Sarà capitato ad ognuno di noi, almeno una volta durante il peregrinare terreno, di domandarsi il perché le persone più intelligenti, nel senso classico del termine, non sempre sono quelle con cui si lavora più volentieri o con cui si stringono solide amicizie; il perché il rendimento scolastico di taluni bambini, dotati di brillante intelligenza, può crollare in maniera drammatica in occasione di difficoltà familiari; il perché individui assunti sulla base di specifiche selezioni attitudinali si possono, poi, rivelare inadeguati alle esigenze che impone loro il lavoro; o ancora il perché un matrimonio può andare a rotoli anche se il quoziente intellettivo di entrambi i coniugi è elevatissimo.
E, all’opposto, non ci vuole per caso copiosa intelligenza per stabilire saldi rapporti interpersonali, familiari, professionali o sociali e politici?. Certamente sì!. Solo che l’intelligenza governante settori così decisivi dell’esistenza umana non può essere un’intelligenza qualsiasi, astratta ed estranea alla realtà, ma è e deve essere una complessa miscela in cui giocano un ruolo predominante fattori come l’autocontrollo, la pervicacia, l’empatia e l’attenzione rivolta agli altri.
In breve, è quel corredo intellettuale e sentimentale che, in ottimali proporzioni, ha consentito ai nostri lontani progenitori di sopravvivere in ambienti ostili e di elaborare le strategie che sono state alla base dell’evoluzione dell’intera umanità e che, nell’odierno, svolge la funzione di supportare tutti noi nell’affrontare le difficoltà e i pericoli di un mondo sempre più complicato, violento, difficile da decifrare.
La mente razional-passionale consente di governare le emozioni e guidarle nelle direzioni più vantaggiose: è la capacità di capire i sentimenti altrui al di là delle parole e spinge, come una molla possente, alla ricerca di benefìci duraturi piuttosto che al soddisfacimento degli appetiti più immediati.
E’ indubbio che gli assetti societari mondiali si stiano dibattendo all’interno di una crisi globale profondissima, caratterizzata da un esponenziale e vertiginoso aumento della frequenza di crimini violenti, di suicidi e di abuso di droghe, soprattutto fra le giovani generazioni; tutto ciò indirizza verso una sempre maggiore percezione di allarmanti segnali ammonitori di un’alienazione collettiva e di una disperazione individuale che, se non tenuti sotto controllo, potrebbero quanto prima sfociare in lacerazioni ben più marcate dell’intero tessuto sociale.
La tendenza generale della società nel suo complesso è orientata a massimizzare un’autonomia sempre più ampia dell’individuo e che, a sua volta, conduce ad una minore disponibilità verso la solidarietà vicendevole e, contestualmente, ad una maggiore competitività spesso brutale (“mors tua, vita mea”): tutto questo si traduce inevitabilmente in un aumentato isolamento del singolo individuale e nel deterioramento dell’integrazione sociale. Codesta lenta ma inesorabile disintegrazione dello spirito comunitario, assieme ad uno spietato atteggiamento di autoaffermazione, compaiono ed esercitano la loro pressione in un momento in cui le tensioni economiche e politiche richiederebbero, piuttosto, un incremento della cooperazione e dell’attenzione verso il nostro prossimo e non certo una riduzione di tale disponibilità.
Accanto a questa atmosfera di incipiente o perdurante crisi sociale, vi sono anche i segni di un crescente malessere emozionale, particolarmente fra i bambini e i giovanissimi. Ciò che colpisce in modo terrificante è l’impennata della violenza tra gli adolescenti: si pensi al giovane che massacrò i genitori a martellate per ereditarne il patrimonio o, solo per offrire un ulteriore esempio, al branco di ragazzini che uccisero un loro coetaneo per derubarlo e trascorrere così una divertente domenica al mare. Trattasi di inequivocabili indicatori segnalanti che molti minorenni stanno avviandosi all’età adulta con gravi carenze relative all’autocontrollo, alla capacità di gestire e dominare le proprie furie interiori, all’estrinsecazione dell’empatia con il rischio incombente di vedersi catapultati verso significative patologie di depressione psichica.
Quali le cause?. Uno dei motivi può essere individuato nel fatto che l’infanzia non è più quella di un tempo. I genitori, rispetto ai loro padri e alle loro madri, sono oggi massimamente stressati e sotto pressione per le note difficoltà economiche e, quindi, costretti ad un ritmo di vita assai più frenetico; dovendosi confrontare con una del tutto imprevista e aleatoria realtà, hanno probabilmente un maggior bisogno di consigli e di guide per sussidiare i propri figli ad acquisire le essenziali connotazioni umane.
Quanto precede suggerisce la necessità di insegnare ai bambini quello che potrebbe essere definito lo “alfabeto emozionale”, cioè le capacità fondamentali del cuore quale sede classica dei sentimenti.
In tal senso, la scuola potrebbe istituzionalizzare un positivo contributo introducendo programmi di “alfabetizzazione emozionale” che, oltre alle materie tradizionali come la matematica e la lingua, insegnino ai virgulti in crescita le capacità interpersonali essenziali. Oggigiorno queste capacità sono basilari, proprio come quelle intellettuali, in quanto servono ad equilibrare la razionalità con la compassione intesa nel senso etimologico del termine. Rinunciando a coltivare codeste abilità emozionali, ci si troverebbe ad educare individui con un intelletto limitato: un timone troppo inaffidabile per navigare in questi nostri tempi così soggetti a mutamenti tanto complessi.
Mente e cuore hanno bisogno l’una dell’altro!.
E’ proprio la moderna neuroscienza che sostiene la inderogabile esigenza di considerare con grande serietà le emozioni; del resto, recentissime scoperte scientifiche assicurano che se cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di incrementare la nostra capacità di essere empatici e di prenderci cura degli altri, di cooperare e di stabilire solidi legami sociali, e cioè se presteremo attenzione in modo più sistematico alla mente razional-passionale potremo sperare, prima di ulteriori sciagure, in un avvenire meno buio e maggiormente variopinto.
Nella “Etica Nicomachea” (l’indagine filosofica di Aristotele sulla virtù, la personalità umana e la vita retta), la sfida lanciata dall’illustre filosofo era quella di controllare la vita emotiva con l’intelligenza. Le passioni, quando ben esercitate, possiedono una loro saggezza: esse guidano il nostro pensiero, i nostri valori, la nostra stessa sopravvivenza.
Possono, tuttavia, facilmente impazzire e, come ben insegna Aristotele, il problema non risiede nello stato d’animo in sé, ma nell’appropriatezza dell’emozione e nel suo più libero e naturale dispiegamento e come, dunque, saper trasferire l’intelligenza nelle nostre passioni emozional-emozionanti e, di conseguenza, come saper condurre la civiltà nel nostro cammino esistenziale e come privilegiare la premura per l’altro nella nostra vita di relazione.