Presentare il bilancio di previsione nel mese di ottobre equivale a programmare il passato. Un paradosso antidemocratico che azzera la funzione di indirizzo che spetterebbe al Consiglio comunale e ne vanifica quella di controllo.
[…]Un conto è dire che Concina e i suoi si sono dovuti accollare i debiti del passato e un altro è constatare che quei debiti siano ancora tutti lì senza che si sia riusciti a pagarli o a ridurli e che altri se ne siano aggiunti e che permane uno squilibrio tra spese e entrate nelle sue componenti ordinarie e strutturali.
Giacché questo era e, fintanto che resta, rimane il compito che gli elettori orvietani avevano affidato alla nuova amministrazione, temo che il tempo a disposizione sia scaduto.
Qualcosa non ha funzionato e non si tratta né delle qualità di Concina, che peraltro appartengono alla storia personale e professionale dell’uomo, né delle banali e spesso strumentali contrapposizioni tra sinistra e destra.
Bisogna cambiare di nuovo e dare un’altra chance a Orvieto senza tornare al passato.
Da un articolo di Massimo Gnagnarini – OrvietoSì 9 agosto 2012
Nei due frammenti del fresco articolo di Massimo Gnagnarini, concepito nell’afa della Conca Ternana, si affrontano due aspetti della vita amministrativa orvietana che sono meno scollegati di quanto sembri. In primo luogo si critica il ritardo, benché consentito dalla legge, nell’approvazione del bilancio di previsione. Un preventivo approvato quando è quasi ora di redigere il consuntivo, che preventivo è?
Vanno fatte due considerazioni, una di ordine psicologico e una di ordine politico.
Redigere un preventivo è una operazione ansiogena, perché significa accollarsi il rischio, anzi la sicurezza, di essere smentiti dalla realtà. E poi la redazione del bilancio di previsione inevitabilmente avviene in un clima di tiro alla fune tra la squadra degli amministratori, che ambiscono a promettere al popolo il massimo della felicità e il minimo dell’infelicità, e quella dei funzionari, che cercano di mettere al sicuro i loro stipendi e la loro tranquillità sottostimando le entrate e conseguentemente lesinando sulle spese. A questo proposito, voglio ricordare ciò che accadde, molti anni fa, al ragioniere di un piccolo comune del Viterbese. Pressato dagli amministratori, che ambivano a presentare il bilancio prima della fine dell’anno, disse che il documento era pronto e che si poteva convocare il consiglio. Erano tempi in cui, nei piccoli comuni, ci si fidava e non si andava a leggere le carte. Durante le seduta del consiglio, il ragioniere fu invitato a illustrare il bilancio ed egli cominciò a sfogliare il librone che s’era portato e a leggere le somme stanziate. Grandi discussioni sugli stanziamenti di spesa che la minoranza riteneva sempre insufficienti e la maggioranza pure. Grande condiscendenza del ragioniere e grande disponibilità a rivedere le cifre. Fino a quando un consigliere meno sprovveduto degli altri, sapendo che i ragionieri reagiscono come iene quando si chiede loro di ritoccare i bilanci costringendoli e a rifare le quadrature, s’insospettì e andò a mettersi alle spalle del troppo condiscendente funzionario. Si accorse a quel punto che il bilancio era in bianco e che il ragioniere, più per disperazione che per malizia, li stava prendendo in giro. Erano altri tempi e la cosa finì con risate generali e una bella bevuta. Morale di quell’episodio è che prevedere è sempre difficile, spesso doloroso e qualche volta inutile. Nella situazione attuale del comune di Orvieto è poco utile. Quando non ci si può indebitare e non sia hanno avanzi da impiegare, un bilancio approvato all’inizio o alla fine dell’anno è praticamente la stessa cosa.
E poi c’è l’aspetto politico generale. Il governo nazionale è nel marasma e sforna continuamente provvedimenti che hanno lo stesso effetto di mettere il sale sulla coda agli uccellini per catturali: gli uccellini sono già volati quando tiri fuori dalla saccoccia una pizzicata di sale. È il governo che, prorogando a più riprese il termine per l’approvazione dei bilanci degli enti locali, li consiglia implicitamente di non aver fretta.
Ciò nonostante, mi sono sempre battuto, come consigliere comunale, perché il bilancio di previsione fosse approvato entro l’anno precedente. Non perché creda, con questi chiari di luna, al divertente esercizio della programmazione, ma perché il bilancio approvato mette ordine nei rapporti coi funzionari e in quelli tra maggioranza e opposizione. Se c’è un bilancio approvato, il funzionario preoccupato, l’assessore volonteroso e il consigliere propositivo, sono indotti a ragionare in termini di puntuali adeguamenti di un bilancio che c’è e non ad arrovellarsi su un bilancio che non c’è. Non sono stato ascoltato e mi consolo con la rilettura delle “Prediche inutili”, libro amaramente splendido di Luigi Einaudi, uno dei miei maestri. Se non ascoltavano lui, perché dovrebbero ascoltare me?
Sul secondo frammento gnagnariniano, quello sulla inadeguatezza dell’amministrazione comunale, devo ancora una volta ribadire che il compito degli amministratori comunali in carica è quello di amministrare, coi limiti delle loro capacità individuali e della loro forza collettiva. Che ci sia di meglio nella comunità orvietana posso anche sperarlo, e persino ammetterlo, ma non posso fare a meno di ricordare la differenza aristotelica tra la potenza l’atto o, più terra terra, tra le parole e i fatti.
