Ce l’abbiamo fatta! Grazie al fondamentale apporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, alla collaborazione della Presidenza delle Scuole Medie “Luca Signorelli”, alla concreta ed operativa regia dell’Amministrazione Comunale ed all’imprescindibile ed essenziale lavoro fatto dall’Associazione “Corrado Spatola”, l’area sportiva delle Medie di piazza Marconi è tornata ad essere un punto di riferimento per tanti ragazzi. Con una grande azione sinergica tra Istituzioni ed Associazione (oltre ai familiari di Corrado, un plauso va a Massimiliano e Marco, oltre che a Luciano) è stata riaccesa la luce – non solo in senso metaforico – dopo un quindicennio di buio assoluto. Per tutta l’estate il polmone sportivo del centro storico è tornato e respirare in maniera libera, aperta e senza più i cancelli chiusi. Ma, al di là del fatto di essere riusciti a riqualificare e rendere fruibile l’area sportiva delle Medie, c’è un qualcosa di molto più profondo che si percepisce nel vedere nuovamente quel posto tornare ad essere luogo di incontro e di sport. Non è solo un campo da pallacanestro, quel posto è la storia di tante generazioni di orvietani ed è un pezzo di identità di questa città. Quando nel febbraio del 2010 muovemmo i primi passi per il “ritorno” delle Medie,già sapevamo che avremmo trovato la strada spianata e che in tanti avrebbero abbracciato “senza se e senza ma” l’idea: è bastato parlare di Torneo dei Quartieri che si è immediatamente risvegliato unmai sopito senso di appartenenza. Se poi lo si faceva in nome di un amico,il risveglio si è realizzato con maggiore facilità.Quel campo è un simbolo che unisce indissolubilmente decine di generazioni di orvietani e che nessuno potrà mai soffocare. Quando ho rivisto quel campo tornare nella piena disponibilità della città, mi si sono sovrapposti nella mente numerosissimi ricordi: tutti importanti, ma due assolutamente indimenticabili. Il primo ricordo quando, con lo storico bandierone del Corsica e con gli zainetti pieni di bengala e fumogeni illegali comprati in una baracca pericolante vicino Perugia da un losco figuro che rispondeva al nome di Vito (poi divenuto fornitore ufficiale dei “portoghesi” della curva Baca al mitico campo di Via Roma), partivamo da San Domenico con fierezza e portamento ed andavamo sulle tribune di legno delle Medie a saltare e cantare contro gli odiati nemici della Stella. Il secondo è un ricordo che va oltre il tempo e lo spazio, tanto da poterlo annoverare come l’archetipo di quello che è stato– per tanti della mia generazione – il significato più profondo del campo di piazza Marconi. Due “ragazzi delle Medie” si lanciarono la sfida: “zonetta” al 100, uno contro uno. Come giorno della sfida scelsero la mattina di Natale perché almeno erano sicuri che non ci fosse nessuno. Fin qui ci sta tutto. Ma quella mattina del 25 dicembre di qualche decennio fa pioveva a dirotto. Ora, mentre ci avvicinavamo al campo sotto l’acqua per vedere sei due sfidanti avessero o meno desistito, dentro di noi vi era la assoluta certezza che erano lì, che avevano scavalcato il cancello e che – tutti fradici – se la stavano giocando fino all’ultima stilla di sudore. Ed infatti non ci eravamo sbagliati. Mentre camminavamo velocemente, nel silenzio di quella cupa mattina di Natale, iniziavamo a sentire in lontananza il rimbombo bagnato del Mikasa spelacchiato. Sbucati sulla piazza ci appare una scena epica: giocavano, sotto l’acqua, con le scarpe della Festa e con la volontà di dimostrare il proprio valore. In palio, come sempre, c’era l’onore ed una gassosa frenata da “sonno”. Uno di quei due “figli delle Medie” non potrà più vedere il “suo” campo di nuovo illuminato e tirato a lucido, ma sono certo che non smetterà di cercare un canestro ed un pallone a spicchi perorganizzarele “zonette” insieme a Bingo ed a tutti gli altri amici che stanno lassù con loro. Tra l’altro il destino ha voluto che insieme a tutti loro ci fossero anche dueindimenticabilimaestri di pallacanestro.Senza retorica e reducismo, queste sono state le Medie. Dentro c’era di tutto. Bastava scavalcare il cancello per buttare a mare il conformismo e per superarele barriere sociali ed economiche.Tutti, dal figlio del dottore al figlio dell’operaio, scavalcavano e giocavano insieme. Un’ultima cosa: i tanti ragazzi che oggi ripopolano le Medie devono sapere che quel posto non è un campo qualunque.Quello è il campo dove sono cresciute tante generazioni di orvietani ed è una parte importante della storia sportiva ed esistenziale di questa città. Per entrare alle Medie non occorre chiedere permesso. Ma occorre avere rispetto. Da lassù qualcuno vi guarda.