Nel secondo dopoguerra si affermò, all’interno della fu Unione Sovietica, una dottrina politica passata alla storia come la “teoria praticata” degli Stati satelliti a sovranità limitata. Stati, quelli dell’Est Europeo e dell’ex Patto di Varsavia, formalmente autonomi e indipendenti ma, nella concreta sostanza della realtà, coercitivamente succubi e ineludibilmente soggetti al potere assoluto della nomenclatura moscovita.
La legge politica del più forte era divenuta legge per tutti; oggi, nell’Europa comunitaria, possiamo senz’altro asserire che la legge dell’economia più forte, quella tedesca, sta divenendo legge economica imposta a tutti.
In tale contesto, l’Italia si trova di fronte ad una scelta decisiva: continuare a portare il peso di un differenziale finanziario strozzante oppure, per stato di necessità, chiedere l’intervento del fondo europeo “Salva-Stati”. La conseguenza, nel primo caso, sarebbe un declino economico certo e sempre più accentuato; ancor più grave, però, sarebbe la conseguenza nel secondo caso e cioè che, in forza delle rigorose ed inflessibili condizioni statuite dalla “Troika”(BCE, FMI e CE), si andrebbe verso un vero e proprio commissariamento del governo italiano attuale e di quelli successivi.
I quali, dunque, sarebbero obbligati per anni ad attenersi ad una serie infinita di direttive dettate dall’esterno; insomma, una radicale perdita di sovranità da parte della nostra Repubblica.
Ma vi è anche di peggio: in una economia continentale a doppia o tripla velocità, la moneta unica coniata Euro diviene un’arma insidiosissima nelle mani delle Nazioni economicamente più forti contro quelle più deboli. Infatti, nei tempi di tempesta, la coesistenza da un lato di autonome individualità statuali e di una moneta unica, dall’altro, rischia di sortire il deleterio e perverso effetto, prendendo a pretesto i vincoli unitari che essa comporta, di spezzare la schiena agli Stati in permanente difficoltà finanziaria, trasformandoli di fatto in autentici Stati vassalli.
Scrive Guido Rossi sul “Sole 24 Ore”: “Quella attuale è una nuova forma di feudalesimo che sottrae la sovranità agli Stati e alle loro Istituzioni: si potrà forse dire non schiave, ma ridotte spesso e con ingiustificata presunzione a semplici esecutrici di politiche economiche, monetarie e sociali, imposte non certo democraticamente dal di fuori. Si sta così ripetendo un fenomeno che Montesquieu, commentando le leggi feudali dell’Europa medievale, considerava un avvenimento unico, isolato e non più riproponibile”. Ebbene, Montesquieu si sbagliava e di molto.
Prosegue Rossi: “Infatti, allora come oggi, insieme alla brutalità del comando è determinante il dominio dell’economia sulla vita pubblica e sui diritti generando, così, aspra conflittualità e massima confusione fra ricchezza e autorità. Allora si trattava della ricchezza terriera, oggi della ricchezza finanziaria. Il trasferimento della sovranità dallo Stato democratico al Leviatano tecnocratico della Troika comporta, quindi, una revisione totale dei diritti dei cittadini e delle istituzioni democratiche, assopite nelle loro funzioni e dedite ormai solo alla supina esecuzione di decisioni prese da gerarchie esterne ed autocratiche”.
E’ così che i temi del rispetto dei diritti umani e della giustizia sociale, assieme ai mali ancor peggiori delle diseguaglianze tra cui domina la crescente disoccupazione, diventano trascurabili e non più in cima alla scala dei valori morali poiché ciò che conta, per davvero e unicamente, è l’imposizione delle restrizioni e dell’austerità indotta, regina incontrastata della depressione economica.
Pare allora persino inutile, come già ebbero ad ammonire Benedetto Croce e Luigi Einaudi, scagliarsi in tempi di crisi contro i governi tecnici in quanto, come appare evidente, l’insieme dei partiti politici, italiani e non solo, giacciono in uno stato di devastante disgregazione programmatica e sono sempre più portati al vaniloquio inconcludente. Tecnici e politici di professione, “rebus sic stantibus”, sono tra di loro del tutto eguali.
Tale inquietante crisi della democrazia politica, alla quale il degrado culturale della nostra classe dirigente non ha opposto alcuna resistenza, pone in pernicioso pericolo sia la democrazia formale, sia quella sostanziale e, con esse, la giustizia e l’equità sociale. Il fenomeno qui descritto non sembra affatto destinato a processi di inversione a meno che non si attui, coraggiosamente e tempestivamente, una lucida e lungimirante politica di reale unificazione europea accompagnata da un radicale rinnovamento del personale politico a fronte delle prossime scadenze elettorali.
Andiamo oltre, poiché non sono per nulla da sottovalutare aspetti più squisitamente legalitari, né secondari né irrilevanti. E, ancora una volta, si pone per l’ordinamento giuridico italiano una delicatissima questione di legittimità costituzionale.
Nella nostra Carta, infatti, è presente un articolo, l’undicesimo, secondo il quale l’Italia può consentire a delle limitazioni di sovranità solo e soltanto “in condizioni di parità con gli altri Stati”.
Non pare allora inappropriata la seguente domanda: quali mai condizioni di parità sarebbero garantite nell’eventualità di cessione di sovranità, parziale o totale, a cui ci dovessimo vedere costretti in base ad una potenziale richiesta di aiuto da rivolgere alla Banca Centrale Europea?
E poi: che certezza può mai esservi nella circostanza che il trattamento oggi imposto all’Italia lo sarebbe domani, a mutate contingenze, riservato anche alla Germania? Cioè che siano effettivamente rispettate le “condizioni di parità” volute dalla nostra Costituzione? Senza inoltre considerare, altra argomentazione solo all’apparenza insignificante, che semprela Costituzioneitaliana stabilisce nel medesimo articolo come le limitazioni di sovranità, di cui si sta dissertando, possono essere concesse solamente se “necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”.
Sovviene, al fine, una ulteriore domanda: di quale “Giustizia” è questione negli obblighi che dovremmo eventualmente assumere per salvare il nostro futuro di popolo? La giustizia giustiziera del “Guai ai Vinti” o quella, giustamente giusta e solidale, della equanimità internazionale?
L’Europa non sopravvivrà senza uguaglianza nella libertà!.