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Home Sette Giorni

Cosa succede in città? un tentativo di analisi del presente e una prima proposta per cambiare un futuro confuso

Redazione by Redazione
18 Settembre 2012
in Sette Giorni, Archivio notizie
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1.  La fuoriuscita di Ranchino dalla maggioranza di centrodestra sancisce la fine, più o meno anticipata, della parentesi Concina. L’avvocato ha tolto il sasso dal muro di pietre e tutto è diventato instabile. Gira quindi un cerino acceso che resterà ardente fino a quando non si troverà la celeberrima “quadra” tra i diversi aspiranti alla carica di salvatore della patria (leggi: sindaco). Poi qualcuno si brucerà le dita…

2. Concina è scaduto ma formalmente è ancora il sindaco. Questa sfasamento tra la sostanza e la forma ha conseguenze dannose. Anzitutto perché l’autorevolezza prossima allo zero di un’amministrazione senza futuro e senza di sostegno popolare non è in grado di garantire la stabilità di alcuna decisione politica , disincentivando così i progetti di un qualche respiro. In secondo luogo, perché rende opaco il confronto politico, costringendo la discussione dentro un’atmosfera caliginosa, in cui spariscono le differenze in nome di un imprecisato “bene della città” (e chi non è per il “bene della città”? e chi non vuole bene alla mamma?)

3. In questo tramonto di Concina e della sua resistibile armata il Partito Democratico, il tanto deprecato Partito Democratico, svolge un ruolo fondamentale checché ne scrivano alcuni commentatori tutt’altro che disinteressati. Fondamentale perché utilissimo e indispensabile ad un progetto di “Santa Alleanza” né di destra né di sinistra: un terzo luogo verso cui precipitano un po’ tutti, siano essi antichi o moderni.
Dal punto di vista di un ben rappresentato gruppo del PD (che si pensa maggioranza)  – schema A – ,  la “Santa Alleanza” è utile per sostituire il vecchio blocco cattolico moderato (dentro al quale, in precedenza, riusciva a trovare rappresentanza anche una parte della borghesia cittadina) con un altro cartello sociale ed elettorale deluso dall’attuale sindaco e dal PDL.
Ma cambiando prospettiva, cioè mettendosi nei panni dei sottoscrittori della “Santa Alleanza Civica e Perbene” – schema B – , il PD è solo un autobus: ci si sale, ci si accorda con il conducente e si va ora di qua, ora di là con un marchio ancora riconoscibile.

4. Il PD ha molti e gravi difetti – tra cui quello di essere un partito senza confini – tuttavia conserva una qualche forma democratica e, cosa non secondaria, risulta contendibile: cioè non ha proprietari privilegiati o possessori di golden share.  Infine, serve a trattare con i livelli superiori della politica (quella vera, non quella delle pacche sulle spalle). Pertanto, la possibilità di scalare il PD per piegarlo a sostegno  della “Santa Alleanza”  è una tentazione a cui si resiste con fatica.

5. Nel disegno della “Santa Alleanza” c’è, a differenti livelli di intensità,  l’ipotesi Tuscia: ora agitata come un metafisico destino geologico-culturale, ora brandita come arma secessionista per intimorire Perugia matrigna e prepotente. Chi partecipa al movimento lo fa con uno spread di consapevolezza che registra differenze notevoli: c’è chi ci sta perché davvero crede di trovare a Viterbo il viatico per il Paradiso in terra e chi ci sta perché spera di portare a casa qualche risultato più materialistico, volgendo ai propri fini la professione di fede dei credenti.
Ma con ciò non si intende irridere la questione del rapporto con il viterbese. Il punto di fondo è che questo approccio pecca di superficialità e di supponenza cosicché da tema centrale delle politiche di area vasta viene sparato solo in chiave polemica e anti-umbra: come se i processi di riorganizzazione istituzionale, politica ed economica di un territorio potessero essere decisi “a veja” sulla base di simpatie o idiosincrasie epidermiche e biografiche.

6.  Il tramonto di Concina porta con sé anche quello del PDL (anche per ragioni legate alle sorti del suo padrone). Più interessante sarà il destino dei “responsabili” (i transfughi PD), i quali guardano al PD con grande interesse perché vi intravvedono un potenziale di sopravvivenza, specialmente se in questo partito dovessero tornare a prevalere le logiche già viste all’opera nel 2009. In tal caso tutte le ipotesi potrebbero diventare praticabili, compresa quella del ritorno del figliol prodigo con tanto di vitello grasso.

7. Per funzionare adeguatamente, sia lo schema A che lo schema B prevedono una decrescita numerica e politica del PD. Qualora ciò accadesse, le conseguenze politiche sarebbero notevolissime: verrebbe definitivamente liquidata tutta la cultura e l’esperienza della sinistra orvietana e, soprattutto, eternizzato un quadro politico e sociale nient’affatto nuovo, anzi consumatissimo che prevede qualche faccia nuova per dissimulare una micidiale opera di restaurazione. Dietro la “Santa Alleanza” c’è una minestra riscaldata, opaca (come ampiamente dimostrato in occasione del voto sull’anagrafe degli eletti) e trasformista, per nulla incline al confronto democratico. Il prossimo congresso del PD dovrà stabilire quale ruolo intende svolgere questa organizzazione politica.

 9. Trasformare il PD in un agente di cambiamento della società orvietana è nostro progetto in vista del prossimo congresso comunale. Noi lo vorremmo realizzare anzitutto con la sinistra, sia essa civile, sociale, esistenziale. Assieme, come direbbe Aldo Bonomi,  alle “comunità operose” e alle “comunità di cura”. Perché Orvieto non ha bisogno né di minestre riscaldate, né di resurrezioni dei corpi, né di rappresentanti perbene di cose guaste ma di capire bene chi propone cosa, con quali idee e principi, per fare cosa e a favore di chi. Diffidiamo pure di quanti si appellano al generico “bene della città” – perché il bene della città, senza i ceti popolari e i lavoratori organizzati a far da contrasto, coincide sempre con gli interessi dei più forti – e di quanti pensano che gli interessi dei ricchi e dei meno ricchi possano coincidere in nome del “bene comune”. Sino ad oggi si è pensato così. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

 1o. Noi vogliamo mettere a disposizione il nostro impegno per dare forza ai ceti popolari, al mondo del lavoro sempre più precarizzato, ai giovani tenuti ai margini, ai processi di democrazia e di partecipazione, ad un progetto di società ecologica. E lo vogliamo fare con quanti si riconoscono nei valori delle tante tradizioni della sinistra italiana, con i cattolici impegnati a cambiare le cose e con quella parte di società civile stanca di un “volemose bene” ipocrita e insulso.

 11. Infine, noi sosteniamo  la raccolta delle firme per i  referendum sul lavoro.  Pur essendo certi che il futuro Parlamento a maggioranza di centrosinistra saprà superare i quesiti proposti modificando in profondità quelle norme che riteniamo ingiuste, oggi tuttavia vogliamo stare dalla parte di quanti sono impegnati per re-instaurare la civiltà del lavoro.


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