Pier Luigi Leoni
La verità è disarmante, e quello che dice Pier Luigi circa l’esistenza di una differenza radicale tra ciò che è’ e ciò che potrebbe o dovrebbe essere è’ un importante principio di verità. Solo che si tratta di un principio delle verità contingenti, e come tale valido per tutte le verità che per loro natura sono contingenti. In altri termini, se c’è differenza tra aspirazione al cambiamento e realizzazione di esso (cioè tra parole e fatti) quando il cambiamento lo invoca Gnagnarini, la stessa differenza va rilevata quando ci si riferisce all’esperienza ormai triennale dell’Amministrazione Concina, nella quale la distanza tra aspirazione al cambiamento (parole) e cambiamento reale (fatti) appare ogni giorno che passa sempre più grande.
Ma, dato per acquisito questo come punto di verità, come dobbiamo orientarci nel promuovere azioni che ne tengano conto e che quindi non possano essere tacciate di doppiezza? Io francamente penso che i due aspetti della gestione amministrativa attuale della città che affronta Massimo Gnagnarini nell’articolo che stiamo commentando sono assolutamente importanti e che le posizioni che egli sostiene sono assolutamente condivisibili.
Non mi soffermo più di tanto sulla prima questione, quella del rinvio ad ottobre della sessione di bilancio. Nella sostanza mi sembra infatti che potrebbe bastare solo averla evidenziata, perché essa di per sé indica lo stato di degrado a cui siamo arrivati. E mi permetta Pier Luigi, il fatto che ciò sia legale e che il governo, con i rinvii che autorizza, sembri consigliare anche agli altri di non avere fretta non mi rende affatto più tranquillo. Anzi, rafforza in me una sensazione di sfascio del quale non vorrei in alcun modo essere compartecipe. C’è di più: a mio parere è proprio a livello locale che senza tentennamenti dovremmo rimediare ai guai che vengono dal passato, non aggravarli nel presente, ed avere contemporaneamente la capacità di creare futuro. E poi, come dimenticare che autorevoli esponenti dell’attuale maggioranza, quando erano accaniti avversari delle precedenti maggioranze, tuonavano contro ritardi infinitamente più lievi?
La seconda questione è tuttavia indubbiamente più rilevante, perché il giudizio di inadeguatezza dell’amministrazione nasce non da una questione qualsiasi ma dalla ragione stessa per la quale il passaggio di fase politica di tre anni fa sembrava dover essere fortemente e irrimediabilmente giustificato, cioè il risanamento dei conti del nostro comune. Se si ritiene normale trascinare fino ad ottobre la sessione di bilancio, se di conseguenza si ritiene normale attenuare fino ad azzerarla l’efficacia delle decisioni che si afferma essere necessario adottare, se soprattutto si sa che così come minimo si mantiene a livelli elevati lo squilibrio finanziario, non cade forse innanzitutto proprio quella ragione di legittimazione? Ci si rende conto dunque che il rinvio ad ottobre equivale, mentalmente, culturalmente, politicamente, ad accettare come normale lo squilibrio dei conti pubblici? Perché è evidente che, mentre si aumentano i livelli di prelievo dalle famiglie, addirittura noncuranti dei tempi, e si diminuisce la spesa comprimendo i servizi, non si fa nulla sul fronte dell’aumento delle entrate mediante la messa a reddito del patrimonio. E cosa davvero allarmante è che in questa situazione si vorrebbe far passare per normale l’idea dell’alienazione del patrimonio come soluzione principe per la riduzione del debito e il risanamento dei conti pubblici. Cosa evidentemente falsa se non accompagnata da una revisione profonda e strutturale dei meccanismi di spesa.
Su questo ho già scritto molte volte, ma ci sono ovviamente persone ben più esperte di me che ne hanno parlato e ne parlano. Da ultimo proprio ieri sul ‘Corriere della sera’ Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, ovviamente con riferimento al livello nazionale della questione. Riporto di seguito alcuni essenziali passaggi del loro intervento: “Innanzitutto ciò che conta non è il debito in sé, ma il rapporto tra il debito e il reddito nazionale (il Pil). Se l’economia non ricomincia a crescere quel rapporto non scenderà mai abbastanza”. Questo non vale forse anche a livello locale? Se non si modificano in modo permanente i meccanismi che hanno generato lo squilibrio, puoi vendere anche il duomo, ma prima che si immagini lo squilibrio tornerà. Successe per l’Italia nella seconda metà degli anni novanta. Succederebbe anche ad Orvieto.
La strada perciò è un’altra. E’ razionalizzare i meccanismi di spesa e contemporaneamente mettere a reddito il patrimonio, senza spacciare per la messa a reddito la sola ipotesi di vendita, che peraltro, nelle attuali condizioni, sarebbe sicuramente svendita. Dunque la strada è anche quella difficile, e certo non pronta, del ricambio di classe dirigente, e del coraggio di fare finalmente le scelte che contano e che non voglio più elencare tanto sono scontate. Forse ci penserà da sola la realtà a imporle, perché talvolta la realtà è più forte della pigrizia degli uomini. Allora griderò evviva la realtà!
Franco Raimondo Barbabella