenziato che «è necessario un assetto statale decentrato e policentrico, nel quale sia chiaro e delineato il concetto di ‘sistema’ che presuppone un protagonismo reale dei territori ed una partecipazione diretta delle comunità locali anche in un più avanzato e condiviso quadro di sussidiarietà. Anche per queste motivazioni va perseguita fino in fondo la scelta del riordino territoriale delle province e l’associazionismo comunale in ordine alle funzioni fondamentali dei comuni, in una visione dell’Umbria maggiormente coesa e va mantenuta una organizzazione duale degli organi periferici dello Stato»”. (Incontro dell’Assessore Gianluca Rossi con CGIL, CISL, UIL, sulle riforme istituzionali)
F. Giuro che non ci ho capito niente. Sono sinceramente preoccupato: in regione si parla ormai arabo o il politichese, misto al ternano e al perugino, ha dato luogo ad una lingua nuova, fantastica, stupefacente, così densa e ricca di significati, che nemmeno chi la parla la capisce? E figuriamoci il popolo: altro che il latinorum di don Abbondio! Mi sa che qui gatta ci cova. Tu potresti aiutarci a capire un po’?
P. Ci capisco quanto te. Parla in quel modo chi sta precipitando nel burrone e si attacca ai fili d’erba. Ma la colpa è di chi ha messo insieme gli Umbri a un po’ di Etruschi e di Sabini per fare una mini-regione parassitaria e quindi destinata a essere eliminata.