(da Zorro, a cura di Gianni Marchesini)
Veniva da lontano il fondatore della drogheria de “Gli Svizzeri”, veniva dall’Engadina, la vallata alpina del cantone dei Grigioni che si stende dal passo del Maloja, attraverso la ben nota Saint Moritz, fino alla stretta gola del Finstermunz al confine tra Svizzera e Austria, per una lunghezza di circa 80 Km. Una valle ampia, soleggiata ed amena, percorsa dalle veloci acque del fiume Inn, uno dei maggiori affluenti del Danubio. Da questa remota valle, incastonata all’interno delle Alpi Retiche, ser Not Andry Vonmoos, originario di Ramosch, giunse nel 1864 ad Orvieto, dove aprì una drogheria-pasticceria e torrefazione del caffè. Successivamente, raggiunto da un fratello, Cla (o Nicola), aprì altri negozi dello stesso genere a Todi, a Sassari e a Cagliari, dandoli in gestione a persone di sua fiducia venute dalla Svizzera.
E’ qui doveroso dire che nella seconda metà dell’ottocento, dopo l’unità d’Italia, vi fu un cospicuo flusso migratorio dalla Svizzera, nazione a noi vicina che aveva dato sostegno morale e materiale ai movimenti di liberazione italiani, verso il nostro paese. Si trattava soprattutto di imprenditori richiamati dalla possibilità di buoni investimenti in un paese in cui era sì presente una borghesia terriera, ma era assente o quasi l’industria. A questa ondata di industriali si accompagnò anche una cospicua ondata di commercianti. Con l’apertura della linea ferroviaria del Gottardo, sul finire del secolo, e ancor di più con la costruzione della linea del Sempione, a cavallo dei due secoli, gli Svizzeri si muoveranno verso il nostro paese contribuendo con le loro iniziative e i loro capitali allo sviluppo economico dell’Italia.
In questo panorama di fine secolo, l’emigrazione svizzera verso l’Italia non comprende soltanto industriali, imprenditori e commercianti. E’ infatti doveroso ricordare anche quegli svizzeri che si fecero onore nel campo della caffetteria, della pasticceria e drogheria i quali erano in prevalenza grigionesi, come il mio bisnonno, Not Andry Vonmoos. E di questi si possono ricordare i bellissimi caffè, alcuni dei quali ancora esistenti, altri rimasti nel ricordo della gente come centri di eleganza, di mondanità e di cultura in un’epoca in cui si ignoravano ancora i bar all’americana e questi locali erano pertanto eccitanti richiami della vita cittadina. E qui basti ricordare i Gilli, originari di Zernez e di Zuoz, che aprirono a Firenze un caffè molto rinomato e tuttora esistente e, nella stessa città, il più famoso “Giubbe Rosse”, uno dei maggiori caffè letterari del tempo, di Andrea Juon originario di Kublis. E senza andare troppo lontano possiamo ricordare il rinomato caffè pasticceria Sandri a Perugia.
Ma cosa spingeva questi Engadinesi a lasciare la loro terra per impiantare attività nella vicina Italia? Naturalmente il fatto che il loro paese, pur ospitando già all’epoca un turismo di élite, rappresentava un mercato troppo povero e ristretto per consentire un’ espansione dell’attività produttiva, essendo ancora legato alle tradizionali attività montanare. Ma la propensione ad investire capitali fu tale da generare il sistema della cosiddetta “quota parte”, ovvero un sistema per mezzo del quale i singoli affidavano una quota di capitale all’imprenditore che fondava attività all’estero, per poi ricevere in cambio la propria parte di utili.
E forse proprio di questo sistema si avvalse ser Not Andry Vonmoos per fondare i suoi negozi che divennero attività fiorenti. Egli nel frattempo, rimasto prematuramente vedovo con due figli dell’età di sei e sette anni, continuò la sua attività affidando i piccoli orfani alla famiglia del fratello, rimasto in Svizzera, e ad essi poté assicurare un futuro molto solido assecondando la loro naturale inclinazione agli studi. Infatti il più grande, mio nonno Schimun (Simone) Vonmoos, si dedicò agli studi di Teologia presso le università tedesche di Iena e Heidelberg , divenendo poi pastore protestante di confessione Valdese e uomo di grande profilo umano e carismatico, mentre l’altro fratello, Jon, seguì gli studi di giurisprudenza diventando avvocato e poi Consigliere nazionale della Confederazione Elvetica. Dunque nessuno dei due figli continuò l’attività commerciale in Italia, che passò quindi, mi è stato sempre detto, in mano ad una società di parenti. In realtà, chi ha condotto l’attività nei primi decenni del novecento, è stato sempre per me un mistero su cui avrei voluto indagare. Ma, parlando casualmente in questi giorni con la signora Rita Duranti, proprietaria della storica profumeria omonima, sono venuta a sapere da lei, in maniera sorprendente, che appunto nei primi trenta anni del novecento il negozio degli Svizzeri fu di proprietà della sua famiglia nella persona del nonno Guerrino, che possedeva ad Orvieto altri tre negozi ed aveva sei figli maschi, tra cui il padre di Rita, Dante Duranti, un personaggio certamente a tutti noto della nostra vita cittadina.
