Orvieto, è noto e risaputo, che sia una cittadina spesso adagiata nel torpore dell’agnosticismo masochistico non suscita scalpore nei rassegnati, mentre invece scatena allarme e trepidazione nelle coscienze vigili ed appassionate.
Per nostra buona sorte, non esiste però la sola Orvieto ipogea delle grotte arcane e dei cunicoli dedalici; esiste anche la Orvieto viva, nei cui strati e substrati culturali vi è effervescente fermento per un prossimo riscatto dal grigiore oggi dominante.
Per il raggiungimento di tale meta, un drappello di donne e di uomini, determinato e ben motivato, sta profondendo ogni sua migliore energia con indefesso impegno ed esemplare abnegazione.
Di loro, degli obiettivi che si prefiggono, di come andranno a nominarsi, di quali scelte programmatiche e strategiche rivestiranno l’azione politica e civile che li contraddistinguerà, ben presto ne sentirete tutti parlare.
Quanto appena trascritto, di per sé potrebbe, al momento, anche non interessare nessuno; è però rimarchevole la circostanza che, in una fase storica dominata da un ritornante riflusso nel privato, il predetto drappello di uomini e donne si diano udienza per dedicarsi agli affari generali della collettività e non pure soltanto destinarsi al tempo del divertimento e dello svago.
E’ un pregevole ritorno al nobile esercizio della politica, quella vera e seria, e che si sostanzia nel confronto delle idee, nell’analisi dei problemi comuni e nella democratica discussione di quali siano le vie più spedite da percorrere per portarli a positive e concrete soluzioni.
Di centrale rilievo, la riflessione sui tre nodi cruciali che da tempo affliggono l’acropoli orvietana e che, se non sciolti, tenderanno a frenare ulteriormente la sua già bloccata crescita e il suo incerto futuro sviluppo: la viabilità veicolare interna al pianoro tufaceo in quanto la vigente normativa, così come è stata impostata, non funziona affatto e richiede, quindi, un profondo riesame alla ricerca di un più intelligente equilibrio tra le esigenze dei residenti e quelle degli operatori economici che, caparbiamente, intendono continuare a fare impresa nel centro cittadino; la riconversione a fini sociali e produttivi della Piave e dell’ex Ospedale di piazza Duomo, indissolubilmente legati tra di loro, perché troppo tempo è passato invano ed è ora che si ponga mano, finalmente, ad un progetto di rifunzionalizzazione credibile, coinvolgente e tempestivamente attuabile; la riqualificazione artistica, architettonica e urbana del quartiere Medievale poiché quel quartiere è stato per secoli il cuore pulsante della nostra città e lo dovrà ancora essere, sia per l’oggi che per il domani, con la sottintesa necessità che, ad esso, saranno da rivolgere le attenzioni e l’impegno di menti pensanti di alto profilo e indiscusse capacità.
Il popolo, lo si sa, è stanco di sole venuste parole e dimostra a più riprese indifferenza e scetticismo allorché non riesce ad intravedere esempi di effettuali comportamenti, adeguati e coerenti rispetto alle mere espressioni verbali; è pur vero, però, che non partecipa o partecipa modicamente alle scelte che lo riguardano in parte per sua pigrizia e, in larga misura, per disaffezione e sfiducia verso coloro che tengono in mano il timone del vapore. E’ indispensabile, allora, ribaltare i poli dell’azione politica riconsegnando alla base popolare gli strumenti per intervenire e far sentire la sua voce.
Il significato di cui in premessa risiede proprio in codesta riacquisita volontà di partecipazione che, poi, altro non è se non il sale della democrazia e che trova, in ragione di stringente logica, il suo naturale sbocco nell’intento di aprire le porte e spalancare le finestre della vita pubblica a tutti, soprattutto ai più volenterosi e talentuosi e ingegnosi.
Forse che ci si comincia a rendere conto del bisogno non più procrastinabile di aria nuova e di fresche energie, precipuamente intellettuali?. Forse che si sta pervenendo finalmente al convincimento che i termini rinnovamento e cambiamento non sono più sufficienti ad esprimere il desiderio esigente di voltare definitivamente pagina, ma sia del tutto necessaria una vera e propria “mutazione genetica” del ceto politico per il mezzo di processi di palingenesi, quella che i saggi antichi appellavano come “Summissio” catartica?.
Un tal Descartes, in arte Cartesio, pensò che pensando ne conseguissero inevitabilmente le condizioni dell’essere nella visione tridimensionale del tempo, dello spazio e della profondità concettuale per cui, ogni essere umano, esiste a prescindere dal fatto che ciò gli venga o meno riconosciuto dai suoi consimili; un tal’altro Aristotele, il filosofo dell’immanenza, ha lasciato scritto che per esistere non è obbligatorio filosofare ma, per capire fino in fondo che per esistere non è obbligatorio filosofare, bisogna filosofare.
Allora, le conseguenze sono ovvie: gli intenti di garantire a tutti esistenza, nella specie politica, non sono il frutto di una concessione sovrana poiché il diritto e la possibilità di esistere sono insiti nella corteccia cerebrale di ogni intelligenza umana; rimane, però, la manifestazione d’intenti intesa quale promessa ed ogni promessa è un debito che, una volta assunto, va sempre onorato come va ben interpretato il verbo imperare nel senso di guidare, dirigere, governare.