di Fausto Cerulli
Avevo pensato di scrivere un articolo in difesa del disegnatore solitario che è sul banco degli imputati per aver impresso su qualche muro di Orvieto raffigurazione dei dieci comandamenti. Poi ho pensato che il mio direttore avrebbe avuto paura che ci accusassero di apologia di reato. Allora ho deciso di scrivere una vera e propria arringa difensiva, come modesto avvocato. Eccola qui di seguito.
Signor Giudice, mi trovo ad aver l’onere e l’onore di difendere il disegnatore solitario. Vorrei esaminare le accuse una alla volta, per valutare se esistano elementi di reato.
Parto dall’accusa di aver imbrattato i muri: qui si pone una questione delicata, di carattere estetico prima che giuridico. Imbrattare significa sporcare, diciamo che imbrattare sta per imbruttire. Ora io non sono Vittorio Sgarbi, ma credo che quelle raffigurazioni vadano valutate secondo un criterio essenzialmente estetico, Dobbiamo chiederci, Vostro Onore, se il disegnatore solitario abbia imbrattato ed imbruttito i muri. Io penso che sotto questo profilo il mio assistito vada mandato assolto in quanto penso che abbia compiuto un’opera d’arte. Avevo notato da tempo quei murales, chiamiamoli così, e li avevo anche fotografati; perché, a prescindere dal contenuto, li avevo trovati ben fatti, tratti sicuri, quel bianco e nero degli abbozzi dei grandi pittori, la delicatezza raffaelliana delle figure. Ora si tratta di valutare se l’imputato abbia raggiunto l’arte. Questione difficile da valutare oggettivamente, e da considerarsi quindi con riguardo alla intenzione dell’imputato.
Io credo appunto che l’imputato abbia voluto tentare comunque la via dell’arte, arrivando alla mèta secondo il mio modesto parere. Se avesse avuto altra intenzione si sarebbe limitato a scrivere sui muri scritte malsane, come quel W Mussolini, che veramente imbratta un muro sulla strada che da piazza della Croce Rossa porta all’asilo, e per la quale nessuno ha pensato di investigare per apologia del fascismo. Sotto questo profilo, quindi, chiedo che il mio assistito vada mandato assolto, sia per non aver imbrattato ed imbruttito, sia perché l’opera d’arte non può mai essere considerata penalmente punibile.
Passo ora ad esaminare il contenuto, che sarebbe incriminato in quanto offensivo nei confronti della religione cattolica attraverso il dileggio del Santo Padre che da Roma è luce guida, come dicevano i fanciulli dell’azione cattolica, destinati a diventare uomini della malazione democristiana. E qui mi soccorre un precedente personale: molti anni fa fui condannato a nove mesi di reclusione per aver scritto che a mio parere il Papa avrebbe fatto bene ad astenersi dall’andare in Sudamerica, a legittimare conla SuaAugustaPresenza i sanguinari dittatori allora al potere.
I miei difensori, dinanzi alla Corte di Assise di Terni, con tanto di giuria popolare, provarono a sostenere che la libertà d’opinione, essendo una libertà garantita dalla Costituzione, non poteva essere considerata reato. La ragion di stato, dello stato italino e di quello vaticano, prevalse e fui condannato. Ma oggi sono altri tempi: oggi il Vaticano non si ingerisce più nelle vicende italiane, a meno che si debba occupare di affaracci giudiziari suoi. Certo, Bagnasco continua a dire la sua, ma lo stanno a sentire soltanto quelli del governo, tutti dell’Opus Dei, tanto per capirci.
Io non voglio e non poso credere che un giudice dello Stato Italiano, consapevole della esistenza della libertà di esprimere le proprie opinioni, possa derogare a questo principio per compiacere il Vescovo di turno. Tanto più che il disegnatore solitario ha espresso la propria opinione con sottile ironia, e senza alcuna concessione alla volgarità gratuita. Capisco, Vostro Onore, che questo processo doveva farsi, anche per dimostrare che il Tribunale di Orvieto ha motivo di sopravvivere.
E capisco anche che Vostro Onore possa essere tentato di condannare l’imputato per compiacere il governo marcato Opus Dei, e farlo tornare sui propri passi circa la soppressione del Tribunale di Orvieto. Ma ho fiducia che Vostro Onore saprà resistere alla tentazione. Assolvendo il mio assistito, oltre tutto, potrebbe riparare alla assurda condanna che ebbe a colpirmi e per la quale non ho mai richiesto nessuna riabilitazione. In ogni caso, chiedo che il mio assistito sia assolto per assoluta incapacità di intendere e di volere questo mondo infarcito di residui papalini, una incapacità che è anche la mia.
Male che vada, l’imputato sia mandato assolto e perdonato in nome della Festa dell’’Assunta.