E all’epoca il negozio era conosciuto anche per la sua pasticceria, soprattutto per le sue meringhe con la panna e altre ghiottonerie, suppongo di stampo svizzero.
A Todi, negli anni venti e trenta è presente un certo Nicola Vonmoos, forse cugino di mio nonno; successivamente subentra la famiglia Barblan, proprietaria anche di una drogheria a Siena.
Ad Orvieto invece, secondo la mia ultima ricostruzione dei fatti, dagli anni trenta agli anni quaranta si trova la famiglia Grand ( Giacomino e le sorelle Lina e Mengia) provenienti anche essi da Ramosch e nostri lontani parenti, dai quali i miei genitori rileveranno l’attività del negozio e la casa nel 1951.
Ma quali avvenimenti portarono mio padre Jon (Giovanni) Vonmoos qui in Italia? Egli, nato nel novembre 1911 quale figlio in seconde nozze del reverendo Schimun Vonmoos, seguì le inclinazioni del proprio nonno studiando alla Scuola superiore di Economia e Commercio di Zuoz. All’età di venti anni si recò a Londra per perfezionare la lingua inglese rimanendovi per un anno. Iniziò quindi la sua attività lavorativa presso il Kulm Hotel, un lussuoso hotel di S.Moritz , come economo e addetto agli approvvigionamenti, cosa che gli consentì di acquisire una consistente e vasta conoscenza merceologica sia di vini e bevande alcoliche, sia di prodotti alimentari.. Con l’avvento della seconda guerra mondiale il turismo languì e i grandi alberghi chiusero i battenti. Fu così che nei primi anni quaranta, mio padre decise di venire in Italia e si recò presso i parenti che avevano i negozi di Sassari, Siena e Todi. Qui si trovò bene ed entrò in attività con il cugino Gaspare Barblan. A Todi divenne amico del mio nonno materno, Luigi Carbonari, un uomo che, con spirito imprenditoriale, aveva fondato e fatto crescere una fabbrica di macchine agricole. Fu così che si innamorò della di lui figlia, Lilia, e la sposò nel 1949.
Poiché ad Orvieto i Grand avevano deciso di cedere la loro attività, i miei genitori unirono i loro sforzi economici ed acquistarono casa e negozio nel 1951 continuando l’attività con il nome di F.lli Womossi, coniato dal mio bisnonno.già nel 1864. Erano i difficili anni del dopoguerra e sia la casa che l’attività commerciale si trovavano in grande declino; perciò furono anni di lavoro e di sacrifici per dare una nuova sistemazione ad entrambi. La mamma, che si era laureata in lettere antiche a Roma come Italiana, avendo acquisito la cittadinanza svizzera con il matrimonio, avrebbe dovuto sostenere un esame integrativo per accedere al pubblico impiego. Fu così che decise di rimboccarsi le maniche e di mettersi in attività nel negozio aiutando mio padre. E fu un aiuto decisivo e fondamentale perché insieme riuscirono a creare una formula vincente: mio padre era la guida del negozio e con competenza riorganizzò gli acquisti e l’attività della torrefazione del caffè e dei liquori; ma anche la mamma, con altrettanto spirito imprenditoriale, diede ad esso quella veste e quel carattere che soltanto una donna sa dare e creò dal nulla un’attività tutta sua che era la confezione delle bomboniere, alla quale si dedicò con creatività ed ingegno.
