Mentre la città, già arroventata dalla canicola luciferina, s’infervora sulle sorti di un vaso finito sotto le attenzioni della magistratura, la vendita di una ceramica orvietana del XIV secolo è stata del tutto ignorata dalle istituzioni, dagli enti e dagli ‘studiosi’ cittadini. La casa d’aste Christie’s ha battuto a New York il 7 giugno scorso, e venduto, per un prezzo relativamente modesto, un boccale orvietano che riunisce in sé l’intera storia recente della ceramica orvietana, quella legata al collezionismo internazionale, agli innumerevoli scavi e alle dispersioni e falsificazioni che l’hanno resa famosa fra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale.
Si tratta di un boccale a corpo globulare e alto collo cilindrico, bocca lievemente trilobata con bordo superiore angolato e ansa verticale a nastro contrapposta al beccuccio. La decorazione è quella tipica della produzione orvietana del XIV secolo, in verde ramina e bruno di manganese su smalto stannifero, con inserti a rilievo: una testa leonina, subito sotto il beccuccio, e due fiori d’acanto (comunemente letti come ‘pigne’) sul corpo, uno per lato, che si dipartono dalla ramificazione di un ‘albero della vita’, e fondo a graticcio, ma con ampie aree risparmiate. Una di queste, al centro, fra i due fiori, è decorata con disegnigeometrici: due rombi suddivisi in quattro parti ciascuno. Anche i due fiori a rilievo sono entro aree risparmiate, delimitate da fasce filettate, così come la testa leonina. Da questa, su tutto il collo, entro filettature orizzontali, girano foglie lobate. La parte inferiore del corpo,non decorata conserva tracce di cristallina.
Come visibile dalla fotografia gentilmente fornita da Christie’s, la ceramica presenta ampie tracce di restauri ‘storici’, probabilmente risalenti al momento della scoperta. Questi ultimi, infatti, sono già ben visibili in una fotografia, forse dello studioso Pericle Perali, databile intorno al 1910, che ne attesta l’epoca del ritrovamento. Da questa data la storia recente del boccale, il suo pedigree per dirla in termini collezionistici, è di tutto rispetto. Nel 1916 compare nel catalogo della vendita organizzata dal noto antiquario Elia Volpi a New York ed è acquistata per 200 dollari da William H. Johnson, che nella stessa vendita acquistava un altro pezzo orvietano, un vascello dalla complessa decorazione in due registri, che faceva bella mostra di sé nelle fotografie già ricordate e su un tavolo fratino di Palazzo Davanzati a Firenze. Forse Johnson comprava per altri, come spesso avviene, o ci sono passaggi non documentati perché nella scheda del catalogo di Christie’s il baccale è indicato proveniente dalla collezione Demidoff. Comunque, Johnson doveva essere particolarmente interessato perché, con Louis V. Newkirk, nel 1942, avrebbe pubblicato un libro sulla ceramica.
La storia del nostro boccale si intreccia con quella di un altro pezzo orvietano, in tutto simile, salvo che per una diversa decorazione sul collo e una maggiore sporgenza dellaprotome leonina, che compare nell’Esposizione Universale Panama-Pacific di San Francisco del 1915 di proprietà degli antiquari Canessa di Napoli. In quell’occasione, questo secondo boccale è acquistato, insieme ad altri pezzi orvietani, da Mortimer L. Schiff, ed esposto al Metropolitan Museum of Art di New York nel 1917-19 e nel 1937-41.
Sarebbe stato un peccato perdere questo pezzo di storia non solo orvietana ma, fortunatamente, come spesso avviene, singoli cittadini di buona volontà provano a limitare le manchevolezze delle istituzioni distratte e così la ceramica, dopo oltre un secolo, è tornata a Orvieto. A quanto sembra, i collezionisti privati, spesso i più attenti, hanno accolto il messaggio lanciato con la mostra della collezione Imbert (Perugia e Orvieto fra novembre 2009 e giugno 2010), che ha riportato in città, anche se per breve tempo, ceramiche disperse oltre un secolo prima. Dopo la mostra, ‘cocci’ orvietani storicamente importanti sono tornati in città e a questi, oggi, si unisce il boccale appena rientrato.
L’inversione di tendenza è di grande importanza se si pensa che rilevanti ceramiche eugubine già in collezioni private, dopo essere state esposte in una recente mostra del 2010- 2011 a Gubbio, sono passate, anche perché non notificate, in un’asta londinese battuta da Christie’s il 5 luglio di quest’anno e disperse.
Il ritorno delle ceramiche orvietane, avvenuto nel più totale silenzio, dovrebbe e potrebbe essere accolto come un primo spiraglio per ripensare nelle giuste prospettive storiche e culturali, rispetto a quanto fatto finora, il tema delle ‘ceramiche orvietane’.