Vennero gli anni della crescita economica e l’attività commerciale andava molto bene: la concorrenza era scarsa e il negozio era un punto di riferimento per la cittadinanza e anche per tutti i paesi del circondario. Specialmente nei giorni di mercato e in occasione delle festività, si riempiva di gente. Molti si ritrovavano lì per bere un aperitivo o un “bicchierino” di liquore; gli amici venivano quasi tutti i giorni per fare quattro chiacchiere e scambiare due battute con mio padre. Tra questi ricordo l’avvocato Nazzareno Attioli, inseparabile amico di mio padre, il signor Aldo Prosperini, del Grand Hotel Reale, che veniva sempre con il suo cane di razza rigorosamente bulldog, e l’avvocato Moretti, grande amico con il quale, oltre alle chiacchiere serie, c’era sempre uno scambio di barzellette salaci. Il negozio era frequentato anche da personaggi un po’ strani o caratteristici della vita cittadina: ricordo Egidio, che con il suo fare burbero e il suo vocione era forte motivo di inquietudine per il mio cane, che anche bazzicava in negozio e voleva farla da padrone. Oltre alla mamma e al babbo, vi lavoravano due commessi e due commesse. Io li ricordo tutti , fin da quando ero una bambina piccola; con loro ho avuto un rapporto ludico o confidenziale e nei ritagli di tempo libero scendevo per trovare con loro svago e compagnia. Sono stati tutti validi collaboratori dei miei genitori e, specialmente coloro che sono rimasti per più anni , con il loro modo di essere e di porsi verso i clienti, hanno contribuito a costruire un’immagine piacevole e accogliente, oltre che efficiente, del nostro negozio. Primo fra tutti Gino Anselmi, l’attuale conduttore della Drogheria degli Svizzeri, che fu assunto all’età di diciotto anni, quando io ne avevo appena tre. Era un bel giovanotto molto prestante e simpatico e molto affettuoso con noi bambini che gli eravamo sempre intorno perché tutto ciò che si faceva con lui era qualcosa di divertente o di interessante.
E quando i miei, dopo trenta anni di attività, decisero che era arrivato il momento di lasciare, Gino Anselmi, insieme alla moglie Rosanna Carletti, rilevò l’azienda nel 1981, e ne è rimasto il titolare fino ad oggi. Ed era la persona che più di ogni altra aveva i requisiti per ricevere questa “eredità”, avendo lavorato nel negozio ed avendolo vissuto dal di dentro per tanti anni. Insieme, Gino e Rosanna, sono stati capaci di ripetere quel “miracolo” economico dei miei genitori anche in anni più difficili, mantenendo sempre lo stile ed il carattere del negozio, ma adeguando l’attività ai cambiamenti del tempo, incrementando i settori specializzati con articoli di nicchia e di qualità e sempre con passione per il loro lavoro e la massima disponibilità verso il cliente. In tutto ciò coadiuvati da un’altra persona che ha lavorato per una vita nel negozio, Luciana Ricci, che con il suo lavoro sempre vigile, attento e fidato è stata, ed è tuttora, una colonna della drogheria degli Svizzeri.
Quanto a me e a mio fratello, anche se eravamo chiamati ad aiutare nei periodi di maggior lavoro, non siamo mai entrati nell’attività del negozio perché i nostri genitori ci hanno spinti a proseguire gli studi e ad occuparci di altro. Mio fratello Simone ha scelto di fare ritorno in Svizzera dove poi si è laureato e sposato ed ha intrapreso la professione di medico. Io sono divenuta insegnante.
Anche i figli di Gino Anselmi, che sono sempre stati ottimi studenti, hanno proseguito gli studi universitari brillantemente e quindi non si sono interessati a continuare l’attività del negozio. E così si è ripetuto per la terza volta uno strano fenomeno: il salto di una generazione, i figli che non hanno continuato l’attività dei loro padri. Come mai ciò? Forse perché chi l’ ha vissuta dal di dentro, sa quanto essa sia impegnativa, quanta abnegazione al lavoro essa richieda e quanti rischi ed ostacoli siano sempre possibili.
Ma purtroppo questa volta non si è nemmeno riusciti a trovare qualcuno disposto a rilevare questa attività. E così Gli Svizzeri chiudono i battenti. Chiude quel negozio che ci ha coccolati per generazioni con tutte le sue cose buone, che ci ha viziati con le sue golosità, ci ha rassicurati con la certezza di trovare sempre ciò che altrove è introvabile o l’oggetto giusto da regalare; quel negozio che ha rappresentato la miniera inesauribile in cui andare a reperire tutti gli aromi, le spezie, i liquori, i fragranti frutti secchi o canditi che poi con sapiente arte le casalinghe della nostra città avrebbero tramutato nei saporosi dolciumi della nostra tradizione. Chiude perché sono troppi i paletti che vengono imposti, troppi i requisiti di sicurezza e di igiene ai quali ci si deve attenere, troppe le tasse e i balzelli di ogni genere ai quali un commerciante si deve sottoporre; e quindi troppo grande il capitale da investire ed incerta la possibilità che questo capitale rientri con un margine plausibile di guadagno. Purtroppo è il frutto dei nostri tempi, della globalizzazione, della pressione dei grandi colossi della distribuzione e di leggi che schiacciano i piccoli imprenditori, proprio quella forza economica che ha sempre rappresentato la grande risorsa del nostro paese.